Dopo il referendum tenutosi ieri in Crimea in attesa dell’annessione della penisola alla Russia, Unione Europea e Stati Uniti annunciano le prime sanzioni che vanno dal congelamento di beni di alcuni russi e cittadini della Crimea, alla limitazione ai visti d’ingresso degli stessi. Misure che hanno lasciato del tutto indifferente Putin che, ad oggi, continua a gustarsi la sua vittoria.
La Crimea ha immediatamente formalizzato la richiesta di adesione alla Federazione russa, annunciando lo smantellamento delle forze militari ucraine, il pagamento di stipendi e pensioni in rubli e la nazionalizzazione dei beni di Stato ucraini.
Nonostante il cancelliere tedesco Angela Merkel, leader della più grande economia dell’Unione europea, abbia dichiarato che il suo paese è pronto a sopportare le conseguenze economiche che avrebbero accompagnato la rappresaglia russa a eventuali sanzioni, allo stato attuale è assai difficile ipotizzare eventuali sanzioni da parte dell’Europa che limitino l’esportazione di petrolio e gas dalla Russia.
Se da un lato le sanzioni energetiche metterebbero in ginocchio Mosca, che verso l’UE e altre nazioni esporta il 30% del gas prodotto, un veto all’importazione significherebbe anche una paralisi della produttività in quei Paesi che energeticamente dipendono dalla Russia.
Il cane che si morde la coda. Né alla Russia né ad altre nazioni conviene in questo momento modificare i rapporti commerciali nel settore dell’energia. Pertanto, molto probabilmente, le sanzioni in questo momento riguarderanno soltanto le banche e gli oligarchi russi.
I 160 miliardi di dollari in esportazioni di petrolio e gas naturale continuano a rappresentare l’arma più efficace nelle mani di Putin per evitare ulteriori misure punitive.
In sintesi, così come affermato da Judith Dwarkin, capo economista energia al ITG Investment Research a Calgary, “È un doppio legame. Il mercato europeo è molto importante per la Russia e la Russia è molto importante per il mercato europeo.”
Restano invece in piedi tutte le possibili varianti delle “sanzioni intelligenti” che non mettono in discussione il mercato dell’energia, ma che puntano a penalizzare le banche russe, le aziende che operano in settori diversi da quello energetico e la stessa divisa monetaria che si appresta ad utilizzare anche la Crimea: il rublo.
Mentre il rublo è infatti crollato dopo l’escalation del conflitto, i mercati petroliferi globali non hanno reagito alla possibilità di un’interruzione dell’approvvigionamento dovuta alle sanzioni applicate contro Mosca.
Un chiaro segnale di come il mondo della finanza non tema sanzioni che penalizzino tanto la Russia quanto i Paesi che dalla stessa dipendono per l’energia.
Gjm