Leggo che i fautori del nostro intrattenimento fanno una vita che non suscita alcuno scandalo. Gli inventori dei più famosi social network attingono a fondi pubblici del governo americano per la ricerca e una volta che i progetti attecchiscono, eludono le tasse e fanno feste da miliardari. Mentre noi continuiamo a digitare piacizzare e chattare.
I sociologi si accaniscono, in dibattiti sterili. Siamo una generazione improntata al “like and share”, sembra un panino di Mc donald’s, invece è la nostra esistenza in cui crediamo di agire da protagonisti e siamo carne da macello. Abbiamo paura che sappiano i nostri dati personali e le nostre informazioni e poi comunichiamo in tempo reale a mille amici luogo e ora dei nostri spostamenti.
Intanto tra condivisioni e tag, siamo sempre di fronte a un filtro, diciamo tutto, ma nella solitudine di una stanza. Non tutto però è così nero come sembra. In tutte le epoche c’è sempre stato qualcosa che si è mosso contro l’omologazione. Che ha utilizzato strumenti di massa per smuovere le coscienze. Dai manifesti affissi per strada clandestinamente, al ciclostile dei volantini, dalla Carboneria e le sue riunioni ai Partigiani, a Radio Londra. Si è sempre cercato di utilizzare quello che per molti era un intrattenimento, una radio, un manifesto, un giornale per arrivare a dire “svegliatevi”.
A me Facebook ha fatto conoscere scrittori, gente di spessore, insegnanti di vita, operai di esistenza che trascinano fieri la propria dignità. Uomini e donne senza un pezzo di carta accademico, in grado di dare lezioni, più di Baroni con dieci lauree, mi ha dato persone viste di presenza, sangue e vene in corpo che posso abbracciare e umanità a cui posso telefonare. Mi ha fatto parlare di legalità, di ciò che scrivo, mi ha fatto invidiare, amare, emulare e odiare ciò che fa il resto dei mestieranti di parole come me. Questo tentativo di usare un mezzo di omologazione, per fini quasi sovversivi di cultura mi ha aperto un sipario.
Lo strumento è lo strumento, la mano può scegliere se usarlo o il cervello se farsi usare. Ma c’è di più. La bellezza arriva anche con strumenti di abbrutimento, abbiamo conosciuto e amato artisti grazie a un tubo catodico.
Michelangelo nel 1527, partorì le sue più belle opere in due pareti di una stanza segreta in Sagrestia Nuova a Firenze. Vi si era nascosto per sfuggire alle ire di Clemente VII. Disegni fatti sulle pareti, del Laocoonte, Il Giuliano di Nemours, il David – Apollo, una bellezza da frantumare il miocardio. In quel momento i Medici volevano Michelangelo morto, non si sapeva se quelle opere sarebbero mai state create.
Anche nel buio, di tempi e di vite, c’è una luce. C’è chi vive da sveglio e con gli occhi aperti, instillandosi una certezza. C’è vita prima della morte. Anche su questo pianeta.