di Silvio D’Auria
Sequestrati nel deserto della Libia e costretti al versamento in euro per il riscatto. Condotti poi sulla costa africana e obbligati al pagamento di una ulteriore somma in dollari per essere imbarcati nella traversata verso la Sicilia.
Un contesto di estrema sopraffazione con stupri di gruppo, segregazioni e percosse. E’ stata questa l’odissea degli immigrati prima che il barcone diretto a Lampedusa naufragasse nelle acque del Canale di Sicilia, dove il 3 ottobre scorso hanno trovato la morte 366 persone. Le violenze e i soprusi, ricostruiti dal Pm della Dda di Palermo attraverso i racconti dei superstiti verificati dalle indagini di Polizia, hanno portato al fermo del somalo Mouhamud Elmi Muhidin, accusato di essere tra i capi dell’organizzazione criminale che gestiva il traffico di esseri umani.
L’organizzazione ha seguito una schema ben preciso e già “collaudato”: i migranti, raggiunti nel deserto, sono stati caricati su “pick up” e sotto minaccia di armi portati successivamente in un luogo di detenzione, a Sebha nel sud della Libia. Dalle testimonianze dei superstiti è emerso che ciascuno ha dovuto contattare i familiari all’estero perché provvedessero a versare su conti correnti cifre tra 3.000 e 3.500 euro, attraverso il circuito “Money Transfer. A pagamento avvenuto per il riscatto, i profughi sono stati trasferiti sulla costa africana e con un’ulteriore somma di 1.500$ (questa volta in dollari per “biglietto” della traversata) hanno atteso la partenza verso il viaggio della speranza su uno degli scafi.
“Una ventina di ragazze – dicono gli inquirenti – pure violentate e stuprate, offerte in ‘dono’ a gruppi di militari armati di mitragliatori Ak/47 Kalashnikov”.