Com’era prevedibile, il potere di Giorgio Napolitano – al suo secondo mandato da Capo dello Stato – con le sue ripetute intromissioni nel dibattito politico, rischia di far inceppare i meccanismi democratici della Repubblica, offuscando e depotenziando i dettami della stessa Carta Costituzionale.
Da più parti, negli ultimi mesi, sono state manifestate preoccupazioni per la democrazia del Paese. Preoccupazioni dovute alla debolezza del governo delle grandi intese che è causa dell’ormai usuale intromissione del Capo dello Stato nella dialettica politica. Inutile nascondere che qualora Napolitano – età permettendo – portasse a termine i sette anni del suo secondo mandato, avrebbe occupato lo scranno più prestigioso della Repubblica per ben 14 anni. Nelle moderne democrazie occidentali, per nessun presidente è previsto un mandato così lungo. Del resto già Carlo Azeglio Ciampi ammoniva: “Sono convinto che 7 anni quassù (Quirinale – ndr) siano già tanti […] raddoppiare il mandato sarebbe una specie di monarchia repubblicana”.
Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, pochi giorni addietro nel corso di un’intervista, parlando di democrazia a rischio di morte, spiegava: “È come se una rete invisibile avvolgesse le istituzioni politiche fossilizzandole; imponesse agli attori politici azioni e omissioni altrimenti assurdi e inspiegabili; mirasse a impedire che qualunque cosa nuova avvenga”. Le parole di Zagrebelsky, pesanti come pietre, “casualmente” facevano seguito ai moniti di Giorgio Napolitano a favore del governo Letta e contro la mozione di sfiducia al ministro dell’Interno Angelino Alfano. “Non ci si avventuri a creare vuoti, a staccare spine, per il rifiuto di prendere atto di ciò che la realtà politica post-elettorale ha reso obbligatorio e per una ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze cui si esporrebbe il Paese”.
Di fronte al sonno della politica e di questi nostri politici, che mal la interpretano a scapito dei cittadini, incuranti del andato che questi ultimi hanno conferito col voto, seppure tramite il “porcellum”, nella giornata di ieri, Fausto Bertinotti dalle pagine del Corriere della Sera, coraggiosamente e senza tanti giri di parole si è rivolto al Capo dello Stato rimproverandolo di aver congelato e sospeso la democrazia. Chissà quale suono infausto le parole di Bertinotti avranno prodotto nelle orecchie del presidente del Senato, che, in occasione del voto sulla mozione di sfiducia ad Alfano, dal suo autorevole scranno aveva ammonito il cittadino portavoce 5S, Morra, affinchè evitasse qualsiasi riferimento rivolto alla prima carica della Repubblica Italiana.
A riportare tra i mortali il presidente della Repubblica, allontanandolo dallo stato di divinità e purezza in cui era stato collocato a seguito del suo secondo mandato da una politica debole fatta da piccoli uomini timorosi e genuflessi, c’ha pensato l’ex presidente della Camera dei deputati nella veste di semplice cittadino e fuori dall’agone politico: “Lei non può. Lei non può congelare d’autorità una delle possibili soluzioni al problema del governo del Paese, quella in atto (governo delle larghe intese – ndr) come se fosse l’unica possibile, come se fosse prescritta da una volontà superiore o come se fosse oggettivata dalla realtà storica” – ha dichiarato Bertinotti.
Una lunga missiva fatta di tanti “Lei non può”, rivolti a Napolitano, che, se da un lato danno il giusto senso dei malie delle tensioni che attraversano il Paese, dall’altro rimettono a centro il tema del “ricorso al voto popolare” quale momento cardine della democrazia.
“Quel che vorrei proporle – ha sottolineato Bertinotti a Napolitano – è che nella politica e in democrazia si possa manifestare un’altra e diversa idea di società rispetto a quella in atto e che la Costituzione Repubblicana garantisce che essa possa essere praticata e perseguita. Il capitalismo finanziario globale non può essere imposto come naturale, né la essa in discussione del suo paradigma può essere impedito in democrazia, quali che siano i passaggi di crisi e di instabilità a cui essi a cui essa possa dar luogo. O le rivoluzioni democratiche possono essere possibili solo altrove? No, la carta fondamentale garantisce che, nel rispetto della democrazia e nel rifiuto della violenza, possa essere intrapresa anche da noi. C’è già un vincolo esterno, quello dell’Europa leale, che limita la nostra sovranità, non può esserci anche un vincolo esterno anche alla politica costituita dall’autorità del Presidente della Repubblica. Lei non può, signor Presidente”.
In risposta a Bertinotti, Napolitano, dalle pagine dello stesso Corriere della Sera, nel difendere il proprio operato, ha rivolto allo stesso Bertinotti una domanda: “i successivi e più recenti sviluppi hanno forse fatto delineare quella possibilità di cui l’on. Bersani dovette registrare l’insussistenza?”. Chiaro il riferimento a quel governo di cambiamento in chiave anti Berlusconi, a cui gli elettori del centrosinistra e quelli del M5S auspicavano. Alleanza PD-M5S per la formazione di un esecutivo alternativo al governo Letta. Cambiamento al quale, in una recente intervista, il guru pentastellato, Gianroberto Casaleggio, ha chiuso le porte.
Napolitano non ha mancato di ricordare come egli consideri il “frequente e facile ricorso a elezioni politiche anticipate come una delle più dannose patologie italiane”.
I moniti e le prese di posizione di questo Capo dello Stato in difesa di questo governo sembrano produrre effetti contrari a quelli sperati. Oramai appare chiaro a tutti che se il governo Letta è stato partorito “dal senso di responsabilità” del Cavaliere (“per il bene dell’Italia”, ma soprattutto suo), il padre, nonché protettore, è sicuramente l’innominabile.
Totò Castellana
Stima profonda all’autore di questo articolo.