Non sempre parlare allo stomaco del proprio elettorato paga soprattutto se le parole utilizzate sono condite da una buona dose di stupidità, odio razziale ed a pronunciarle è il vicepresidente del Senato.
Una magra figura quella rimediata da Roberto Calderoli nel corso del comizio di Treviglio, nel bergamasco, durante il quale ha pesantemente insultato il ministro Cécile Kyenge con l’ormai nota frase: “mi ricorda un orango”. Battuta infelice per la quale adesso il senatore della Lega Nord, è indagato dalla Procura della Repubblica di Bergamo per diffamazione aggravata dall’odio razziale.
Affermazioni di tal genere ridicolizzano ancor più l’operato di coloro che nella Lega Nord a Roma, nei palazzi della Politica, cercano di mantenere un comportamento politicamente corretto mentre, nei territori del proprio elettorato, i politici leghisti si lasciano andare alle più immonde e sguaiate esternazioni nei confronti di quanti ritenuti diversi per origini etniche, religione e tendenze sessuali. Roberto Calderoli, che nel suo intervento in Senato non ha avuto alcuna remore nel definire “esecrabili” le parole da lui stesso pronunciate contro il ministro Kyenge nel comizio di Treviglio, ed ha sottolineato il fatto che in Senato, pur da convinto indipendentista, si è sempre comportato correttamente e con alto senso delle istituzioni. Pronte, dunque le scuse al Ministro dell’Integrazione con la quale Calderoli, dopo averle stretto la mano, ha preso l’impegno di inviarle un mazzo di rose.
Scuse anche al Capo dello Stato, al Presidente del Senato ed ai colleghi senatori, per quelle dichiarazioni che lo stesso vicepresidente del Senato ha definito un “errore grave, gravissimo […] e perché ho reso nocumento all’immagine delle istituzioni di cui mi onoro di appartenere […] Mai più attaccherò un avversario politico con parole offensive. Eppure, l’altro giorno a parlare in Senato era lo stesso padre del Porcellum che nel 2006, dopo la vittoria della nazionale di calcio italiana sulla Francia, riferendosi alla nazionale transalpina disse: “una squadra che ha perso, immolando per il risultato la propria identità, schierando negri, islamici e comunisti”. Parole che suscitarono l’indignazione dell’ambasciatore francese a Roma: “Queste affermazioni non possono che provocare reazioni di odio razziale”. A chiedere scusa al presidente Pietro Grasso e ai senatori della Repubblica, proprio ieri, era sempre Roberto Calderoli delle vignette su Maometto, lo stesso Calderoli convinto che alcune etnie “hanno una maggiore propensione a delinquere”, lo stesso politico del “Sì ai campanili, no ai minareti” e dell’infelice attacco al cardinale Tettamanzi: “con il suo territorio non c’entra proprio nulla, sarebbe come mettere un prete mafioso in Sicilia”. Chi adesso chiede scusa a Cécile Kyenge con un mazzo di rose è quel geniale statista che, nel 2007, propose un Maiale-Day contro l’Islam per protesta in merito alla costruzione di una moschea a Bologna.
Sorge spontaneo chiedersi come mai le forze politiche – non soltanto quelle grazie ai cui voti è stato eletto – a seguito delle offese razziste rivolte al ministro Kyenge, non abbiano chiesto e preteso con veemenza le dimissioni di Calderoli.
Risulta chiara la debolezza politica del Governo incapace di mettere di fronte alle proprie responsabilità chi si macchia di pesanti errori che veicolano nel mondo l’immagine di ciò che sicuramente non siamo. “Non siamo la Repubblica delle Banane!” avrebbe probabilmente ricordato l’avv. Gianni Agnelli se solo avesse potuto assistere al triste spettacolo che la politica e i politici italiani in questi giorni stanno regalando al mondo di loro stessi e del Paese.
Intanto, in seno alla maggioranza di governo, aumentano i malumori. Berlusconi sul caso Kazakistan difende Alfano, minacciando la caduta del governo qualora il ministro dell’Interno fosse sfiduciato o costretto a dimettersi, mentre il segretario del Carroccio dopo le pubbliche scuse di Calderoli, ha invitato tutti a non alimentare polemiche e strumentalizzazioni utili a coprire il rumore di altre questioni. Ognuno è intento a difendere i propri interessi e i propri equilibri interni al partito d’appartenenza, con il PD che rischia l’ennesima spaccatura interna sul voto alla mozione di sfiducia contro Angelino Alfano.
Poiché la superficialità si accontenta di guardare ma non sa vedere, nel dibattito Calderoniano sull’orango si è inserita la cittadina pentastellata Serenella Fucksia la quale, apparentemente senza capire la gravità delle offese razziste del vice presidente del Senato all’indirizzo della Kyenge, ha parlato di un caso di “razzismo al contrario”. “Credo che se qualcuno avesse definito Calderoli un maiale nessuno gli avrebbe dato del razzista”, ha dichiarato Serenella, la quale reputa Calderoli il miglior vicepresidente del Senato che ci sia, aggiungendo un’altra perla di saggezza del Fucksia pensiero e, cioè, che “tutti assomigliamo a qualche animale”. Lei stessa si è paragonata a una papera, mentre l’ex cittadina Adele Gambaro ricorderebbe una mucca. Addirittura la Fusksia avrebbe arricchito il dibattito di questi giorni prendendo le difese delle grandi scimmie: “Ma perché, povero orango? Allora è offensivo anche per l’animale, perché vuol dire che è brutto. Siamo noi che gli diamo una connotazione negativa”. Probabilmente, seguendo l’invito della grillina, la prossima volta Calderoli potrebbe utilizzare il termine “orango” con accezione positiva, magari per rivolgere qualche complimento ai colleghi del proprio schieramento politico.
Come era ovvio aspettarsi e come avviene in questi casi, puntualmente è arrivata la smentita della senatrice Fucksia che ha liquidato le sue dichiarazioni – raccolte da un giornalista del secolo XIX – come frutto di una conversazione decontestualizzata e paradossale.
In un momento politico difficile, come quello attuale, in cui l’Italia per colpa di una classe politica inadeguata inanella figuracce a raffica, incredibilmente, a stemperare i toni è stata la stessa italo-congolese Cécile Kyenge, primo ministro nero della repubblica italiana, che accettando le scuse di Calderoli dichiara: “Non sono io ad avere dei problemi se ci sono dei disagi. Se c’è qualcuno che non riesce ad adattarsi, non sono sicuramente io”.
Totò Castellana