Sono ceceni i due fratelli dell’attentato alla maratona di Boston. Ma sarebbero potuti essere bosniaci, tedeschi o anche italiani. Come nel caso dell’uomo (di Favara (AG) che alcuni anni addietro mise un rudimentale ordigno esplosivo alla base di un monumento della valle dei templi di Agrigento.
Il fondamentalismo islamico
Soggetti che lasciatisi irretire da personaggi privi di scrupoli, quali alcuni ex mujaheddin divenuti imam che incitano alla jihad (guerra santa), si trasformano in autentiche macchine di morte capaci di comunicare solo con il loro comportamento violento.
Un comportamento appreso da predicatori che interpretano artatamente in maniera perversa il Corano, per plagiare i propri allievi e crearne terroristi disposti anche al suicidio.
Poche verità e molte menzogne sono lo strumento utilizzato da questi falsi profeti per indurre gli allievi a colpire i tiranni dell’Occidente, seminando terrore nel mondo.
La logica di chi ha subito umiliazioni e violenze e che nella violenza trova la rivalsa al torto subito.
Un libro che già dalla prefazione, a firma di Franco Angioni, si rivela un ottimo strumento per chiunque operi nel settore o voglia imparare a conoscere questo fenomeno, è quello di Antonio Evangelista dal titolo *“Madrasse – Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa”, che spiega questo mondo a noi ignoto con il quale accade spesso di ritrovarci a fare i conti nella nostra quotidianità all’improvviso scossa da eventi devastanti quali sono gli attentati terroristici.
Nonostante le dichiarazioni rilasciate tempo addietro, nel corso di una trasmissione televisiva, da Armando Spataro, nella qualità di capo dell’antiterrorismo della Procura di Milano, secondo le quali al-Qaeda non è mai esistita, o quelle di Stefano Dambruoso, magistrato esperto in terrorismo internazionale, il quale tempo fa ha escluso il pericolo che possano ancora sussistere le condizioni che diedero luogo alla nascita di strutture come al-Qaeda, il fenomeno del terrorismo islamico è oggi più che mai attuale.
Bosnia-Erzegovina
A prescindere dagli interessi che alcune nazioni possono avere nel fomentare gli estremisti radicali e far sì che il terrorismo diventi minaccia mediatica agitandolo come spauracchio utile a giustificare operazioni di carattere economico-politico-militare, non v’è dubbio che ci troviamo dinanzi ad un fenomeno tanto complesso e radicato da portare alla nascita di mini Stati sharia (ad esempio in Bosnia con Gornja Maoča e Novi Pazar) dai quali il terrore può facilmente essere esportato in tutto l’Occidente.
I più recenti attentati, viste le dinamiche con le quali sono stati portati a termine, lasciano intuire come facciano parte di un disegno di più ampie proporzioni che mira a destabilizzare certezze da tempo acquisite dai paesi occidentali. Un progetto dietro il quale non è difficile ipotizzare l’attività di una delle correnti islamiche più estremiste, radicate in Arabia Saudita ma operanti nei Balcani e in stretto contatto con comunità presenti in città europee come Vienna.
Una rete nata fin dai tempi della guerra dei Balcani (1992/95), quando molti paesi islamici offrirono ai bosniaci assistenza finanziaria e militare, inviando migliaia di guerriglieri mujaheddin a combattere e contrastare le ambizioni espansionistiche della Serbia di Slobodan Milosevic e conclusasi con l’Accordo di pace di Dayton del 1995, che pose fine ai combattimenti. Finita la guerra, molti jihadisti non lasciarono la Bosnia e grazie ai copiosi finanziamenti ottenuti dal governo saudita, con la costruzione di centri di educazione religiosa, promossero l’Islam, anche nelle sue forme più estreme ed intolleranti.
L’Arabia Saudita, nonostante le prove del coinvolgimento in operazioni di finanziamento e di supporto logistico a militanti islamici radicali, ha sempre negato ogni addebito.
Ricondurre il fenomeno terroristico alle dimensioni o alle motivazioni delle singole organizzazioni eversive sarebbe un errore. Le passate esperienze avrebbero da tempo dovuto far comprendere agli operatori del settore, come esistano delle vere e proprie centrali del terrore che vanno ben al di là della fede o delle rivendicazioni dei singoli gruppi, i quali si trovano ad unire le sinergie per combattere un nemico comune o trarne profitto, come nel caso della criminalità organizzata. Prova ne siano le alleanze tra gruppi ultranazionalisti albanesi kosovari, wahabiti serbi e bosniaci e i rapporti degli stessi con il crimine organizzato.
Un quadro molto complesso i cui contorni diventano ancora più nebulosi con la partecipazione dei servizi segreti di nazioni come gli Stati Uniti, ma anche europee. Nonostante l’estremismo islamico in Bosnia sia in crescita da anni, il mondo occidentale e la stessa America hanno sempre – forse volutamente – sottovalutato il problema, almeno fin quando i più recenti rapporti delle intelligence occidentali non hanno evidenziato come la Bosnia sia diventata terreno fertile per il reclutamento di “musulmani bianchi “. Estremisti islamici con caratteristiche tali che potrebbero facilmente passare inosservati in città americane o europee e portare a termine gli attentati.
Vienna
Particolarmente interessante il legame tra gruppi fondamentalisti islamici che operano in territorio bosniaco e la città di Vienna. La sede principale dei wahhabiti bosniaci è Vienna. Molti di coloro che vivono a Gornja Maoča Sangiaccato, in particolare nella città di Novi Pazar hanno collegamenti con i wahhabiti bosniaci di Vienna.
Diverse organizzazioni umanitarie islamiche aprirono la loro sede a Vienna durante la guerra del 1992-1995 in Bosnia. Lo stesso governo bosniaco, ha aperto un conto corrente bancario nella capitale austriaca, mentre quasi 100 combattenti islamici hanno ottenuto la cittadinanza bosniaca attraverso l’ambasciata di Vienna.
L’Austria, rappresenta il principale centro logistico e finanziario per molte organizzazioni islamiche fin da quando attraverso la Die Erste Bank Osterreich, tra il 1992 e il 1995 movimentarono 350 milioni di dollari da donazioni provenienti da paesi islamici.
Mevlid Jašarević, il terrorista che ha aperto il fuoco contro l’ambasciata americana a Sarajevo, è un bosniaco di Novi Pazar che si è convertito al wahhabismo vivendo a Vienna;
Haris Čauševič,, autore dell’attentato nei pressi della stazione di polizia a Bugojno che causò la morte di un agente di polizia nel giugno 2010, era in contatto con Nedžad Balcani alias Mohammed Ebu da Vienna;
Il terrorista Rijad Rustempašić,, era in contatto con la leadership wahhabita a Vienna;
Il villaggio wahhabita di Gornja Maoča venne fondato nel 1990 grazie alla leadership wahhabita di Vienna, da Enes Mujaković (visse a Vienna durante la guerra in Bosnia), Sabahudin Fiuljanin (vissuto a Vienna durante la guerra in Bosnia), Nevzudin Bajraktarević (nato a Vienna) e Sulejman Delić (vive e lavora a Vienna);
Nusret Imamovic, leader di Gornja Maoča, ha trascorso una parte della sua vita a Vienna.
Così come i predicatori più famosi a Gornja Maoča, vengono da Vienna (Mirsad Omerovic alias Ebu Telma e Adem Demirovic dal Sangiaccato).
Tra gli obiettivi dei bosniaci wahhabiti in Austria, l’acquisto di terreni e villaggi per creare delle MAR (Muslim Autonomous Regions – Regioni Autonome Musulmane) come Gornja Maoča, costituendo dei veri e propri mini stati sharia .
Le intelligence
Senza voler dar credito a teorie cospirative, ma avvalendosi dell’esperienza di un esperto di terrorismo e crimine organizzato della European Union Police Mission (EUPM), qual è Antonio Evangelista, l’autore di Madrasse, proviamo a capire se e fino a che punto c’è un coinvolgimento esterno al fenomeno terroristico, che fomenta o comunque interviene in qualche maniera nelle attività svolte dai fondamentalisti radicali.
“La mente che partorí gli attacchi del 11 settembre e alcuni tra i dirottatori e i piloti – scrive Evangelista nel suo libro – combattevano nei Balcani negli anni novanta. A solo un’ora di volo dai grandi centri europei come Vienna e Monaco di Baviera, si addestravano al combattimento contro gli infedeli, anche grazie all’appoggio di alcuni elementi della Cia e di altri servizi segreti occidentali. Cosí riportano diversi giornali, unitamente alla letteratura su al Qaeda, che descrivono a lungo le attività dei terroristi negli altri continenti, mentre il loro spiegamento in Europa è stato pressoché ignorato, a partire dalla guerra civile in Bosnia. Qui migliaia di musulmani dei paesi arabi e dell’Iran combattevano a fianco dei loro «fratelli musulmani» contro i cristiani croati e serbi. Come negli anni ottanta in Afghanistan, in violazione dell’embargo Onu, Washington forniva armi ai guerrieri santi. Osama Bin Laden ricevette un passaporto dal governo «filo-occidentale» di Sarajevo e centinaia dei suoi seguaci si stabilirono in Bosnia e Albania con l’aiuto di agenti dei servizi segreti che li traghettavano in Kosovo e Macedonia, mentre altri si dirigevano a Vienna e Amburgo, da dove prepararono l’inferno delle torri gemelle. A causa della sua storia, la Bosnia-Erzegovina offrí condizioni ideali per stabilirvi un fronte della Jihad, ma fu solo grazie alle interferenze occidentali che i musulmani radicali, sostenitori della guerra santa, riuscirono a cacciarne i politici musulmani moderati nei primi anni novanta. Vienna era, all’inizio, il centro di controllo per le operazioni di contrabbando d’armi per sostenere la jihad. L’esercito musulmano bosniaco fu creato con finanziamenti e volontari del mondo islamico; Bin Laden in persona ne discusse i dettagli con il presidente Alija Izetbegovic. La guerra civile (1992-1995) fu occasione di atrocità commesse da ambo i lati. L‘efficacia combattiva dei guerrieri santi migliorò solo quando Bill Clinton si schierò, con «il suo peggiore nemico» l’Iran, per garantire le forniture belliche ai combattenti islamici. I militari della missione di pace dell’Onu, che avevano osservato la violazione dell’embargo delle armi imposto dall’Onu, furono costretti a tacere. Il protagonista piú importante di questo «Bosniagate» sarebbe stato uno dei fornitori del Pentagono, la MPRI4, che controllava l’esercito bosniaco dopo l’accordo di Dayton del 1995. Invece di rimuovere i fondamentalisti, come la versione ufficiale americana vorrebbe, la MPRI, assunse gli jihadisti piú abili, li addestrò in Albania, paese già infiltrato all’epoca dai seguaci di Bin Laden e poi li mandò a sostenere il movimento terroristico albanese Kla/Uck5 in Kosovo e Macedonia. Gran parte di questa attività era finanziata da fondazioni «umanitarie» saudite, nelle quali anche Bin Laden aveva i suoi collaboratori. In ogni caso, grazie all’appoggio di alcuni occidentali, è stato creato in Bosnia Erzegovina un ponte terroristico, che potrebbe minacciare lo sviluppo del paese medesimo e la sicurezza in Europa. Spostamenti di jihadisti fra i Balcani e la Cecenia sono stati notati da alcuni anni, ma questo non è visto come un pericolo da alcuni politici e media occidentali, perché la lobby dell’industria petrolifera americana guarda alle riserve russe.”
Gli Stati Uniti sapevano?
Un aspetto inquietante è quello che riguarda gli “spostamenti di jihadisti fra i Balcani e la Cecenia – così come riportato da Evangelista – notati da alcuni anni, ma non visto come un pericolo da alcuni politici e media occidentali”.
Dzhokhar e Tamerlan Tsarnaev, i due fratelli che hanno portato a termine l’attentato nel corso della maratona di Boston, sono ceceni. E come se non bastasse, ad alimentare ulteriori dubbi quanto apparso sul sito jihadwatch.org.
Secondo quanto riportato dal sito, gli uomini dell’FBI avrebbero incontrato Tamerlan in più di una circostanza.
L’FBI era stata allertata dai servizi di sicurezza russi in merito ad un possibile attentato a Boston nel corso della maratona, già nel novembre scorso.
Come riferito dalla NBC News, Tamerlan Tsarnaev era stato visto fare sei visite a un noto militante islamico in una moschea nella repubblica russa del Daghestan.
Le visite sono avvenute nel corso di un viaggio di sei mesi che Tamerlan fece alla famiglia nella città di Makhachkala.
Secondo un funzionario della polizia locale, un fascicolo su Tsarnaev è stato consegnato all’FBI insieme a una richiesta di ulteriori informazioni. Tuttavia, l’FBI non ha mai risposto.
L’agenzia ha ammesso di aver sentito Tamerlan Tsarnaev nel 2011, dopo che la Russia aveva manifestato preoccupazioni sulla trasformazione dello stesso in un seguace dell’Islam radicale. Il caso venne archiviato senza ulteriori indagini
L’FBI ha rifiutato di commentare le notizie.
Tuttavia, alti membri del Congresso hanno ripetutamente accusato il Bureau di aver lasciato “cadere la palla” ….
Non meno significativa la notizia secondo la quale l’apparato di sicurezza degli Stati Uniti, dopo la richiesta di cittadinanza da parte del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, aveva bollato la pratica di Tamerlan, dopo aver scoperto dell’ex interesse dell’FBI per la sua persona.
L’FBI non ha inoltre spiegato il motivo per cui non si è recuperato immediatamente il file Tsarnaev dopo l’attentato – un evento che avrebbe innescato controlli di routine su persone sospettate di coinvolgimento con i gruppi militanti islamici.
Anche tre giorni dopo, quando l’FBI ha identificato correttamente gli attentatori dopo aver esaminato per ore i filmati delle telecamere a circuito chiuso e i video pubblici della gara, non sono riusciti a incrociare la fotografia con un uomo la cui immagine avevano già in archivio.
Contattata da The Daily Telegraph, che chiedeva di sapere perché il file di Tamerlan era stato trascurato in seguito agli attentati, l’FBI non ha voluto commentare sulle “questioni operative”….
Un altro repubblicano, il deputato Peter King, presidente della sotto-commissione per l’antiterrorismo e intelligence, è stato ancora più diretto, accusando l’FBI di avere un track-record fallimentare nel monitorare potenziali minacce terroristiche.
“Questo è almeno il quinto caso di cui io sono a conoscenza, che l’FBI non è riuscita a fermare qualcuno,” ha dichiarato Peter King a Fox News, citando casi, tra cui quello di Anwar al-Awlaki, che ha pianificato attacchi terroristici come appartenente ad al Qaeda e Nidal Malik Hasan, che ha aperto il fuoco a Fort Hood, in Texas, nel 2009, uccidendo 13 persone.
“Questo è l’ultimo di una serie di casi come questo … in cui l’FBI ha dato informazioni su qualcuno indicandolo come un potenziale terrorista, li guardano e non agiscono, poi escono e si impegnano ad ucciderli…”..
Teorie sul coinvolgimento di servizi e strutture private paramilitari
Come quasi sempre accade dopo un evento terroristico, nascono più teorie su chi avesse interesse a metterlo in atto o su chi materialmente lo abbia commesso.
Anche nell’attentato della maratona di Boston, come spesso accade, ci si accorge successivamente della presenza di uomini appartenenti a forze armate, servizi segreti e/o a strutture paramilitari.
A Boston i fotogrammi dei filmati hanno “catturato” la presenza di appartenenti ad un gruppo paramilitare di elite Navy SEAL (CRAFT).
La Craft International, è un’agenzia di sicurezza militare privata.
La comunità online 4chan (luogo di nascita degli Anonymous), composta da utenti invidiabili per competenze tecnologiche, ha iniziato un’indagine sull’attacco alla maratona di Boston.
Durante gli ultimi quattro giorni, messaggi anonimi hanno invaso di fotografie di possibili sospetti il forum 4chan, tra teorie, video e informazioni di polizia … Tra questi, almeno un messaggio particolarmente interessante.
Questo post è stato pubblicato il Lunedi alle 18:42, solo un’ora dopo l’attacco, insieme ad una foto della scena dell’esplosione. Nel messaggio anonimo sono presenti una serie di previsioni su come il Governo procederà nell’investigazione e su ciò che l’utente anonimo ritiene che accada una volta finita.
L’utente scrive che la colpa dell’atto terroristico verrà scaricata su ragazzi poco più che ventenni e che gli stessi non sarebbero stati individuati se non sul finire della settimana successiva all’attentato (fatto verificatosi).
“Questo attacco è una messa in scena. I morti e i feriti sono reali, ma l’evento è stato pianificato” – continua l’anonimo, il quale prevede come gli investigatori troveranno armi e un libro della National Rifle Association in casa del sospettato. Il messaggio postato continua dando indicazioni sul materiale utilizzato per creare l’ordigno e termina con la richiesta da parte dell’utente di non rendere pubblici dati che potrebbero portare alla sua identificazione.
L’indagine non ufficiale prende l’avvio e ben presto dalle immagini vengono fuori uomini in abiti militari che vengono identificati come appartenenti alla Craft International.
In particolare vengono individuati due soggetti che vestono gli stessi abiti degli uomini della Craft International, compresi i loro loghi, che si trovano in piedi nel punto dell’esplosione e portano sulle spalle zaini neri.
Le immagini successive mostrano gli stessi uomini fuggire via dal luogo dell’esplosione, poco prima che la stessa avvenga, senza che uno di loro abbia più lo zaino che poco prima portava sulle spalle.
Che cosa hanno fatto i membri della Craft durante l’evento? Perché erano nello stesso luogo dell’esplosione? Come facevano a sapere quando fuggire dalla zona? Dov’è finito uno degli zaini che portavano?
Queste ed altre le domande che molti siti di controinformazione propongono.
Fonte della notizia: http://2012elblog.com
Craft Internazional
“L’agenzia paramilitare fornisce servizi di sicurezza e lezioni di addestramento come un esercito professionale o un corpo di polizia – così viene presentata sul sito ufficiale.
Il nostro obiettivo con i nostri corsi, è quello di darti la capacità di dominare il tuo avversario e vincere.
Siamo onorati di far parte della vostra ricerca in corso e di poter perfezionare l’arte che avete scelto. Grazie per il vostro servizio continuo, dedizione e sacrifici fatti come partner nel proteggere questa grande nazione, in patria e all’estero.
Rispettosamente
Chris Kyle, Presidente Craft Internazional
Chris Kyle
Chris Kyle (USN, con onore nel 2009) era uno dei migliori cecchini della storia delle forze armate statunitensi. Dal 1999 al 2009, è stato indicato come il più brillante cecchino nella storia militare degli Stati Uniti. Gli insorti iracheni temevano Kyle tanto da chiamarlo capo al-Shaitan (“il diavolo”) e mettere una taglia sulla sua testa. La sua esperienza di combattimento includono, quella di cecchino, primo Quarters Battle, ricognizione, pattugliamento del deserto di vasta portata, sicurezza personale e formazione di alleati stranieri. Oltre a lavorare e allenarsi con i Navy Seals elite, capo Kyle ha anche servito con unità dell’esercito, Corpo dei Marines e altre agenzie governative.
SEAL Team 3 Capo Chris Kyle ha preso parte ai combattimenti durante l’operazione di liberazione dell’Iraq. Per il suo coraggio in battaglia, è stato premiato con due stelle d’argento, cinque stelle di bronzo al valore, due medaglie Navy e Marine Corps Achievement ed è stato lodato dalla Marina Militare e dal Corpo dei Marines. Ha inoltre ricevuto l’onorificenza del riconoscimento nazionale ed è stato proposto dall’Istituto ebraico per gli Affari di Sicurezza Nazionale. Divenne capo istruttore per la formazione di Naval Special Warfare Sniper e fu l’autore di un libro di successo: “American Sniper: The Autobiography del cecchino più letale nella storia militare degli Stati Uniti.”
La Craft Internazional offre dunque servizi di sicurezza di tipo militare e corsi di addestramento.
Immagini e video dell’attentato a Boston
Dalle notizie reperibili su internet, risulterebbe la pianificazione o quantomeno la quiescenza delle istituzioni americane riguardo l’attentato.
Membri del Craft International sono legati alla sparatoria avvenuta nella scuola del Connecticut.
Alcuni messaggi indicano che i tre membri della Craft International sono gli stessi che appaiono davanti alle telecamere, vestiti da agenti di polizia, in un reportage sulla controversa sparatoria nel collegio in Sandy Hook, al minuto 01:13:15 del video.
Particolarmente interessanti le immagini pubblicate su questo sito, che mostrano gli uomini della Craft al momento dell’attentato.
Poco prima dell’attentato, un membro della squadra CRAFT si trova sul posto.
Zoom di quello chel’uomo tiene in mano
Si tratta di un rilevatore di radioattività.
Altri uomini operativi di Chris Kyle.
I tre uomini sono sorpresi dall’attacco e quindi sembra che non se lo aspettassero.
Tutti indossano uniformi e logo CRAFT
Due uomini indossano la stessa divisa
Logo CRAFT
Chris Kyle in un programma porta il berretto FOX The Craft.
Lo zaino che conteneva la bomba fatta esplodere, sembrerebbe molto simile a quello adoperato dagli operatori della Craft.
Conclusioni
Seppure sarebbe difficile ipotizzare una loro diretta partecipazione alla collocazione degli ordigni esplosivi. – sarebbe infatti abbastanza inverosimile che in una circostanza del genere gli uomini della Craft indossassero uniformi con il logo dell’agenzia – è inquietante la presenza di operatori della Craft Internazional sul luogo dell’attentato.
Resta poco chiara la loro presenza sul posto e la ragione per la quale stessero adoperando dei rilevatori di radioattività, quasi che si temesse la presenza di una “bomba sporca”.
Irrisolti inoltre i dubbi su cosa contenessero gli zaini e che fine abbia fatto uno degli stessi al momento dell’attentato.
Gli uomini della Craft si trovavano sul luogo per una diversa missione? Quale e per conto di chi? Erano lì per offrire supporto logistico e materiale a chi avrebbe materialmente piazzato gli ordigni?
In questa seconda ipotesi, non troverebbe però spiegazione l’utilizzo di rilevatori di radioattività. Cosa sapevano che altri non sapessero e che giustificasse la necessità di rilevare eventuali tracce radioattive?
Le uniche certezze che al momento si possono avere, sono quelle che riguardano il coinvolgimento di servizi segreti, non solo americani, nel finanziamento e nell’addestramento di fondamentalisti islamici; l’aver sottovalutato – forse volutamente – il pericolo che alcuni stati dei Balcani possono rappresentare per l’Occidente; l’apparente incapacità dell’FBI nel prevenire l’attacco terroristico e successivamente nella gestione del caso.
Non v’è dubbio però che il sistema di sicurezza americano ha ampie falle all’interno delle quali tutto appare possibile. CIA, NSA ed FBI devono rispondere del loro operato – e rendicontarne le spese – al Congresso degli Stati Uniti, tranne le somme destinate ad altre agenzie. Agenzie che – apparentemente private – ma in verità paragovernative – vengono dai servizi pagate per portare a termine missioni dalle quali il governo americano preferisce prendere ufficialmente le distanze…
Gian J. Morici
*Prefazione del libro “Madrasse – Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa”,
di Franco Angioni
Il motivo ispiratore del libro Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa, trae origine dalle rovine delle recenti guerre balcaniche e si concentra sulla sorte dei bambini rimasti orfani a causa di quelle guerre. Tra questi bambini, alcuni personaggi privi di scrupoli, individuano quelli che, in possesso di caratteristiche somatiche spiccatamente europee, sono destinati a diventare attentatori suicidi. Argomento di grande tragicità, che lascia il lettore interdetto, incredulo, fortemente preoccupato, ma, soprattutto, in uno stato di atterrita impotenza di fronte a tanta malvagità.
Il libro di Antonio Evangelista, per lungo tempo testimone attento e scrupoloso delle guerre balcaniche, nella parte iniziale, fornisce uno scenario storico particolarmente interessante, per dimostrare che l’incitamento alla «guerra santa» e la predicazione basata sull’interpretazione perversa del Corano, affondano le radici nel passato.
Nei capitoli successivi sono illustrate le tecniche e le procedure per plagiare i bambini e ridurli all’obbedienza assoluta dei loro maestri. Sono di seguito presentati i personaggi, gli ambienti, i crimini e le atrocità tristemente descritti anche dalle cronache recenti. A mano a mano che si procede nella lettura, prende forma la vicenda umana delle vittime innocenti. Ciò che emerge è tragico, crudele, certamente poco noto al grande pubblico, ma purtroppo vero, perché questo e altro avviene nelle cosí dette «guerre civili», che civili non lo sono affatto, anzi sono forse le piú crudeli fra tutte le guerre. Ma non basta; quanto descritto nel libro, rappresenta una parte del tutto, la famosa «punta dell’ iceberg».
Gli avvenimenti bellici che accompagnano il ragazzo Gjorgje Kastrati si sono realmente verificati, anche se nel racconto vengono correlati in modo da rendere verosimile la disponibilità psicologica, la volontà nell’apprendimento, la sopportazione dei sacrifici e del dolore fisico del giovane Gjorgje per acquisire la determinazione a offrire la propria vita alla «causa» e, di conseguenza, a diventare un «martire».
Il Madrasse non è un libro di pura fantasia. È un documento sul terrorismo di oggi e sui personaggi che lo ispirano, lo organizzano, lo guidano e soprattutto lo esaltano attraverso alcune verità e molte menzogne.
Costoro non sono tanto interessati a raggiungere la «vittoria» nel senso comune del termine, quanto a perseguire il risultato immediato delle rovine fumanti, delle urla di disperazione, dell’odore acre delle distruzioni, rifiutando immediati vantaggi terreni, perché sicuri e soddisfatti della ricompensa eterna.
La conclusione è geniale e, per certi versi gratificante, tale da far tirare al lettore un sospiro di sollievo; di piú non posso anticipare.
Il Madrasse, nel suo insieme, indica al mondo occidentale la necessità di opporsi a un nemico preparato e determinato, ma sembra anche formulare una domanda: esiste la consapevolezza che sarà sempre piú difficile riconoscere gli avversari, se tra essi aumenterà il numero dei «terroristi suicidi bianchi»?