Tre morti e 176 feriti è il bilancio di ieri dell’attentato durante la maratona di Boston. Due esplosioni non rivendicate da nessuno, ma di chiara matrice terroristica, che lasciano irrisolto il dubbio della pista internazionale riconducibile ad Al Qaeda e quella interna americana.
Mentre il paese vive nuovamente momenti di massima allerta, gli inquirenti sembra stiano cercando “un uomo con la pelle molto scura o nera” presumibilmente con un accento straniero che sarebbe stato visto alcuni minuti prima dell’esplosione mentre cercava di entrare in un’area sorvegliata.
Quasi a voler confermare la fondatezza dei timori di una recrudescenza del terrorismo islamico che già in passato ha insanguinato diverse nazioni, dagli Stati Uniti all’Europa, uno dei tanti messaggi postati su YouTube da Bilal Hussein Bosnic: “Abbiamo bisogno di mobilitare tutti, dovremmo stare tutti in difesa dell’Islam, secondo le nostre capacità”, dice Bosnic, uno leader del movimento wahhabita in Bosnia, arrestato la settimana scorsa con l’accusa di terrorismo, ma rilasciato perché l’accusa non ne ha chiesto la custodia.
Bosnic avrebbe dovuto partecipare alla protesta di Novi Pazar per il film “musulmani innocenti”, che ha provocato numerose manifestazioni nei paesi musulmani a causa di rivendicazioni che insultano il profeta Maometto.
“Dobbiamo amare colui che Allah ama e odiare chi Allah odia. Dobbiamo odiare gli infedeli, e anche coloro che erano i nostri vicini di casa, o vivono nelle nostre case” afferma in un messaggio un altro leader dei wahhabiti.
Ancora una volta è sulla Bosnia-Erzegovina che si puntano gli occhi di chi è interessato agli aspetti del terrorismo islamico.
Durante la guerra dei Balcani (1992/95), molti paesi islamici offrirono ai bosniaci assistenza finanziaria e militare, inviando migliaia di guerriglieri mujaheddin per combattere e contrastare le ambizioni espansionistiche della Serbia di Slobodan Milosevic. L’Accordo di pace di Dayton del 1995, che pose fine ai combattimenti, di fatto finì con il creare due identità nazionali divise dal credo religioso.
Finita la guerra, molti jihadisti non lasciarono la Bosnia, e grazie ai copiosi finanziamenti ottenuti dal governo saudita, con la costruzione di centri di educazione religiosa, hanno promosso l’Islam anche nelle sue forme più estreme ed intolleranti, come il wahabismo. È proprio da alcune di queste scuole coraniche (Madrasse), che viene il maggior pericolo per il resto del mondo e in particolare per l’Europa.
Nell’ottobre del 2011, Mevlid Jasarevic, musulmano (bosniaco) appartenente al movimento radicale islamico wahhabita, sparò contro l’ambasciata americana di Sarajevo, dopo che pare che avesse trascorso “del tempo nel villaggio di Gornja Maoča (in Bosnia) e a Vienna”, città dove secondo informazioni provenienti dalla comunità islamica bosniaca, le reclute del movimento Wahhabi verrebbero formate ed istruite lontano dai Balcani.
Successivamente si sparse la notizia secondo la quale l’ispiratore dell’attentato, potrebbe essere stato l’egiziano Imad al Misrì, ex leader religioso dell’unità militare “El Mudzahid”.
Nonostante l’estremismo islamico in Bosnia sia in crescita da anni, il mondo occidentale e la stessa America hanno sempre sottovalutato il problema, almeno fin quando i più recenti rapporti delle intelligence occidentali non hanno evidenziato come la Bosnia sia diventata terreno fertile per il reclutamento di estremisti islamici.
Ancora una volta torna d’attualità il libro di Antonio Evangelista dal titolo “Madrasse – Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa”, che spiega in chiave narrativa cosa rappresenti il fondamentalismo islamico per i Balcani. Così come di grande attualità tornano i nomi di località bosniache come Gornja Maoča Sangiaccato e Novi Pazar che hanno collegamenti con i wahhabiti bosniaci di Vienna.
Boston-Sarajevo, separate da migliaia di chilometri, ma unite da un unico filo rosso di sangue: il terrorismo.
Gjm