Piccoli passi allineati a seguire un’immaginaria traiettoria, linea di demarcazione salvifica tra il bene e il male, tra se stessa e l’altra se.
Si sentiva così. Scissa, divisa, riflessa in uno specchio d’acqua che non la ritraeva.
Un passo dopo l’altro lungo il filo di un equilibrio vacillante ed oscillante.
Uno dopo l’altro, piedi allineati con cura meticolosa, braccia tese e testa bassa a fissare quel filo, la mente protesa a non perdere la concentrazione per non cadere a terra e forse morire.
Sentiva il cuore pulsarle velocemente nel petto a scandire il ritmo dei suoi passi incerti e poi, poi perdere improvvisamente l’equilibrio e volare giù.
Nessun appiglio a cui sorreggersi, nessuno ad attutire il colpo della caduta, vento tra i capelli e nei vestiti, immagini sconnesse, suoni distanti, il suo corpo che prende velocità e diventa pesante, il suolo che si avvicina, lo schianto lo sente ancora prima di toccare il fondo.
Grida o pensa di farlo ma è un urlo senza voce, bocca aperta a catturare l’ultimo respiro, aria da rubare per sopravvivere. Furto di vita.
Si alza da terra. Il cuore batte all’impazzata, si tocca la fronte madida di sudore e si avvicina allo specchio. Chi è la donna che la sta osservando?
Gli occhi sono indagatori, accusatori, giudicanti. Spenti come la sua vita, persi come la sua mente.
Ansima, perle di sudore le incorniciano un viso emaciato, pallido, arreso, segnato da quel male che non puo’ estirpare, che non riesce a gestire, che non sa controllare. Sta impazzendo?
Di scatto si gira verso la cucina, apre il cassetto, prende un coltello.
La lama d’acciaio le rimanda il bagliore incerto della luna. Inclina il volto per osservare quel luccichio che viene e va, quasi ad ipnotizzarla.
Rimane così per tanto tempo, forse per sempre. Ha paura del “sempre”, di tutto ciò che non ha una durata, una data di scadenza perché tutto ha un inizio e una fine. Tutto.
Il sempre la spaventa. Il sempre non ha tempo. L’eternità non esiste.
Un rumore la scuote. Si guarda le mani tremanti. Cosa ci fa con un coltello in mano?
Non ricorda. Torna verso la sua camera. Un passo dopo l’altro, funambola sul filo del destino.
Il coltello nella mano, lo specchio davanti a se e di nuovo quella donna che la osserva.
Ne ha paura, trema, suda, si sente svenire.
Poi ecco che la sua rabbia viene improvvisamente fuori, solleva il braccio e con la lama del coltello colpisce lo specchio. Una, due, tre volte. Urla e colpisce. Colpisce ed urla. Vetri in mille pezzi per la stanza, schegge che le si conficcano nella pelle, sangue e lacrime sul corpo. Continua a colpire con veemenza ignara del dolore e delle ferite. E ancora affonda il coltello per uccidere, per uccidersi.
Poi si accascia al suolo. Una sottile striscia di sangue traccia il percorso della sua resa sulla parete bianca.
Da fuori sente un gran vociare, i vicini hanno chiamato i soccorsi, sente i colpi sulla porta d’ingresso, il suo nome ripetuto all’infinito, un tonfo, la porta che cede, passi veloci nella casa, poi più cauti. Li sente rallentare ad ogni angolo perché ogni angolo nasconde un pericolo.
Anche loro hanno paura.
Pensa. Velocemente pensa che ha ucciso. Si guarda attorno ma non vede il corpo di quella donna. Eppure l’ha uccisa, il sangue sulle mani non è suo. Afferra di nuovo il coltello, dalla finestra aperta una leggera brezza le scompiglia i capelli, sale sul davanzale.
Strana la città che dorme, il silenzio che la avvolge le fa quasi tenerezza. Immagina che dietro ogni piccola finestra di quell’immensa città c’è una vita, una persona che sogna o forse lotta con i suoi fantasmi. Qualche luce ancora accesa. Sarà una vita insonne.
La luna torna ad illuminare il suo coltello.
Eccoli. Sente i passi giungere nella sua stanza. Passi che calpestano mille vetri in frantumi. Uomini che si fermano, la osservano, si guardano.
Hanno paura, lo sente. Hanno paura di non riuscire a salvarla e non sanno che nessuno potrà mai salvarla.
Sente altri uomini scendere di corsa le scale, vogliono cercare di aprire ali sintetiche per attutire la fine del suo volo. Non è stupida lei, forse un po’ folle ma non stupida.
Guarda giù. Luci lampeggianti e grande concitazione. Vede illuminarsi piccole finestre, qualcuno si affaccia, qualcuno grida. Qualcuno non sa. Quante vite sta disturbando!
Tornate a dormire, voglio dormire anch’io.
Poi apre le braccia, passi che avanzano su vetri frantumati, si sente afferrare per una gamba ma è troppo tardi. E’ già in volo. Vento tra i capelli e nei vestiti, immagini sconnesse, suoni distanti, il suolo che si avvicina.
Stavolta si che ha perso l’equilibrio, troppo fragile il filo del destino per resistere ai suoi passi incerti.
Le ultime immagini che il suo inconscio le regala sono di lei bambina mentre gioca a fare la funambola nel circo del suo piccolo mondo fantastico.
Una linea di gesso sull’asfalto e lei che passo dopo passo cerca di mantenere l’equilibrio.
Uno dopo l’altro, piedi allineati con cura meticolosa, braccia tese e testa bassa a fissare quel filo, la mente protesa a non perdere la concentrazione per non cadere a terra e forse morire.
Uno dopo l’altro rivede tutti i passi della sua vita. Poi nulla più, per sempre.
Immagine presa dal web