Piove. Ho ricevuto la tua lettera. Non so se ascoltare le tue parole o la pioggia. Riconosco al suono da dove sta precipitando in questo momento: dalla grondaia, dal portico, batte con violenza sulle finestre appena si solleva il vento. E’ tutta intorno la Foresta, dove ci siamo incontrati per lavorare tante volte. Ho spiegato, a te e al caro Filosofo, cosa voglio farne dei vostri suggerimenti, quanto ci incontreremo ancora, per lettera, o qui. Vi verrò incontro, lavoreremo. Voglio ascoltare le vostre proposte, e voglio scegliere tra esse. Le vostre idee confesso, mi fanno sentire come un bambino in un negozio di dolci.
E questo luogo, è già un caos di suoni a cui dare ordine e di nuovo disordine, ricreando un sistema nuovo, come quello che abbiamo provato a sperimentare, perché di questo si tratterà, fino alla fine, sperimentare.
Vorrei che Nuria fosse qui, a sentire i nostri discorsi, a parlare con Massimo, e ad ascoltarti, Roberto, mentre provi, al Flauto basso, e la luce colpisce le curve dello strumento simili all’argento antico. Avrei voluto utilizzare un ottavino, ho studiato tanto le sonorità di questo strumento, ma ora mi accorgo che è bene inserire il Flauto e te, che siete la musica. Ma quello che ora mi tiene impegnato, è il Coro.
E’ cambiato qualcosa in questi anni. Non penso più a confondere ed elaborare, ad enunciare le possibilità sonore di questa narrazione che conduco a volte per mano, a volte credo di lanciarla, spesso concludo che debba nascere da un canto interiore. Cerco sempre di più il silenzio che abita lo spazio tra un’isola e l’altra, tra un paesaggio e l’altro, come il mare immobile intorno alle terre, come il fiato degli animali notturni si insinua nello spazio tra i rami.
Massimo mi ha scritto, non ha fatto che leggere e ripensare, mi sottolinea i versi, ed ogni verso costituisce una esplosione di possibilità.
Penso che lascerò sul tavolo la tua lettera, indosserò qualcosa che mi ripari dalla pioggia, e uscirò qua fuori. Il vento e la pioggia flagellano il giardino, la Foresta oggi ha tutte le ragioni di chiamarsi Nera, non per le ombre, ma per il peso del cielo che incombe. Debbo ascoltare. Altrimenti non riuscirò a conoscere. Raccogliere. E’ come se discendessi, qua fuori è una unica fonte che si riversa dal cielo. In tasca ho alcuni appunti, frammenti di testi inscritti nell’oro, in ossequio alla dea della memoria. Appunti, per non perdersi. Anche per oscillare, perché ogni cosa abbia una direzione e possa poi repentinamente mutarla. Ora comprendimi, non c’è un compositore fermo nella sua stanza, nella sua casa, dentro una foresta, che sta solo mentre fuori infuria la tempesta, che sta sordo al mondo, alla memoria degli uomini. Sarebbe dannarsi, sarebbe stato inutile esserci ed avere questa grande curiosità in dono. Sarebbe stato inutile addestrarsi a certi paesaggi, alle cupole ascese direttamente dal mare come ce ne sono nella mia città.
Il vento funziona come il trattamento elettronico che procureremo alle voci, e al suono del tuo Flauto, alla direzione nello spazio, al prima e al dopo, alla fine diviene vortice e azzera il tempo.
Le lamelle orfiche indicano la memoria dell’umanità, c’è questa vibrazione che attrae ognuno di noi, ci ripesca dal silenzio, fa emergere una voce, due voci, infine ci aggrega, ci rende passato, memoria, coro, tragedia. Il tuo Flauto userà il forte, fortissimo, trasmigrerà da una nostalgia all’altra, emergerà dalla storia per entrare nell’Utopia.
Dovremmo trovare lo spazio in cui flettere i suoni, piegarli o liberarli, non possiamo utilizzare per questo luoghi angusti, ho bisogno che le voci del Coro siano in continuo movimento, lentamente sai, quel lento inesorabile spostarsi che unifica, che trasforma molte voci in una sola voce, in un unico organismo. Devo isolare suoni multipli utili, separare i suoni buoni. Dovremo adattare la composizione alla manipolazione elettronica, ti tornerà il suono, caro flautista, e dovrai regolarlo sulle tue mani, sul tuo fiato, sulla presa dello strumento.
Si è fatto silenzio, d’improvviso, o almeno sembra. Ha smesso di piovere.
Ritornerò alla tua lettera, risponderò alle vostre sollecitazioni. Mi sento è vero un eterno viandante, ma la mia nostalgia viaggia dal Coro al Flauto, dall’oscurità mai rivelata del tutto, l’ombra da cui avanza il passato, l’antro in cui discende un morto a cui amorevolmente sono state consegnate delle indicazioni per l’eternità, inscritte nell’oro, come tu mi dici, che è possibile pensare sia anche il canto antico che si addensa nelle gole del Coro, e la nostalgia per il futuro, guardare in fondo fin dove si può, in questo nero fitto. Ora una nebbia si sospende sugli alberi e scendono gocce trasparenti, minute, discrete, quasi polvere.
Dovrò pensare al Coro e alla sua scrittura, trovare segni nuovi per comunicare con l’umanità futura che è già qui, se io la penso. E separare frammenti, brevi memorie strappate alla dea.
Lentissimo, una comunicazione lentissima che ci giunge come da ombre tarde, concentrate, riflessive. E per proiettare il suono del tuo strumento verso l’illusione prossima futura utilizzeremo un altro tempo, un altro campo acustico.
Qualche ramo è caduto sotto la tempesta, guardo la vetrata che dà sul giardino e l’interno della casa scruta me, la lampada accesa che illumina il tavolo e la tua lettera bianca, abbandonata come un corpo al sole. Mi sembra che molte verità rimbalzino le une dentro le altre, unendosi in un ordine di contemporaneità, il mio lavoro è trovare loro una voce.
La ricchezza che stiamo vivendo equivale al presente eterno, alla somma dei presenti che è bene tenersi stretta. Vedo la mia immagine riflessa nelle trasparenze della casa, e alle mie spalle le ombre in movimento degli alberi. Quello che è trasparente raccoglie, ridona, riflette. Scontorna o amplifica, suggerisce una verità possibile. Anche il suono vi si infrangerebbe ritornando indietro una dura poesia. Di questo vi parlerò, spero che arriviate presto.
Si introduce verso i gradini che salgo, appena sulla stoffa dei miei abiti, sui miei capelli, tra le guance, il vapore della sera, l’immagine della moltitudine vegetale che pressa la mia casa, un sapore nuovo dell’aria, una qualità dei suoni e dei richiami, un insieme che mi fa pensare che alla musica non si arriva, ma semmai vi si torna, come ad una limpidezza, una “limpidezza che respira”.
Sara Milla
Questo racconto è dedicato al compositore Luigi Nono e alla sua composizione “Das atmende Klarsein” (Dopo tarda tempesta, la limpidezza del respiro)per piccolo coro, flauto basso live electronics e nastro magnetico.