“Anche nel fare impresa la Sicilia è un’Italia al cubo (S=I3)”, questa la tesi di Davide Giacalone, di LeAli alla Sicilia. “Competere nei mercati globali, o anche solo stare sul mercato è impossibile se: a. l’accesso al credito è negato, o praticato a tassi d’interesse nettamente superiori a quelli che pagano i concorrenti; b. l’onere burocratico è sproporzionatamente superiore; c. l’aggravio fiscale è irragionevolmente superiore; d. i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione esigibili (quando lo sono) in tempi sei volte superiori a quelli europei; e. i debiti verso la pa non solo sono immediatamente esecutivi, ma non assolvendoli si perde diritto al credito; f. l’accesso alla giustizia di fatto negato, visto che richiede tempi calcolabili in lustri; e. il sistema formativo estraneo a quello produttivo. In queste condizioni la desertificazione produttiva e lo sterminio aziendale è la sorte annunciata”. “Una regione arretrata e massacrata è un enorme problema sociale ed economico, ma anche un’opportunità di sviluppo da recuperare. La Sicilia può crescere assai più dell’Italia. Ma occorrono le condizioni:
1. fine di ogni assistenzialismo distorcente;
2. riduzione netta della spesa pubblica corrente;
3. parallela riduzione del carico erariale e adozione massiccia della fiscalità di vantaggio;
4. riduzione drastica delle funzioni svolte dall’amministrazione pubblica, concentrandosi sulla programmazione e sul controllo dei risultati;
5. smantellamento degli animali misti societari e uscita dell’amministrazione dall’affarismo;
6. cessione di funzioni e ricchezza al mercato, mediante esternalizzazioni;
7. vantaggi per investimenti e capitale di rischio in arrivo dall’estero”.
“Potete pure far spallucce e considerare queste delle minchionerie fantasiose – ha concluso Giacalone – preferendo, invece, affidarvi a chi promette maggiore socialità continuando a bruciare ricchezza e praticare il clientelismo. Potete credere che si possa chiedere alla regione la soluzione di un problema che ha la regione fra le sue cause. Ma, alla fine, non sarà difficile stabilire chi è più minchione: chi pensa che il mondo debba cambiare, o chi s’illude che l’attuale porcheria possa sopravvivere”.