L’ Olio friggeva e fischiava intorno ai tocchetti di melanzane, e nell’aria di preaurora si diffondeva l’odore di fritto. Sul tavolo erano già aperte le ciriole di pane bianco, e Augusta ci infilava un po’ di tocchetti di melanzane fritte e chiudeva il panino con dei tovaglioli di cotone. Poi li infilava in una busta del pane, e li sistemava sul fondo della borsa del mare. I due ragazzi e la bambina erano già svegli. Suo marito era andato al lavoro, come ogni mattina. Lui non faceva ferie. Le sue ferie le utilizzava per un secondo lavoro, a Maggio, come bigliettaio alla Fiera di Roma. Augusta si alzava avanti giorno per preparare il pranzo da portare al mare. Il pullman del Ministero passava a prenderli alle sette, e poi li scaricava a Fregene per tutto il giorno, fino alle sette di sera. Augusta metteva il costume e sopra una vestaglietta prendisole che aveva comprata a rate dalla mercantina di zona. Tutta la loro biancheria era stata acquistata così, un tanto a settimana. Per pagarla Augusta se ne partiva dal suo quartiere, in periferia, per andare in Prati dalle sue clienti a cui proponeva ogni settimana di farsi almeno un manicure. Certo a volte le costava quasi più di autobus, ora che la bambina pagava pure lei il biglietto. Alle sei erano tutti pronti, il maschio non voleva prendere la sua borsa, e allora Augusta se la caricava lei, e anche la figlia grande protestava, perché lui si e io no, e allora prendeva anche la sua e loro se ne camminavano avanti immusoniti e non volevano nemmeno dare la mano alla bambina. Se ne stavano tutto il tempo a recriminare che la bambina mangiava i biscotti nel latte e loro il pane. Avevano diciotto e vent’anni, la bambina sei. Si sarebbero dati ancora degli anni insieme, sospirò Augusta, ma quei due erano veramente una preoccupazione. Di studiare non se era parlato più dopo le bocciature, di lavorare nessuna voglia, ogni due mesi venivano licenziati per un motivo o per un altro, la lamentazione più assidua se appena qualche datore di lavoro li rimproverava, era che mica facevano i servi, loro. Al momento di pranzo tutte queste problematiche venivano fuori, esposte per bene con tutto il corollario di assurdità che si formava nella testa dei due pervicaci. Allora il padre urlava, menava le mani, minacciava distruzione della prole, e via discorrendo.
In fondo alla strada c’era il luogo dell’appuntamento con il pullman, che arrivava già stracolmo di iscritti allo stabilimento del ministero. Ad ogni cabina erano assegnate almeno due o tre famiglie.
Ma erano tutti piuttosto contenti di fare le vacanze per almeno tre mesi l’anno, con quell’andirivieni che aveva tutta l’aria di una deportazione verso il mare, lasciando indietro per una decina d’ore, la città, il quartiere, la casa, le stanze con le imposte aperte sulle serrande abbassate, i letti rifatti, le ciabatte sotto il letto, la cucina in attesa.
La bambina soffriva il mal d’auto e per lei non era così divertente andare al mare, avrebbe preferito rimanere nel cortile del palazzo a giocare con i bambini a nascondino, o altri giochi di cui non si stancava mai. C’era il desiderio dell’acqua, delle onde a tenerla su quando si presentava la nausea che le procurava l’odore della nafta, e insieme la deprimeva l’idea della bandierina rossa che indicava pericolo, invocata troppo spesso da sua madre che voleva impedirle di fare il bagno al mare. Augusta prendeva la bambina sulle ginocchia e lasciava il posto a qualche signora più anziana. I ragazzi si ammassavano sul fondo del pullman e cantavano tutto il tempo, e non era sempre piacevole. Infine, dal parabrezza appariva la linea turchese del mare. Tutti i bambini ogni volta esclamavano con sorpresa Il mare! Come fosse incredibile averlo ritrovato al solito posto alla solita ora. Ma che ne sanno i bambini di posti e di ore, la vita fluisce e i suoi punti cardinali sono rappresentati dal gioco e dalla smania di movimento, si attaccano al particolare di qualche oggetto, all’odore di gomma di un gioco, all’attesa di un dono, o del ghiacciolo al pomeriggio, quando i grandi cedono i pochi soldi dai loro incredibili borsellini di finta pelle. E finalmente ci si districava dallo scomodo mezzo, si scendevano i gradini dell’auto e si ritrovava l’odore salmastro e fresco della spiaggia al mattino. Augusta sistemava le loro cose in un canto pulito, con ordine. Poi le donne si ritrovavano, e i ragazzi fra loro, e anche qualche bambino si radunava sul bagnasciuga. Dopo le undici arrivava il ragazzo grande e chiedeva il panino, la bambina scalpitava per fare il bagno. Il mare era sempre mosso e pochi di loro sapevano veramente nuotare. Con il vento gli ombrelloni sfuggivano alla presa indolente della sabbia e rotolavano per la spiaggia. Finiti i panini il ragazzo si lamentava che aveva ancora fame, ma non c’era niente da fare, doveva aspettare la sera, la cena. Saliva il pomeriggio, con i suoi vertici di calore, i picchi dorati che si riflettevano nelle onde sconvolgendo con il loro riverbero. Stesi a faccia in su si vedeva bene la pancia argentata degli aerei che da lì passavano bassi e con fragore in direzione di Fiumicino. La bambina aspettava l’ora del prossimo bagno, la pelle diventava sempre più rossa. Augusta rinunciava al suo mezzo panino per darlo alla bambina dopo il bagno del pomeriggio, sperando che i grandi non se ne accorgessero, perché avrebbero iniziato la tiritera che la bambina era viziata. Finalmente la sera, cotti dal sole e sfiniti dal mare risalivano sul pullman azzurro e bianco e tornavano a casa. Augusta doveva sistemare tutti i costumi per il giorno dopo, e mettere all’aria gli asciugamani, e preparare la cena. C’era la pasta con il sugo e le polpette. La casa era calda, come se anche lei avesse preso il sole ed ora lo cedeva ai bentornati. La sera era limpida e carica di stelle. Augusta riponeva il suo orologio con il cinturino che sembrava d’oro, che le piaceva tanto ma non funzionava più da tanto tempo:
– Che ora è signora Augusta?- e lei rispondeva a tutti che si era appena fermato. A volte, quando il mare era particolarmente agitato, tornavano a casa con il secchiello pieno di acqua di mare e telline trovate sulla riva. La bambina rimaneva a guardarle e ogni tanto le rimestava con la mano, e le sembrava ancora il mare e l’onda che tornando indietro trascina pietruzze, granchi, legni e madreperle. Augusta e il marito discutono sulla spesa del giorno dopo e sull’opportunità di fare ancora la segnata dal vinaio per comprare dello scatolame. La ragazza grande non vuole apparecchiare. Il padre dice al figlio di non aiutarla, perché è un uomo. La bambina sente che discutono, raccoglie il suo orso e va a mettersi sulla sua sediolina, fuori del balcone, e aspetta, che sorga infine la luna, il fresco violaceo della sera, e che Augusta la chiami.
In alto sul soffitto del balcone c’è la piccola lanterna di ferro battuto verdina, intorno si alza il profumo della campagna e salgono le voci di qualche passante che passeggia al fresco della sera.
Più tardi Augusta rimane sola a sparecchiare la tavola e a rigovernare la cucina. La bambina ha i calzoncini della notte, un vecchio paio di calzoncini di cotone della colonia dove era stato suo fratello. Va a letto e aspetta. Quando tutti dormono, si alza e va in cucina. La luce è accesa e Augusta stira.
-Ti posso aiutare?- fa la bambina. Si insinua tra la madre e l’asse da stiro. Augusta guida la sua manina sul ferro da stiro tenuto con una pezza di lana, quei ferri che si scaldano alla fiamma del gas. Due giri in su e in giù sui fazzoletti.
Domani alle cinque, di nuovo svegli, per la vacanza.
Sara Milla