La “sconosciuta” di San Vito Romano: Rita Genovesi

San Vito Romano (Roma). 3.479 anime. Qui si conoscono tutti. Persino il gatto della vicina di casa viene chiamato per nome. Da quando il 25 Giugno, il giornale Paese Sera ha dedicato un articolo alla sua storia, Rita non può più uscire da casa senza imbattersi in qualcuno che sorridendo fa una battutina nei riguardi del sindaco:

Scusi, ma noi ci conosciamo?”

Ma lei è di San Vito?”

Rita Genovesi, costretta fin dalla nascita a vivere sulla sedia a rotelle, allarga le braccia, sorride, scuote la testa. Riferendosi all’articolo, risponde in meneghino: “Làsel in del so broeud “ (Lascialo nel suo brodo). A tradirla, il suo accento che proprio lumbard non è. Rita infatti a San Vito Romano c’è nata. Duecento metri. Questa è la distanza che separa la casa di Rita dalla sede del Comune. Trenta metri dal bar dove il primo cittadino si reca per il caffè. Eppure a lui, non “è arrivata alcuna notizia in merito alla disabilità della signora Genovesi e di sua madre”.

Già, perché la mamma di Rita, 83 anni e tanti capelli bianchi, dal gennaio del 2012, si ritrova anche lei su una sedia a rotelle. Dopo essersi rotta una spalla nel mese di dicembre, non potendola operare per problemi cardiaci e in attesa che Rita si organizzasse per poterla accudire, venne ricoverata in una struttura convenzionata. Una caduta e la conseguente frattura del femore, hanno fatto il resto. Mamma e figlia sulla sedia a rotelle.

22 maggio 2008. Due giorni di pioggia ininterrotta fanno franare il cimitero, un ponte sulla via della Libertà, la strada che collega San Vito a Bellegra e la strada che collega San Vito a Pisoniano.

L’amministrazione comunale deve intervenire. Deve ricostruire il cimitero. Ma, oltre a costruire i nuovi loculi, deve anche demolire alcune tombe. La tomba di famiglia di Rita viene così demolita. Era proprio necessario? Forse no. Ma tant’è e ormai non serve neppure parlarne. Rita e la mamma, chiedono al sindaco che ne venga costruita una nuova o l’assegnazione di “fornetti” ai quali poter accedere facilmente con la carrozzina. “Per portare un fiore al quel padre che fece questa figlia – dice Rita – Quel padre a cui voleva e continua a voler bene…”.

Il  6 luglio 2010, Rita scrive una lettera al Comune, chiedendo di essere avvisata del momento in cui avverrà il trasferimento delle salme. Vuol essere certa che il loculo assegnato sia raggiungibile con la carrozzina e che dentro quel loculo ci sia veramente suo padre. Vuol vederlo con i suoi occhi. Gli occhi di una figlia che quel padre, nonostante siano passati tanti anni da quando non c’è più, continuano a piangerlo. Ma la macchina burocratica non conosce sentimenti né pietà umana. E il Comune provvede al trasferimento delle salme, senza che nessun parente possa assistervi.

A Rita vengono così assegnati i loculi per i suoi familiari – tra i quali il papà – in un luogo del cimitero inaccessibile ad una carrozzina. La rampa che porta ai loculi ha una pendenza tale da non consentirle l’accesso con la carrozzina. A completare quello che sembra lo spezzone di un film dell’assurdo, la scelta di tumulare le salme della famiglia Genovesi in loculi posti tanto in alto da richiedere l’uso di una scala per accedervi. Mamma e figlia, vengono così private del diritto di deporre un fiore su quella tomba. “Una figlia che non potrà più portare un fiore sulla tomba del padre, grazie ad un sindaco, figlio anche lui di un padre oramai morto, ma che al suo genitore “potrà portare dei fiori perché quel padre gli ha donato le gambe per camminare…” – scrive Rita.

Ma lui, Amedeo Rossi, sindaco eletto con una coalizione di centrosinistra (Pd, Rifondazione e IdV), al suo secondo mandato da quando venne eletto la prima volta il 14/06/2004, non ci sta e si difende dichiarando: “non ci è arrivata alcuna notizia in merito alla disabilità della signora Genovesi e di sua madre, altrimenti avremmo provveduto a sistemare le salme in modo più adeguato…”.

Credibile? E perché mai metterlo in dubbio? Forse perché si tratta di un paesino di meno di 3.500 abitanti (sulla carta)? Forse perché tanto Rita quanto la mamma usufruiscono di assistenza domiciliare da parte del Piano di Zona di cui san Vito è capofila? Forse perché usufruiscono di quella del Comune?  O perché Rita è molto conosciuta per le sue battaglie in favore della rimozione delle barriere architettoniche? Magari perché prende parte ad un tavolo tecnico allo stesso comune? O forse perché alle ultime elezioni amministrative era candidata al consiglio comunale con una lista in contrapposizione a quella del sindaco?

E se questo non bastasse, aggiungiamo che l’attuale assessore ai servizi sociali, Manuela Gentili, oltre che la carica di vicesindaco, aveva quella attuale di assessore ai servizi sociali anche nella precedente legislatura. Può Rita passare inosservata? Possibile mai che non ci si sia accorti della “disabilità della signora Genovesi e di sua madre”? Neppure l’attuale vicesindaco, che il cimitero lo frequenta (la moglie gestisce un’agenzia di pompe funebri) si è mai accorto di nulla? Lui, che per raggiungere la sommità del cancello accanto ai loculi (in quale veste? Da vicesindaco?) utilizza dei cavalletti sui quali Rita e la mamma non potrebbero mai salire. E che dire di tutto il carteggio intercorso tra la famiglia Genovesi e il Comune? E di quello tra gli avvocati delle rispettive parti? Sono tutti documenti che possono essere prodotti. Che abbiamo letto accuratamente.

Ma era proprio necessario arrivare a tanto?

La carrozzina va, mentre una signora chiede a Rita: “Ma lei è di San Vito?”

Làsel in del so broeud” risponde Rita ridendo.

Ma dentro, il suo cuore piange. Piange per qualcosa che non può essere negata a nessun figlio: la possibilità di deporre un fiore sulla tomba del proprio papà.

Cazzo… Sindaco, dobbiamo venire a presentarle Rita, o è sufficiente che giri gli occhi nella direzione giusta quando va al bar? La guardi in foto; è sicuro di non averla mai vista, di non sapere nulla della disabilità di Rita Genovesi e della mamma?

Siamo pronti a rimediare – aveva dichiarato il sindaco a Paese Sera – ma non accentiamo strumentalizzazioni di alcun genere“. Bene sindaco, lo dimostri. Dimostri che un insegnante di educazione fisica – che al proprio genitore “potrà portare dei fiori perché quel padre gli ha donato le gambe per camminare” – capisce cosa significhi la parola “disabilità” e l’amore che una persona priva delle gambe, ma non di un cuore, può provare per il proprio genitore morto…

Gian J. Morici

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