Chissà perché mi viene in mente lei stasera. Forse perché ho una voglia insana di spaccarmi di alcol e non sentirmi più, le lacrime dentro, le lacrime fuori, le lacrime sulla pelle. Eppure io e lei insieme non abbiamo mai bevuto che eravamo piccole e al massimo andavamo a coca cola. No, va’ forse qualche birra con gli amici ce la siamo fatta; forse anche qualcuna di troppo. Allora si faceva per gioco, per vincere le paure, le insicurezze.
“Mi hai fregato anche su questo tu.” Chissà, magari quando mi ha incontrato, o l’ho incontrata io, col mio pancione di quasi otto mesi lei hai pensato la stessa cosa. Che l’ avevo fregata. Ma sicuro non ha pensato “anche su questo”, che lei mi stava sempre un passo avanti. Io almeno la vedevo così. Ma forse la vedeva così anche lei e forse per questo eravamo amiche solo a metà.
All’inizio erano le T-shirt e i pullover, e i jeans e gli stivali. E lì c’era poco da fare che lei vinceva sempre. Io avevo troppi fratelli e una famiglia che non si doveva fare perdonare. E se volevo qualcosa, che era in più, mi dovevo inventare un modo per guadagnarmelo, mio padre era irremovibile. Anche sugli orari, quelli di rientro, vinceva sempre. A casa sua non c’era quasi mai nessuno a controllare ed un fratello grande, invece che tanti fratelli piccoli, a volte può anche fare comodo, basta accordarsi. Poi cominciammo a contarci i ragazzi. A volte per recuperare ci toccava fare incetta a una festa o mollare contro voglia quello che invece proprio ci piaceva. E dei ragazzi ci misuravamo tutto, anche l’età, la macchina, la moto. Che a me importava meno di niente, ma fuori scuola era la prima cosa che si vedeva e di cui si parlava.
Alla prima storia “seria” iniziammo a misurarci l’amore: le parole, le lettere, i baci, il tempo insieme. Le sconfitte no, quelle non ce le misuravamo. Le lacrime neanche o le paure. Come i voti a scuola, o i dolorosi addii alle passioni abbandonate troppo presto, per la smania di crescere – il dolore si sconta poi, e in silenzio.
E’ strano a rivederle così le cose; strano è pensare che ci volevamo bene, se dietro i mille e mille giorni passati insieme e gli abbracci e le risate c’era sempre una qualche competizione in corso. Anche a non dire. Se dire significava mostrarsi deboli. Eppure ce ne volevamo. Forse di più di quello che riuscivamo a sentire.
Pensai mi hai fregato. In quel suo viso sfatto, di quello che per me era il segno di una notte brava, di bagordi, con l’alito ancora vivo di whiskey o di Cointreau, che io era un pezzo ormai che non potevo berne più, il velo di tristezza – che era più di angoscia, che era uguale al mio, delle mie sere brave solo qualche tempo prima, che era già da tempo che di gare non ne facevamo più, né di risate, né di abbracci, che le vite si dividono, gli affetti no, ma non si riesce a camminare sempre insieme – lo cancellai in un attimo pensando mi hai fregato, non ti raggiungo più. No, non credo che lei ha pensato lo stesso davanti alla mia pancia. Forse un attimo. Perché me l’ha guardata e toccata anche. Ha voluto toccarla. E sì, le volevo proprio bene se ho lasciato che lo facesse, visto che non l’ho lasciato fare a nessuno mai, per tutti e nove mesi. Però so che non l’ha pensato.
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Ho dormito quasi tutto il volo. Ho preso delle pillole, non ne ho potuto fare a meno. Immagino sia stato un modo per non sentire tutto il tempo e tutta la distanza che ci stiamo mettendo in mezzo. Che io sto mettendo tra lui e me. Perché serve a poco dirmi che ce la sta mettendo la vita, che la vita non siamo noi, che sono gli altri, che non ho avuto scelta, anche se è maledettamente vero. Così come serve a poco dirmi lo faccio per lui. Non è venuto neanche ad accompagnarmi all’aeroporto. E come al solito non ha detto niente, chiuso dietro i suoi occhi di ghiaccio. Come davanti a un qualsiasi no, come davanti a uno dei milioni di rimproveri che gli avrò fatto nella vita. E ora che ci penso come davanti ai doni e alle carezze. La delusione indossa abiti diversi nei cuori che devasta. E io l’ho deluso. Tradito anche. Credo che lui la veda così. Poco conta che anche questo lo abbia fatto per lui. Come tante altre cose. E il ghiaccio nei suoi occhi è colpa mia.
La delusione nei miei occhi si fa lacrime. E anche questo è strano, perché io non piango mai, non ci riesco. E infatti credo che non sono mie le lacrime che riempiono i miei occhi, ma le lacrime che rubo a chi deludo. Che mi vede piangere e non lo può più fare. Chissà se è da egoisti. Che a me non piace vedere piangere. Mi fa male. Soprattutto se a piangere è qualcuno che amo. Quando ero piccola non ero così. Ero una bambina perversa che amava a tal punto consolare gli altri che pur di farlo li faceva piangere apposta. Magari è la punizione che mi merito. Di non saper piangere con le mie lacrime e dover rubare le lacrime degli altri.
Però per Roberta ho pianto. Chissà perché mi viene in mente lei adesso. Adesso che è di nuovo sera in questo giorno che dividendoci io non ci sono stata. Roberta che se ne è andata troppo presto quando finalmente aveva trovato il modo di tornare. Che la vita l’ha presa in giro senza ritegno. Che le ha dato un figlio quando per farlo crescere ha dovuto lasciarlo e che quando le ha dato la forza di tornare a prenderlo se ne è andata. E le ha spento il cuore. Forse allora sono le sue lacrime che ho pianto. Chi se ne va non può piangere rubando le lacrime a chi delude, e di sicuro lei suo figlio non lo voleva deludere un’altra volta. E allora le lacrime di lui le ho prese io che lei non poteva prendergliele.
Lo so perché penso a lei adesso, mentre tra poco arrivo in questo posto nuovo dove non sono niente e non ho niente che mi appartiene e a cui appartenere, perché non ho più un modo per farlo crescere e che è cresciuto non conta molto, le lacrime gliele ho dovute prendere lo stesso. Magari anche io non torno. Magari non ci sarebbero state lacrime da rubare se me ne fossi andata felice, scegliendolo, quando volevo sceglierlo. Ci sarebbero stati sorrisi, che alla fine l’amore è questo, lasciarsi andare, e almeno questo so che io glielo ho insegnato. Magari anche io non torno. Come Roberta. E la vita si fa una gran risata ancora che me lo merito che mi rida addosso perché io non l’ho presa a calci quando avrei dovuto farlo.
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Ora mentre aspetto il bagaglio di poche cose di una vita intera – ed anche queste non hanno più senso – in questo posto dove non io ho i suoi occhi gelidi a cui rubare lacrime e le mie non sanno uscire che è troppo tempo che non piango che non lo so fare, so che lei non l’ha pensato. Che l’ho fregata. Mentre quel velo triste su quel viso sfatto, che non era di una notte brava ma di notti insonni come le mie contro una vita che tu non le piaci ma la colpa è tua che non la prendi forte a calci quando si fa dura, si è fatto tenda ad una finestra. E poi vento ma non sai volare e poi cemento e poi più niente. Mi ha fregato anche su questo. Questo ha pensato davanti alla mia pancia, che ora che non è più pancia abbiamo messo il mondo in mezzo a separarci. “Ti tocca di restare adesso, non mi potrai battere, non mi potrai raggiungere, ti toccherà restare anche quando non sarai più niente.”
Restare. Deve essere anche questo l’amore. Senza scelte.