Spesso dimentico chi mi dimentica.
Accade in anni e anni. Non le espressioni, le parole che ci siamo scambiati, l’effetto che mi facevano. Solo che il mio cuore non batte più per loro, ora, e questa assenza di sentimento presente rende le loro anime per me simili a pallidi fantasmi, le loro teorie sono quelle che conoscevo e non credo nella dinamica degli spettri. Quello che c’è stato rimane. Quello che non c’è non lo posso inventare.
Le nostre vite non si incontrano, noi non ragioniamo più insieme, né ci influenziamo. Quello che c’era è ormai un fossile. A toccarlo con troppa ruvidezza, forse si sbriciola. O forse no. Per questo eviterei incontri e rimpatriate, con gente che amavo in fondo, quando ero tanto giovane da amare tutti.
Eppure ci sono telefonate a cui rispondi con leggerezza. Abiti dai colori spenti che indossi scuotendo il capo. Grandi chiese piene di gente, e una volta lì ti accorgi di aver lasciato gli occhiali da sole in macchina, e vorresti scappare.
Lo sguardo sull’immensa navata, sui banchi stracolmi, è già letale. Tu non vorresti essere lì. Ma ti siedi, mentre qualcuno parla, e tutti cantano: musiche semplici, canti domenicali, ma che escono dall’unica voce della massa, rombano come il suono delle cascate, quelle che hai negli occhi. Chi non si è dimenticato di te, tu non l’hai potuto dimenticare. Ora la consuetudine dell’affetto ti porta a dargli un saluto, a riconoscere un sentimento che non sapevi proprio di provare nel quotidiano, al di là della stima,o della considerazione, o del fastidio che ci si può essere dati.
Tu arrivi in ritardo, tutto qui. E ti siedi. E tutti cantano. E ti guardi intorno, forzando la paralisi degli occhi immersi in un acquitrino.
Chi ti ha dimenticato è lì, ti riconosce, e tu li riconosci, a malapena. Erano tutti giovani, allora. Qualcuno si ostina a rimanere uguale, come se la cornice fosse la stessa ma il quadro disfatto.
E’ per questo che piangi?
Tu non ti riesci a frenare, tu non hai più autocontrollo. Tu non hai pudore. E’ lì, selvaggia, la vecchiaia. Senza un confine preciso che non sia l’ultima frontiera. Ci rotoli verso con una furia, dove ogni convenzione sembra bandita. E’ libera come l’infanzia.
Cerchi di sottrarti ad ogni riunione, ma le scale radunano, ci si saluta con sostegno, e nell’altro non c’è nulla del ricordo che tu conservi: quel sorriso perfetto, quel viso compatto, almeno la serenità negli occhi, niente. Ora che tu sei oltre quella gioventù che sembrava eterna ed è invece stata attraversata tutta, senti uno slancio diverso, più profondo. Che però ti sarà negato. Lo saprai solo tu, e il Dio con cui parli incessantemente senza riconoscere mai una corrispondenza che non sia il bagliore della tua estrema vitalità.
Mentre tutto il sogno di queste vite ti attraversa, credevamo che non ci saremmo lasciati mai, credevamo che ogni giorno ci saremmo telefonati, come nell’adolescenza, che avremmo festeggiato il capodanno insieme, che avremmo avuto dei figli e ci saremmo raccontati del loro primo amore, niente di questo è accaduto, mi avete dimenticato, io vi ho lasciato andare, qualcuno mi chiede dei miei fratelli, del perché non sono venuti. Qualcuno porta ancora impresso nel viso quel continuo farneticare tra le scarpe rotte delle regole, quell’aria frugante nelle mancanze altrui secondo regole proprie. Qualcuno che ora è vecchio, piegato e vecchio, come so ora cos’è la vecchiaia vera, quell’espressione di giustizia sdegnata, quell’incredulità scandalizzata, quella porta chiusa per sempre.
Ancora scendi le scale bianche, hai una foto su quelle scale, quando si festeggiava un battesimo. Lo stesso delle figlie di quest’uomo che andava via. Con lui tutta la mia illusione. Che noi tutti eravamo ancora quella gioventù lì, quell’avventura, esseri in crescita che alla fine avrebbero saputo di più capito di più. Macchè, perché non ci sono i tuoi fratelli al funerale? Perché, dirà giorni dopo, una che mi ha dimenticata, perché non mi hai avvertita. Di cosa? Neppure io l’avrei mai voluto sapere.
io invece leggendoti mi sono ricordata quanto mi manca e domani se trovero il coraggio lo chiamero. o almeno un sms 🙂