Palermo è una conchiglia chiusa nel suo centro, Palermo per capirla devi starci dentro….
Lo so che è assurdo, ma è come ti dico. La città che vedrai presto è liquida. Non si riflette sull’acqua che la tocca, la prosegue, ne prende l’essenza. È liquida nell’anima ondivaga di chi resta, con una mareggiata interiore che fa odiare Palermo, ma poi basta una sera d’estate con un caldo più mite e torna violento il cavallone della passione, è liquida per chi la lascia, mentre va via la vede attraverso le lacrime, sempre più lontana.
Quasi tutti i partenti da lei lo sono a malincuore, a quel punto strappano a sé stessi la solenne promessa di tornare e non lasciare più quel mare. È liquida nel sangue di chi ha lasciato la vita per renderla migliore, o almeno provarci, di chi ha denunciato, lottato, vinto, a volte col prezzo e col sacrificio di una vita blindata. È liquida come il mare di solitudine che spesso ha attanagliato questi eroi, cui la città troppo spesso è stata grata solo dopo, troppo poco durante. È liquida come colori a tempera non ancora essiccati con cui sembra a volte dipinta.
Colori che non si lasciano asciugare, cui accanto si dà subito una pennellata umida di un cromatismo diverso, ed ecco che un rosso fuoco di un tramonto unico, si fonde con un azzurro intenso di cielo, con bianca spuma di mare e azzurro di onde, ma stavolta più tenue. L’unico posto dove il cielo fa a gara col mare su chi è più vicino quasi al blu. E spesso vince il cielo, liquida nei suoi opposti che sembrano rappresentati nel paradosso della maglia. La squadra della città ha il colore rosanero, femminile, seduttiva, carnale da un lato, tendente al nero della biancheria di pizzo, che sempre una donna ricorda, ma rischia di scivolare nel nero del lutto, del buio, dell’oblio e del catrame, liquido, appunto.
È liquida come acqua putrida, quella di una classe politica che l’ha stuprata, concessa, collusa e trattata da puttana. Quell’acqua puzza, stagna, non cambia, gira su se stessa in velleitari cerchi concentrici. A volte qualcuno prova a buttare il sasso dentro lo stagno di miasmi, ma passato il pericolo, la palude torna ad abbracciare stretta i luoghi tanto cari,, ma nessuno sembra farci caso, con un leggero retrogusto di paura di essersi rassegnati, piuttosto che di attenzione a far prendere aria e non chiudere gli occhi.
È liquida come la mafia, capace di insinuarsi tra le crepe della legalità, allontanando ed erodendo i contatti di chi crede di dover vivere onestamente, ma è anche liquida come il mare di persone accaldate e sudate che in un giorno d’estate rinunciano al mare, per fare un mare di folla in strada perché si sappia che Paolo e Giovanni ce li ricordiamo ancora e fa male, ma che lo sappiano anche “gli altri” che non dimentichiamo. È liquida come la dissetante acqua con lo zammù che poi sarebbe l’anice, ma il palermitano ama guardare le cose da una prospettiva diversa da tutti gli altri e dalla A di anice va alla Z di zammù.
Da bere in quelle bancarelle che tu non vedrai, dove il caldo diventava un piacevole alibi per indulgervi , liquida come granita, fatta in un modo inimitabile, appare ghiaccio in erosione colorata, ma in bocca è crema e credi alla magia di un gelato che non è fatto con latte.
È liquida come la sua bellezza distorta dallo spettro del sole ma mai deformata, che non può negarsi, ammantata da secoli di storia che la incorniciano in foto splendide, quando ai turisti si mostra in tutta la sua sensualità prorompente e seduttiva, ma poi è liquida come il trucco che si toglie quando le luci si spengono, allora si vedono i segni dell’età e degli stravizi, la fatica di stare in scena a recitare, mista alla voglia di farlo ancora.
In fondo, figlio mio non ti ho detto nulla di originale, tu che non ci sei nato, vedrai presto una città liquida. Come il mare, a volte calma placida e splendida, accogliente, amorevole e affettuosa, a volte insozzata da chi non ne ha rispetto, a volte incazzata e pericolosa. Ma in tutti i casi non puoi fare a meno di guardarla, con sentimenti che vanno e vengono, violenti e tachicardici, rapaci come onde. Come il mare. Anche tu, che non la conoscevi ti sentirai dentro l’anima che ho io. Liquida, come la città che ho dentro il cuore, come una cicatrice d’acqua e ricordi.
Palermo è una fotografia nell’album di famiglia, come una nonna che ti vizia e ti accontenta, ma a volte ti tormenta….
Le parole di apertura e chiusura sono tratte dalla canzone di Alessandro Mancuso, Palermo.
(Il blog ufficiale di Ettore Zanca – clicca qui)