E’ impossibile capire su cosa ti stai formando. Quali sono i tuoi riferimenti culturali, a quali idee filosofiche ti stai ispirando per il componimento di questi saggi, se il taglio è storico, saggistico, letterario, morale, teologico, insomma chi sei veramente? C’è una altalena tra le righe, dalla citazione dotta, o apparentemente presa a prestito a casaccio dall’apertura d’un libro, ad occhi chiusi, puntando il dito fra le pagine, alla riflessione tagliata in profondità, e allora uno si chiede, cos’ha macinato nella sua vita questo autore? Studi, libri, viaggi, televisione, fiabe intorno al fuoco, sedute spiritiche?
Forse non sarà bene che io mi presenti in questo modo, pensavo mentre mi infilavo nella mia giardinetta ante tutto e sfidavo il maltempo per arrivare a casa del famoso,oh oh, saggista, santone guru dell’era post post qualcosa. In macchina non funzionava da tempo la radio, figuriamoci il riscaldamento, e cercavo di pensare ad una scaletta decente di domande da fare a questo mostro dell’improvvisazione, secondo me, e a questo quasi nobel per la redazione del mio settimanale. Potrei cominciare dal primo indigesto libro che mi avevano dato da leggere,un pamphlet di straordinaria monotonia, una specie di studio etnologico, ma sarei stata più propensa a considerarlo enologico, sul comparato in certe tribù sperse tra gli alberi in un punto ics del globo. Cosa l’ha spinta verso quelle tribù, perché ha studiato proprio questo tipo di legame, e ancora, quali sono i comportamenti paralleli nel nostro mondo occidentale, che schifo di domanda è? Passiamo al secondo libro letto, un romanzo. Si, un romanzo, questo eclettico soggetto mi passa da un saggetto con una bibliografia più lunga del libercolo stesso, ad un romanzo esteso quanto o quasi Guerra e Pace, allora mi dico, sei un romanziere, mi hai tracciato tutta la storia di questa pseudo piccola fiammiferaia del settecento costruendole dietro uno scenario lussureggiante e appassionato, sai tenere tempi, dialoghi, evoluzione della storia, vai avanti così, e invece no, te ne parti per il Tibet, ai tempi tuoi c’era un affollamento in Tibet a quanto pare. E al ritorno, l’impareggiabile, aveva scritto un altro librettino, una invettiva più che altro, a riprova che il Tibet non calma e tranquillizza come un frullato di camomilla. Ma proprio l’isterica reprimenda lo aveva infine glorificato. Da allora scriveva per la qualunque: cinema, teatro, ritiro spirituale, pubblicità. Intanto mi inoltravo in una strada secondaria e trovavo posto. Il quartiere lo conoscevo, un bel quartiere tirato su da un architetto falsario, pieno di riccioli e balconcini, così poco Tibet, così tanto Coppedè. Ero in orario e non avevo uno straccio di programma, ma solo un giovanile disprezzo per la ricchezza che io non avevo ancora raggiunto. E per il successo, che certo non mi toccava perché non mi vendevo io, non mi improvvisavo io e bla bla, Così cercando di ripararmi il più possibile perché si stava sviluppando una tempesta, compitai il mio nome al citofono come se mi fosse richiesto da una ambasciata straniera e aperto il cancello mi misi a correre verso il portone. Lo scrittore abitava al piano terra, mi aprì lui la porta e mi strinse la mano. La casa era bella calda, e pur non desiderandolo, mi rilassai, mi accompagnò lungo un corridoio verso il suo studio, immaginavo, e invece mi ritrovai in cucina, una piccola cucina con un fornello Gasfire dei tempi di mia nonna.
Aveva preparato il caffè, per me, e me lo servì in una tazzina di ceramica spaiata dalla sua, e per zuccheriera teneva un contenitore di plastica delle ovoline di bufala. Se giocava a fare l’informale con me sbagliava di grosso. Mi osservava e io lo osservavo, senza sorridere, perché così si fa tra le giovani marmotte giornaliste impegnate plurilaureate, giovani. Il caffè era buono, e alle pareti erano appesi quattro quadretti con foto di gattini. Il tavolo era di fòrmica verde, non modernariato americano, ma svendita parrocchiale. E allora. La prima domanda fu:- E’ casa sua questa?-
-Si- rispose, -Vuole altro caffè?- Ignorai la proposta:-Sono i suoi gatti?- continuai indicando i quadretti appesi alle pareti sopra le maioliche degli anni ‘50, pulite ma deprimenti. A quel punto lui ignorò me, e compresi che forse si aspettava domande più, o forse meno.
-Vogliamo andare a sederci più comodi?- propose e lo seguii in una bella stanza con due divani, un tavolo con qualche libro e le pareti nude. Tirai fuori il mio blocchetto e la matita. Mi accomodai .
-Sono qui perché il mio giornale vuole che io scriva un articolo su di lei, anche sulla sua opera, ma in particolare, su di lei, sul suo quotidiano, gusti, abitudini- Queste due ultime cose le stavo dicendo con un tono che non mi piaceva per niente. Allora lui si addossò allo schienale e mi guardò serissimo:- E lei, è veramente interessata al mio quotidiano?-
-Eh no- risposi senza riflettere – Per niente – Anche perché, considerata la cucina, il vuoto apparente della stanza, mi stava attanagliando una tristezza che non avrei voluto rendere più tenace con il racconto di risvegli magari in una nuda branda avvolto da un lenzuolo di flanella, o frugali pasti zen.
-Cos’è che vuole veramente sapere? Poi magari ci inventiamo qualcosa di adatto sul mio quotidiano- e finalmente sorrise.
-Potrei chiederle perché si è interessato ai legami parentali con una particolare attenzione al comparato, oppure potrei chiederle del Tibet, del romanzo su Rosa Agreament, l’eroina dei sobborghi di Londra all’alba della Rivoluzione Industriale. Ma veramente, cosa li aggrega, e in quale modo hanno poi dato vita, questi tre grandi fiumi, a tanti piccoli defluenti? Parlo delle sue molteplici attività-
-Molteplici attività?- rimpallò lui.
-Si, cinema, televisione,pubblicità. Come si riconduce quest’ultima esperienza con il Tibet, per esempio- Lo sapevo, non ci ero neppure arrivata per passi successivi, ero già nel vivo della polemica e non ruscivo a tornare indietro.
-Nel Tibet ci sono stato a vent’anni, e non è stata una esperienza esaltante, per me. Mi sono ammalato, non ho avuto nessuna illuminazione interiore, e non amo la silente povertà delle genti. L’aria era troppo raffinata e un altro po’ ci muio.-
Lo guardo in silenzio e con una certa espressione comune, proprio per non mostrare il mio sconcerto:
-Per questo, dunque, scrive di lì a poco, immagino dunque quando si sarà ripreso da questa esperienza traumatica, L’altitudine della morte? Ne fa quasi un elogio-
-Non credo di essermi mai veramente ripreso da quell’esperienza, sono stati i trenta giorni più prigionieri della mia vita-
-In quel luogo, in quegli spazi?-
-Lei c’è stata?-
-Effettivamente no.-
-Non creda a tutto quello che scrivono. Men che mai a quello che scrivo io. Era divenuta una stucchevole moda andare in India, o in Tibet, o in luoghi esotici rispetto all’occidente, non tutti erano sinceri. Volevo provare di persona. Non dico che ci andai senza pregiudizi, o che partii di qua sano. Ma è la mia esperienza, magari lei un giorno ci andrà e la sua disposizione interiore le farà vedere tutto meraviglioso, anche una ferita che si infetta e non guarisce più.-
Mi sembrava ci fosse altro, sapevo in che periodo ci era andato, che si era trovato in una situazione pericolosa, in un periodo di violenze, altro che suprema pace. Ma per qualche motivo deviai verso un terreno che mi sembrava più facile, e cioè l’ultimo effettivo libro che aveva scritto, un buon libro in realtà, ma poco conosciuto. E glielo nominai. Anche qui avrei chiesto ragione di una continuità con i suoi lavori precedenti, volevo afferrare un bandolo, creare un conseguenza.
-Ma perché?- mi chiese lui e si alzò. –Ho bisogno di un altro caffè, lei ne vuole?- Annuii e lo seguii in cucina.
-Lei cerca un dramma, un dolore che lega il mio lavoro,una ragione ideologica, una filosofia, un mondo morale. Anch’io credevo di poterlo fare. Volevo parlare di legami, legami sociali, in particolare, ho una laurea in sociologia, ai miei tempi era molto gettonata. Per questo ho fatto un campo, una ricerca, sui legami di comparato, sulle alleanze esterne. Sulle scelte, da cosa sono determinate: dall’interesse materiale, dall’attrazione, dal desiderio di alleanze, dal bisogno di calore, di cibo, di scambio?-
Mi riempì la tazzina e me la avvicino:-Dalla dipendenza..dal caffè per esempio?- e sorrise.
-Ma questa linea, questo pensiero, il Pensiero, è una illusione, nella migliore delle ipotesi, e poi diviene una gabbia. Almeno, per me è andata così. Lei conoscerà le fiabe no?-
Intanto tirava fuori da uno dei pensili verdini un piatto coperto da un panno. Sollevò il panno e svelò un quarto di crostata. Me ne tagliò una fetta e la depositò in un piattino.
-Nelle fiabe ci sono alcuni personaggi, come in ogni narrazione, un re e una regina, un orfano e il suo gatto, una bambina, un lupo, un cacciatore. Lei pensa che della nostra vità si può dire la stessa cosa? Lei crede che siamo personaggi fissi in una storia, che saremo sempre e solo un lupo, o un cacciatore, o una bambina? –
Addentavo la torta e non avevo voglia di rispondere a quella che non sembrava una domanda ma solo una riflessione. Siccome però la pausa si prolungava e lui aspettava che inghiottissi, capii che era proprio una domanda con necessità di risposta.
-Ma non so, credo che la bambina crescerà, che il cacciatore andrà in pensione, e che il lupo si troverà un branco- tacqui sapendo di aver detto una stupidaggine e sorseggiai il caffè arrossendo.
-Io credo che questi aspetti siano contemporaneamente presenti dentro di noi, e vanno ascoltati, portati alla ribalta, persino sorvegliati. E indirizzati. In Tibet credevo di andarci come un eroe, di trovare lungo la strada pomi d’oro, e forse li ho trovati, o forse li ho perduti-
-In quel libro lei parla di un uomo che fa tante cose ma non ne conclude una, e che alla fine muore durante un viaggio a piedi, un’altra delle sue trovate senza succo, una vita senza riferimenti.- gli rammentai il libro di mezzo, quello che pochi avevano letto.
-E’ lei il protagonista? So bene che è una domanda banalissima, e non la utilizzerò per l’articolo neanche morta.-
-Si, è una domanda banale,perché i libri non sono autobiografici, ma è tutto vero. Persino il colore di una strada, o il modo in cui la pioggia colpisce un campo, vengono riferiti a causa di una esperienza diretta. Ma sono ingredienti che uno si ritrova e mescola, per raccontare qualcosa di nuovo da sé- Si allontanò un po’ verso la finestra che dava sul giardino.- Una nuova vita- mormorò.
Me lo sarei ricordato quello che andava dicendo? Penso di no, e non così in fila, avrei dovuto rielaborare proprio come si fa con sale , farina, zucchero, come diceva lui.
-Non voglio difendere il mio libro, neppure il mio lavoro e neppure la mia vita – Tornò verso di me, mi offrì un’altra fetta di torta, che rifiutai a malincuore.
-Cosa ne pensa della notizia che si sta diffondendo, del fatto che il suo nome è negli elenchi del Nobel?-
Comincia a ridere. Una bella risata.
-Ma se fosse vero il suo giornale mi avrebbe mandato un decano. E invece c’è una sfilata qui a casa mia di giovani leve. Credo che sia stato fatto il mio nome per tacere del vero nome in circolazione.
-E chi sarebbe?- domando con un filo di voce. Cadono di colpo tutte le mie ipercongratulazioni con me stessa, quelle che mi andavo ripetendo mentre mandavo giù le pagine dello scrittore qui presente credendo di essere stata promossa sul campo. E invece mi avevano mandato a zapparlo il campo. Ne sono orgogliosa lo stesso, e stop, mi dico.
-Uno scrittore con una linea, come dice lei, conuna strada tortuosa ma tenace, uno che non ha mai deflettuto dal suo inizio, ha seguito la sua stella polare-
-Per approdare?- chiedo io
-Al gelo, ma non lo scriva, potrebbe sembrare invidia, e lo è. I soldi del Nobel mi farebbero proprio comodo-
-Tornerebbe in Tibet?- ironizzo io
E da come mi guarda, mi rendo conto che la parte più emozionante di quello che ha scritto questo semianziano in giacca di pile, con tanti ex capelli biondi che ancora gli si arruffano intorno alla faccia, è quella che non si rivela ad un lettore presuntuoso. Mi rispondo da sola:
-Tornerebbe, lo so.-
– Tornerei, ha ragione lei, anche se non sembra, la strada c’è. Solo che è sepolta da tanti dinieghi, da tante interruzioni, da tanti silenzi. Non ho voluto mostrare a nessuno la strada mia. Vi ho tutti, quei pochi che mi hanno letto, dislocati, confusi, sviati. Ma non era che la verità. –
-Andiamo, credo che lei ce l’abbia nascosta la verità, quella dei fatti. Sono rimaste le emozioni, perfino i colori, ora che ripenso le sue pubblicità presentano solo due tre colori, e hanno una dimensione quasi circolare- mi colpiva che le pubblicità di quest’uomo riguardassero i viaggi, solo viaggi. E che il suo ultimo libro parlasse di un viaggiatore. E perfino l’eroina prostituta del libro logorroico non rappresentava che l’occhio di un tempo in movimento, in rivolta, in sofferenza, in gabbia. Nell’apparente frivola varietà, aveva segnato con la matita rossa, l’incostanza della vita a offrirci piacere, felicità, calore.
– Non vuol dirmi cosa è avvenuto laggiù?-
-No,- mormorò.
Mi accompagnò alla porta e mi aiutò a infilarmi l’impermeabile. Mi strinse le mani fra le sue, e mi chiese:- Cos’ è per lei un perdente?-
-Uno che ha rinunciato a se stesso- Perché in quel momento risposi così? Forse per la mia educazione? Per l’attaccamento all’idea di anima, di carattere, questo confuso senso di protezione che sentivo verso l’opera degli uomini?
Lui annuì, sorridendo. E mi baciò le mani.
Due giorni dopo, l’autore da lui citato vinse il Nobel. E lui partì. Nessuno ne ha saputo più nulla.
Sara Milla
Molto interessante. Intervistato monaci tibetani in visita in Svezia alla Biblioteca Reale di Stoccolma, adesso che me lo ricordate cercherò il Tempo x finire & pubblicare q articoli, grazie x l’Ispirazione 🙂