Hanno le mani su tutto: impongono il pizzo, le imprese, gli appalti e i subappalti. Pretendono assunzioni per garantire tranquillità. La mafia non smette di essere pericolosa e piovra. Le recenti investigazioni che hanno portato a più operazioni antimafia sono la prova provata che ancora in Provincia di Agrigento, Cosa nostra è forte e feroce nonostante la cattura dei latitanti più pericolosi di Sicilia, Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone. E così, da attenti cronisti, registriamo l’estorsione all’impresa edile Misuraca di Mussomeli, le sparatorie contro le saracinesche della sala giochi Aster di e della gelateria Le Cuspidi a San Leone. E non è finita qui. L’operazione Dna, effettuata nei territori di Porto Empedocle e Realmonte, oltre a svelarci una capillare richiesta di pizzo, appalti o assunzioni ai danni di grandi imprese come Italcementi ovvero ai danni di piccole ditte o esercizi commerciali, lascia perfettamente intuire come da tempo anche i lavori per la realizzazione del rigassificatore sono guardati con occhio vigile dai mafiosi. Nella zona della montagna, il blitz Kamarat ha scoperchiato impressionanti attività estortive. Con il blitz “Grande vallone”, compiuto dai Ros di Caltanissetta del capitano Di Ganci, gli interessi mafiosi venuti a galla sono di notevole spessore. Le indagini hanno documentato le più recenti dinamiche criminali della famiglia di Campofranco, documentando l’ascesa al vertice del sodalizio dei fratelli Giuseppe e Angelo Calogero Modica, che ne avevano assunto la leadership, sostituendo Alfredo Schillaci, precedentemente designato alla reggenza dal fratello detenuto Angelo Schillaci, già rappresentante di Cosa Nostra per la provincia di Caltanissetta. Sono stati accertati gli interessi e le infiltrazioni del sodalizio negli appalti pubblici, realizzati mediante l’imposizione di servizi e forniture di conglomerati cementizi alle imprese aggiudicatarie dei lavori in alcuni cantieri edili della provincia. È stata inoltre documentata l’ingerenza nell’esecuzione di diversi incanti ricadenti nei territori delle province di Agrigento e Palermo, con particolare riferimento ai lavori per la realizzazione di alcuni parchi eolici in territorio di Vicari, delle opere connesse alla velocizzazione della linea ferroviaria Agrigento-Palermo, nonchè alla realizzazione dell’impianto mobile di accesso al Monte San Paolino di Sutera, di uno stabilimento per la produzione di pannelli fotovoltaici e del termovalorizzatore di Casteltermini. E su questi ultimi grandi lavori un contributo decisivo lo sta fornendo Maruzio Carrubba, 38 anni, autista, mafioso doc che è uscito da Cosa nostra, dopo sei anni di appartenenza, a seguito di una crisi mistica, religiosa. Una fuoriuscita senza colpo ferire, intima, personale, silenziosa. Nessuno lo sapeva, nemmeno gli investigatori che, quattro anni dopo quel pentimento interiore, lo hanno arrestato. Dalla cattura al pentimento ufficiale il passo è stato breve. Catturato in aprile del 2011 già il cinque giugno successivo firmava il suo primo verbale stracarico di accuse: per politici, imprenditori, mafiosi, fiancheggiatori. Il primo a cadere grazie alle rivelazioni di Carrubba è stato Vincenzo Di Piazza, boss vecchia maniera di Casteltermini sfuggito, per mancanza di prove, al blitz Kamarat. E con il suo arresto si è riaperto una pagina importante sul termovalorizzatore. Poi, ampi servizi sulla condanna definitiva per l’imprenditore Marco Campione, le motivazioni della sentenza sul depuratore di Villaggio Peruzzo che assolve con motivazioni lusinghiere gli ingegneri Platamone e Rizzo; gli sprechi a Palazzo di città: da De Francisci a Callari passando per Arnone. Infine l’intervistona di Diego Romeo, questa settimana appannaggio di Nello Hamel, di Idv.