Don Ciotti, parlando di lotta alla mafia, disse che è “necessaria una rivolta delle coscienze e non si può delegare a forze dell’ordine, magistrati o segmenti della società civile”. Dello stesso avviso, Nino Caponnetto, il magistrato che dopo l’uccisione di Rocco Chinnici guidò il pool antimafia di Palermo, il quale soleva dire che “la mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”.
E così, assistiamo sempre più spesso a convegni antimafia, organizzati con la partecipazione degli studenti.
Uno sforzo notevole e lodevole, per quanti s’impegnano ad educare i nostri ragazzi alla legalità. Lezioni di vita e legalità, che rischiano purtroppo di essere annientate in poche ore, da quel fenomeno, tanto diffuso quanto deprecabile, ch’è la raccomandazione.
Bastano pochi insegnanti poco corretti, frutto anche loro di quella razionalizzazione e intellettualizzazione di disincantamento del mondo, che hanno finito con l’azzerare valori supremi, divenuti ormai estranei alla maggior parte degli italiani.
Figli del clientelismo. Della raccomandazione vista come “fatto sociale totale”. Di quell’esperienza prima scolastica, e poi lavorativa, che ha permesso loro un’affermazione in danno di chi, forse più meritevole, non ha avuto o non ha voluto ricorrere a quello che è il primo strumento di un sistema mafioso, che educa all’illegalità e al riconoscimento del potere al quale rivolgersi per sopraffare i propri simili.
Da quella scuola, che dovrebbe servire ad educare i giovani alla legalità, nasce il primo riconoscimento alla cultura mafiosa.
A chi non è mai capitato d’aver per compagno/a il figlio di una prof; dell’avvocato Tizio; dell’assessore Caio; del funzionario Sempronio? Chi non ha visto il proprio compito, malamente scopiazzato da costoro,prendere un voto più alto rispetto quello nostro?
E cosa dire poi delle buste da consegnare, fatte firmare il giorno prima dell’esame, dentro le quali si sarebbe potuto mettere un compito preparato da un professore?
Leggende metropolitane? Basta chiedere in giro agli esaminandi, per scoprire che non sempre di leggende si tratta…
Tra le tante ‘leggende metropolitane’, ce n’è un’altra che vorrebbe che da quando è in vigore il famigerato decreto della Gelmini, persino le assenze siano state ‘truccate’, talvolta facendo ricorso anche a strutture sanitarie pubbliche.
Se da una parte ci sono buoni insegnanti che hanno a cuore la cultura e l’educazione – compreso quella alla legalità – dei nostri ragazzi, dall’altra, bastano pochi soggetti marci, per distruggere l’operato di quanti nel corso di lunghi anni hanno cercato di costruire le basi per una società più sana.
Le interconnessioni a livello ideologico tra raccomandazione e mafia, sono state oggetto finanche di studi antropologici, che hanno mostrato come la tangente e la mafia razionalizzino un concetto tradizionale di raccomandazione.
Se apparentemente la distinzione è netta, poiché la raccomandazione funziona attraverso un capitale sociale (le conoscenze), mentre la tangente utilizza come mezzo il capitale puro (denaro o altro beneficio equivalente), e la mafia attraverso le varie forme di violenza, in realtà il confine fra queste tre forme di illegalità, non è poi così netto.
Assisteremo anche quest’anno – come è già accaduto negli anni passati – alla presentazione di ricorsi, se non denunce, da parte di quanti si vedono sopraffatti da un sistema che quantomeno sotto il profilo etico, oltre che essere amorale, andrebbe considerato come l’anticamera culturale della mafiosità?
Stando alle “leggende metropolitane”, munnu ha statu e munnu è…
Se l’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa – come diceva Caponnetto -, è altrettanto vero che la raccomandazione, sotto i piedi della cultura mafiosa, fa crescere prati inglesi…
Gian J. Morici