Agrigento – Conferenza stampa presso il centro P.P. Pasolini, in via Atenea, nel corso della quale Calogero Miccichè, coordinatore provinciale di Sinistra ecologia e Libertà, ha illustrato la Relazione: “ Dopo il crollo del palazzo Lo Jacono quale prospettiva per la salvaguardia del centro storico di Agrigento ?”. Dinanzi una sala colma di persone, Miccichè ha ripercorso la storia che ha dato luogo agli ultimi eventi calamitosi che hanno interessato il centro storico di Agrigento, dal crollo dell’ex istituto Schifano al palazzo Lo Jacono, dagli ipogei agrigentini, agli storici dissesti della cattedrale e dell’ ex castello.
E di storia si tratta, visto che il movimento franoso che riguarda la parte nord della città, viene riportato in un documento del 27 dicembre 1398, che – così come indicato nella relazione di Miccichè – è in assoluto il più antico documento che si conosce e nel quale si parla esplicitamente di crollo di una porzione del castello, la cui riparazione è direttamente sollecitata dal sovrano aragonese Martino il vecchio.
Dinanzi una platea attenta e a volte stupita, Miccichè spiega il perché la responsabilità dell’avvenuto crollo di palazzo Lo Jacono sia da attribuire al Comune e non ai privati, che di fatto già da tempo non avevano più pieno possesso del bene.
E sempre di responsabilità da parte degli amministratori si parla, a partire dagli anni ’50, quando viene resa edificabile una vasta area, che a seguito della frana del 1944, gli americani (lo sbarco era già avvenuto) avevano ritenuto fosse da considerare come zona di in edificabilità assoluta, proprio perché interessata da movimenti franosi.
Ironia della sorte, il palazzo di via Imera che è stato appena fatto sgomberare ricade proprio nell’area più a rischio, indicata come tale dagli americani quasi settanta anni fa. Nella mappa redatta allora (v. foto), viene esattamente indicata l’area che fu poi interessata dalla frana del 19 luglio 1966.
L’incapacità, per non parlare d’altro, dei nostri amministratori, non è dunque un fatto recente.
Miccichè, ha anche illustrato le ragioni che avrebbero causato il crollo di palazzo Lo Jacono. Un cedimento strutturale che sarebbe stato causato da più fattori. Un ipogeo che arriverebbe in prossimità dell’edificio, dal quale le acque non defluirebbero più liberamente e vecchi lavori autorizzati dal Comune di Agrigento, che avrebbero indebolito la base sulla quale poggiava il settecentesco palazzo.
Le foto mostrate al pubblico, riguardavano uno sbancamento di oltre trenta metri di profondità, proprio a valle dell’edificio crollato, laddove venne poi realizzato un palazzo che ha accesso dalla via Bac Bac (v. foto), attiguo a quella che era la chiesa di San Vincenzo, i cui ruderi, dopo lavori di consolidamento, vennero trasformati in un originale edificio di civile abitazione.
Dure le critiche mosse all’attuale amministrazione comunale, così come alle precedenti, ma anche agli organi di stampa, sempre pronti a fare da scendiletto al potere, concedendo ben poco spazio a chi rischia con le proprie azioni di disturbare il quieto vivere di questa sonnolenta città.
Un aneddoto narrato da Miccichè, dimostra come la mentalità fatalista di noi agrigentini sia alla base del fallimento di questa città e della consequenziale miseria economica e culturale:
“Nei giorni successivi al crollo, un giovane del quartiere dell’Itria, ha attribuito al passaggio della bara del Cristo portato in processione il Venerdì Santo, il ‘miracolo’ che il crollo non abbia causato vittime. “Passà u Signuri e u palazzu cadì du’ jorna dopu… U Signuri fu can un lu fici cadiri mentri c’era a prucissioni. Tant’è, ca i ferri ca riggivanu u cantuni, quannu cadì u palazzu si misiru n’cruci… (v. foto)”.
Trovata la spiegazione alla data e all’ora del crollo dell’edificio, resta da capire quanti altri miracoli dovranno avvenire in questa città, visto che non passa giorno senza che non si debba assistere a nuovi crolli e senza che qualcuno non debba rischiare la vita.
Miracoli, che non riguardano soltanto l’incolumità dei cittadini, visto che fino a quando non ci scapperà il morto, è assai probabile che non si individuino responsabilità tali da costringere qualcuno a comparire dinanzi un magistrato. Un vero ‘miracolo’ anche questo…
Da quanto emerso nel corso della conferenza-dibattito, è apparso fin troppo evidente come decenni di responsabilità da parte di chi ha amministrato questa città, si sia cercato di addossarle ai privati che ben poco avrebbero potuto fare, in considerazione del fatto che il palazzo era stato dichiarato bene monumentale, che da decenni era soggetto ad esproprio e che negli ultimi tre anni era materialmente nella disponibilità del Comune che avrebbe dovuto eseguire i lavori di messa in sicurezza.
Tutto ciò, senza volere entrare nel merito di possibili responsabilità di rilevanza penale, per quanti avendo dichiarato cessato il pericolo di crollo, hanno consentito che gli abitanti degli edifici vicini rientrassero nelle proprie case dopo che erano stati fatti evacuare e, fatto ancor più grave vista la strage che sarebbe potuta avvenire, hanno permesso che la processione transitasse nelle vicinanze dell’edificio crollato.
Di seguito la relazione dettagliata di Miccichè, che ben illustra la storia delle frane agrigentine e le vere ragioni del crollo di palazzo Lo Jacono:
Dopo il crollo del palazzo Lo Iacono quale prospettiva per
la salvaguardia del centro storico di Agrigento ?
Calogero Miccichè
Coordinatore Provinciale di Sinistra Ecologia e Libertà
propone agli organi preposti
uno studio idrogeologico sugli ipogei agrigentini
per conoscere le cause di alcune frane.
Nel frattempo si fornisce una sintesi delle notizie storiche di vecchi e nuovi dissesti verificatesi nella parte settentrionale dell’abitato della “terra vecchia”
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(I)
L’inascoltato annuncio del crollo del palazzo Lo Iacono (vedi foto del giorno successivo al crollo) causato da vecchi dissesti strutturali (vedi foto del 1996 pubblicate a pag. 365 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di Calogero Miccichè, Agrigento 2006, e una serie di foto scattate nel febbraio 2008) crollo accelerato dalla inadempienza amministrativa e tecnica del comune di Agrigento (vedi la lettera aperta inviata al Sindaco il 21 febbraio 2008 e che qui si allega), riaccende con forza vecchi e recenti allarmi sui diffusi dissesti che da tempo interessano tutti i fabbricati posti sul vertice settentrionale del centro storico: il Seminario, la cattedrale, il palazzo vescovile, la biblioteca Lucchesiana, la chiesa di S. Alfonso, la casa dei Redentoristi, il serbatoio idrico comunale (che poi sarebbe quello che rimane dell’ ex castello) e la distrutta chiesa dell’Itria, dissesti che si estendono anche ad alcune case di civile abitazione poste nelle zone limitrofe.
Bisogna comunque distinguere gli edifici che hanno avuto dissesti causati da abbandono, vetustà o da cattiva costruzione, da quelli i cui dissesti sono causati dalla precaria stabilità e fragilità del terreno su cui poggiano. Il crollo definitivo dell’ex istituto Schifano (ex case e chiesa S. Giovanni di Dio e dell’ordine della Magione del sec. XIII – cioè quelli che governavano i beni confiscati all’ordine dei Cavalieri Teutonici), ha preceduto di pochi giorni quello del palazzo Lo Iacono, e pur essendo a circa 60 metri dalla via Duomo (l’edificio è ubicato tra la salita Raccomandata, la via Madonna della Neve, salita S. Antonio), il dissesto da tempo manifestatosi è derivato prevalentemente dal colpevole abbandono da parte del Comune; divenuto proprietario da circa 20 anni, e non avendo mai posto una custodia ne ha consentito il saccheggio del ricercato materiale edilizio: infissi, tegole, pavimenti, legnami di solai, pietre dure, materiale ferroso, tutto selvaggiamente tirato via (vedi foto dell’ex istituto Schifano del 1993 pubblicate a pag. 396 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006 e una foto panoramica della “terra vecchia” del 2005 lo Schifano in piena fase di saccheggio e distruzione) .
E’ inequivocabile la responsabilità del Comune, ed è chiaro che la devastazione è la causa maggiore che ha notevolmente indebolito le strutture portanti dello Schifano fino a lesionarsi e poi crollare. Il sottostante ipogeo Acquamara con un suo ramo che sembra ne attraversi il sottosuolo, potrebbe essere solo una concausa del crollo.
La forte reazione di protesta dei cittadini che abitano nelle vicinanze di fabbricati pericolanti è più che legittima, e se la gente non fa distinzioni tra i vari livelli di pericolo e perché giustamente non compete loro distinguere: il compito della salvaguardia della pubblica incolumità per legge è demandata senza alcun dubbio alla pubblica amministrazione che deve utilizzare tutti gli strumenti a disposizione.
Nel nostro caso, si sa che l’amministrazione comunale non ha strumenti adeguati per mettere mano a siffatti problemi, perciò si ritiene obbligatorio l’intervento della Protezione Civile (purché si affidi a geologi, ingegneri e architetti competenti con tecnologia avanzata e quant’altro necessiti) considerato che la legge gli consente di amministrare urgentemente i fondi per mettere in sicurezza i beni artistici e monumentali di una antica e storica città, già provata da drammatici eventi calamitosi sino ad ora fortunatamente senza vittime, e poiché nella fase dei lavori della messa in sicurezza dei fabbricati, gli abitanti delle case confinanti verranno fatti sgomberare, la stessa Protezione Civile si dovrebbe fare carico del provvisorio alloggiamento attraverso case parcheggio.
Nonostante le varie richieste di intervento urgente per realizzare la “via di fuga”, questa sicuramente non è la soluzione al problema come non lo sono le passerelle degli esponenti del governo nazionale o regionale che non forniscono concrete soluzioni legislative e finanziarie.
La risposta a queste inadempienze da parte dell’autorità comunale non dovrebbe essere estemporanea, o del tipo manifestazioni di vittimismo, sarebbe meglio far conoscere lo stato reale del pericolo per chi abita nelle vicinanze dei fabbricati pericolanti, informandoli sulla situazione e sulle responsabilità amministrative di chi ha gestito per anni il potere politico a tanti livelli.
Bisogna fissare un punto ricordando che l’informazione è tutela.
Solo conoscendo gli errori del passato, si può evitare di ripeterli iniziando, per esempio, a cercare soluzioni per sistemare le numerose famiglie interessate da eventuali sgomberi dalle proprie abitazioni, quindi decidere sul da farsi facendo magari scelte a breve, medio e lungo periodo. Purtroppo così non pare che si stia procedendo, anzi la minaccia di evacuare il centro storico senza alcun supporto da parte di organi tecnici, è senz’altro una trovata priva di raziocinio logico, pubblicità senza costrutto, se non un auspicio di cattivo gusto.
Mettere in sicurezza (che non vuol dire demolire) i fabbricati pericolanti abbandonati è molto più facile di quelli pericolanti a causa di dissesti strutturali legati alla fragilità ed instabilità del suolo su cui poggiano; per questi è necessaria una maggiore conoscenza e competenza, per evitare che si ripeta l’ennesimo crollo.
Solo l’orditura tra problemi storici, amministrativi, tecnici ed urbanistici che hanno interessato il centro storico di Agrigento può consentire una appropriata soluzione del problema, esaminando le questioni caso per caso, senza generalizzazioni come sta facendo il Comune, per evitate inutili allarmismi nell’opinione pubblica, ma forse il sindaco vuole alzare un polverone e confondere le idee ai cittadini per coprire le decennali responsabilità politiche della pubblica amministrazione locale, regionale e nazionale.
Sabato scorso i vari mezzi di comunicazione hanno diramato la notizia di un finanziamento di 2 milioni di euro per consolidare il costone sottostante la cattedrale. Siamo contenti, però è d’obbligo porci alcune domande :
1) da quale ministero vengono questi fondi ?
2) chi sarà l’organo competente che avrà il compito di avviare l’esecuzione dei lavori ?
3) i lavori di consolidamento quale progetto seguiranno?
Sorvoliamo sulle prime due domande, la terza, invece, è fondamentale per comprendere che fine faranno i suddetti finanziamenti.
A seguito della frana del 19 luglio 1966 il Genio Civile di Agrigento, indipendentemente dall’esito dell’indagine geologica della commissione ministeriale Grappelli intervenne lungo il costone roccioso calcarenitico e nella scarpata argillosa con opere di consolidamento conficcando in profondità decine e decine di pali di cemento per trattenere il costone e frenare lo smottamento del terreno di argilla sabbiosa. Quindi furono piantati una selva di alberi di eucalipti per trattenere il terreno in superficie. Si pensò che con questi interventi il ciglio del colle settentrionale della città non dovesse dare più segnali di cedimento.
Purtroppo la smentita è arrivata dal 1972 in poi, nonostante il seminario e, soprattutto, la cattedrale siano state più volte incatenate, e quest’ultima imbracata e consolidata in molte sue parti, continuano a manifestarsi lesioni strutturali derivanti dalla base rocciosa sulla quale poggia.
La domanda è: quali nuove indagini sono stati fatte perché si possa continuare a piantare inutilmente pali di cemento senza avere una precisa idea sulla origine di tali dissesti ?
Opinione comune è che il banco roccioso calcarenitico sia il possibile imputato, ciò indicherebbe come ineluttabile lo sfaldamento del crinale; ma prima di arrendersi dinnanzi alla fatalità sarà necessaria una indagine geologia ed idrogeologica di tutto il territorio collinare e quello imbrifero, indispensabile per aggiornare quelle ferme al 1967/68 effettuate, come si è detto prima, dalla commissione ministeriale Grappelli.
Quanto detto è senz’altro fondamentale in relazione ai dissesti che riguardano la cattedrale e il seminario, mentre per ciò che concerne il tessuto edilizio urbano nel suo complesso, è primario il ruolo del Comune che, però, sembra stia operando nella totale confusione.
Il fatto che i quattro soldi della legge regionale n. 70/76 promessi dal Presidente della Regione non sono stati inseriti nell’ultima finanziaria, ci fa indignare e la dice lunga sul livello delle responsabilità politiche della classe dirigente di questo sfortunato paese (vedi il libro “19 luglio 1966 Agrigento frana storie di lotte sociali di dissesti urbanistici e di leggi disattesi” di Calogero Miccichè, Agrigento 2003).
Infatti bisogna far sapere che i fondi di questa legge, nata per il centro storico di Siracusa, Agrigento e Ragusa Ibla, non vengono erogati da più dieci anni, e quelli che sono stati assegnati , il Comune di Agrigento li ha fatti tornare quasi tutti indietro, o sono andati in perenzione, come il finanziamento di 500 milioni per il consolidamento del palazzo Lo Iacono regolarmente progettato.
Ma di cosa vogliamo parlare ? Del mancato finanziamento promesso dal Presidente della Regione? Come mai l’amministrazione comunale non ha mai protestato quando sono stati annullati dalla finanziaria regionale le somme della suddetta legge ? (vedi sit in di protesta di Calogero Miccichè del 20 gennaio 2007 davanti l’ARS durante l’approvazione della finanziaria – alla presente relazione si allega il comunicato stampa del 19 gennaio 2007)
ll finanziamento promesso e non assegnato era destinato alla messa in sicurezza degli edifici pericolanti ? (questo per me equivale alla loro demolizione).
Si sappia che questi fondi (legge regionale 70/76) si possono utilizzare solo per progetti esecutivi e solo per edifici storici segnalati dalla commissione di cui all’art., 4 della stessa legge, come ad esempio i lavori di completamento del museo civico e del palazzo Tomasi, i cui progetti sono esecutivi.
Credo, invece, che un’immediata soluzione ai questi problemi sia l’intervento della Protezione Civile ma in stretta collaborazione con il comune e altri Enti competenti, perché sono loro che vivono e governano (male) il territorio.
La Protezione Civile con i suoi strumenti tecnologici e, sopratutto, attuando celeri indagini, potrebbe intervenire subito affrontando il problema relativo alla precarietà del sottosuolo del colle agrigentino, col suo delicato sistema idrogeologico (ipogei) che sicuramente è una delle concause che sollecitano dissesti di varia natura; mi riferisco soprattutto ai camminamenti sotterranei che attraversano il sottosuolo dell’intero centro storico (vedi il libro “Gli ipogei agrigentini tra archeologia, storia e mitologia” di Calogero Miccichè, Agrigento 1996).
Gli ipogei da controllare maggiormente sono quelli sottostanti l’area della “terra vecchia”, del Purgatorio, di Santo Spirito e del Rabato all’interno dei quali scorrono ancora acque sorgive; in questi ipogei si sono verificate delle frane che in alcuni tratti impediscono il corretto deflusso delle acque, causando nel sottosuolo seri problemi che in superficie sono visibili quando si manifestano dissesti. Un esempio può essere il continuo abbassamento di tutta l’area del suolo di Porta di Ponte (ora piazza Aldo Moro) e della via Acrone, derivato sicuramente dalle sorgive provenienti da ipogei non esplorati perché interrotti da frane sotterranee.
Ovviamente non si pretende di individuare con questa indagine idrogeologica l’unica risposta ai dissesti già manifestati e che si manifesteranno in questo territorio collinare, quanto piuttosto indicare una delle tante operazioni che vanno fatte anche solo per escludere interventi tecnici che non hanno attinenza diretta con certi dissesti. Io credo che solo la Protezione Civile potrebbe intervenire celermente (con l’ausilio di geologi, ingegneri e architetti) sperando che non si ripetano i ritardi, gli errori e gli scandali del dopo terremoto dell’Aquila e della non messa in sicurezza delle aree franose di Giampilieri e di San Fratello.
(II)
C’è una prima riflessione da fare sul crollo del palazzo Lo Iacono, per il quale il comune continua a scaricare le proprie responsabilità sugli incolpevoli proprietari dello storico palazzo. Sappiamo che le lesioni del cantonale si erano manifestate già parecchi decenni addietro, e molto probabilmente accelerate anche a causa della demolizione del muraglione di contenimento del giardino della chiesa e del monastero di S. Vincenzo, avvenuta nella prima metà degli anni ’60, ma sopratutto a causa del pesante sbancamento del pendio argilloso e di parte della roccia calcarenitica che ospitava la struttura religiosa, per far posto alla costruzione del grande edificio moderno a 10 elevazioni compresi 2 s.t. con ingresso di via Bac Bac (vedi foto pubblicata a pag. 375 sul libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006). Teniamo presente che proprio sotto questo edificio moderno scorrono le acque di una sorgiva provenienti dal punto più alto del colle, molto probabilmente dal sottosuolo dell’area di sedime del serbatoio comunale idrico (ex castello), acque che sotterraneamente attraversano la discesa dell’Itria, e quindi anche il palazzo Lo Iacono e che, in parte sono convogliate nella rete fognante e in parte continuano a defluire nel sottostante ipogeo del Purgatorio del quale, in più occasioni si è detto, alcuni rami proseguono in direzione nord, verso i sotterranei dell’antico castello arabo normanno. Questi camminamenti purtroppo si interrompono sotterraneamente tra la salita Vassallo, la via Bac Bac e il suddetto edificio moderno, perché ostruiti da una frana molto preoccupante (vedi il libro “gli Ipogei Agrigentini tra archeologia storia e mitologia” di C. Miccichè Agrigento 1996 e il filmato fatto nel 2007 a seguito di una visita che lo scrivente fece congiuntamente con l’ arch. Paolo Licata vice presidente del Club UNESCO, l’arch. Marzia Di Salvo, il giornalista Pietro Fattori di Teleacras e il fotografo amatoriale Maurizio Guarneri).
Ritornando al palazzo Lo Iacono, è molto probabile che le sue lesioni strutturali siano state causate anche – e si sottolinea anche – da sollecitazioni dipendenti dal maggiore pendio del versante nord del banco calcarenitico, sollecitazioni che in quel sito hanno trovato il punto più debole, proprio nel ciglio orientale della cosiddetta “terra vecchia”, dove sono presenti antiche lesioni nell’affiorante roccia calcarenitica ancora molto evidenti nel loro taglio verticale, nello spazio compreso tra la salita S. Vincenzo e il moderno palazzo di via Bac Bac; inoltre nello stesso sito possiamo ammirare i resti di alcune antiche cisterne a campana e un aggrottamento superficiale, che fanno pensare a fabbricati preesistenti alla costruzione del monastero di S. Vincenzo (vedi le foto nelle pagg 470/471 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006).
Lo sbancamento della massa rocciosa calcarenitica e del pendio argilloso dove poggiava il complesso edilizio religioso di S. Vincenzo, ha probabilmente causato pesanti conseguenze sul palazzo Lo Iacono, quali l’allargamento di vecchie e capillari lesioni del cantonale, compromettendone la sicurezza statica; a questo si aggiungano i movimenti di spinta e scorrimento del banco roccioso che parte dalla soprastante salita Itria e via Duomo (vedi foto scattate nel 2008).
Storicamente sappiamo, con documenti alla mano, che nella prima metà del XIX° secolo fu abbassato di circa 2 metri il livello stradale della via Duomo dal tratto che costeggia la quattrocentesca ex chiesa dell’Itria, oggi parzialmente distrutta; tale opera di sbancamento provocò vistosi dissesti nelle mura del lato meridionale della stessa chiesa, tanto che nel 1864, poco distante dall’ex chiesa dell’Itria e del palazzo Lo Iacono, nella piazza di Plebis Rea (detta anche Bibbirria), furono demolite l’omonima porta araba e la contigua chiesa di S. Onofrio che rischiavano di crollare a causa di una frana che partiva dal pendio argilloso sottostante il vertice del castello-carcere (vedi pag. 190 e foto a pagg. 350/351 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006). Ottanta anni più tardi, esattamente il 28 febbraio 1944 nella stessa piazza Plebis rea, più della metà della sede stradale è franata giù rovinosamente nel pendio fino ad arrivare nel vallone del Quadrivio Spina Santa.
All’epoca fortunatamente non esistevano grossi edifici, solo poche case nella via Giardinello, e se una frana di quelle dimensioni si verificasse oggi sarebbe una catastrofe che si abbatterebbe sui palazzi della via Plebis Rea e via Gioeni e tra via 25 Aprile e via Imera. Non dobbiamo dimenticare che pochi anni addietro nella via Plebis Rea, sotto il muraglione di sostegno dell’omonima piazza ci fu un piccolo smottamento. E’ un segnale che ci deve tenere in allerta. Molto significativa è la tavola planimetrica n.2 del 1944 che illustra l’area interessata alla frana che si allega alla presente relazione (vedi tav. 2 planimetria del 28/2/1944 a pag. 57 e foto a pag. 58 e 59 del libro “19 luglio 1966 Agrigento frana storie di lotte sociali di dissesti urbanistici e di leggi disattesi” di C. Miccichè, Agrigento 2003).
Anche se questi dissesti sembrano circoscritti e modesti, sono comunque segnali di un continuo e costante dissesto del vertice settentrionale del colle di Agrigento, a causa di una roccia calcarenitica in condizioni di marginalità e con poca resistenza strutturale, che mette a repentaglio qualsiasi struttura edilizia. Segnali questi che purtroppo non sono stati mai oggetto di una lettura uniforme, per di più spesso frettolosamente archiviati appena abbassato il clamore dell’evento, perdendosi infine nell’oblio. La stessa lezione della frana del 19 luglio 1966, la maggiore frana che la storia di Agrigento abbia mai registrato documentalmente, pare che ancora oggi non abbia sortito alcun effetto.
Nel corso dei decenni i movimenti franosi che hanno interessato la parte settentrionale del banco roccioso calcarenitico non sempre sono stati dirette conseguenze del maggiore e generale complesso movimento franoso di tutto il colle verificatosi il 19 luglio 1966 , così come affermato dalla Commissione ministeriale di indagine presieduta dall’ing. Giorgio Grappelli che così scrive:
“… Il meccanismo sommariamente indicato può dar ragione, almeno qualitativamente, dei caratteri presentati dal movimento franoso nel rione Addolorata,: può anche spiegare gli altri fenomeni secondari, quali i dissesti verificatesi nella sottile striscia di fabbricati lungo via Duomo, via delle Mura, in condizioni di appoggio particolarmente sensibili ad ogni azione esterna..”… “le lesioni e la rottura hanno interessato la formazione calcarenitica, sulla quale poggiava e poggia il tessuto urbano e che si adagia sulla formazione delle argille azzurre plioceniche.” e continua :” sembra lecito dire che il distacco si sia verificato lungo il limite orientale dell’area franata con direzione N-S di detto limite e sia stato poi accompagnato da limitato scorrimento, all’incirca secondo la direzione di massima pendenza della superficie di contatto calcariniti-argille, ossia verso fondo valle.” … Per darsi ragione del movimento franoso del 19 luglio 1966 non si può quindi far riferimento ai semplici schemi innanzi considerati, ma si deve ammettere che un più complesso meccanismo sia entrato in gioco. La morfologia del colle di Agrigento, la natura e le proprietà fisico-meccaniche delle argille plioceniche che in sostanza lo costituiscono, le antiche notizie di movimenti franosi, per altro non tipici ne estesi, inducono, ad esempio, a ritenere plausibili, ed anzi probabili, lente deformazioni delle argille sotto l’azione del peso proprio e dei pesi, relativamente molto minori, degli altri terreni soprastanti e dell’abitato…” (brani tratti dalla relazione conclusiva della Commissione ministeriale di indagine geologica presieduta dall’ing. Giorgio Grappelli, Roma 1967)
Quindi il dissesto che ha interessato il palazzo Lo Iacono è stato provocato certamente da diversi fattori naturali e meccanici del terreno, ma sicuramente è stato accelerato dall’ incuria della mano dell’uomo che colpevolmente ha interrotto il pendio argilloso e quello roccioso, eliminando un piede al pendio della contrada Bac Bac dove in parte poggiavano le mura della chiesa e del monastero di S. Vincenzo, demolite grazie all’autorizzazione del comune di Agrigento, per far posto al sopracitato edificio moderno, perché, si disse, erano stati riscontrati lesioni strutturali. Oggi parte dell’area di sedime del demolito edificio religioso è stato trasformato in giardino di una casa privata, e proprio da lì possiamo toccare con mano l’assoluta friabilità del banco roccioso, che presenta lesioni verticali ( più o meno profonde in termini geologici sono chiamate faglie) identiche a quelle presenti sui colli del centro storico, nel Balatizzo (vedi foto a pag. 73 del libro “19 luglio 1966 Agrigento frana storie di lotte sociali di dissesti urbanistici e di leggi disattesi” di C. Miccichè, Agrigento 2003), nel colle della Rupe Atenea e di Monserrato, e anche nella cintura delle mura naturali dell’antica Akragas.
Inoltre, una più precisa idea di come si presentava in origine la contrada che avrebbe poi ospitato il palazzo Lo Iacono e il monastero di S. Vincenzo è data da un disegno del 1584 (Biblioteca Angelica di Roma, e pubblicata a pag. 221 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006)). Il disegno pur essendo molto approssimativo nella definizione del tessuto edilizio privato, è molto preciso nel disegnare la cinta muraria, i pendi naturali del colle e i maggiori edifici religiosi sia nel versante occidentale della città, che lungo il ciglio settentrionale della terra vecchia dove sono ben evidenziati i maggiori edifici: l’ex steri dei Chiaramonte (oggi seminario), la torre normanna (non più esistente), la torre campanaria dei Montaperto, la cattedrale, il palazzo vescovile, e il castello. Il disegno mette bene in evidenza il dislivello tra la terra vecchia e la via Bac Bac e proprio ai margini di questo dislivello furono costruiti sia il palazzo Lo Iacono che il monastero di San Vincenzo.
Se dovessimo dire che il palazzo Lo Iacono è crollato perchè doveva, proprio per quanto ho detto prima, sarebbe un falso, dato che le modeste dimensioni dell’edificio avrebbero permesso al Comune, se ne avesse avuto voglia, di intervenire con appropriati lavori di consolidamento strutturale, evitandone il collasso.
Ma, purtroppo, gli organi preposti alla salvaguardia della pubblica incolumità e alla tutela del monumento hanno scelto la strada dello scarica barile, non pesando bene alle loro responsabilità; il palazzo Lo Iacono, infatti, è stato inserito nell’elenco dei beni artistici e monumentali da tutelare ai sensi delle leggi vigenti nazionali e regionali e sopratutto ai sensi della legge regionale 70/76 e successive integrazioni, per cui è obbligatorio il suo consolidamento e il suo restauro per destinarlo alla fruizione pubblica.
Già il Consiglio comunale nel 1986 ne aveva deliberato l’esproprio per acquisirlo al demanio comunale per consolidarlo e restaurarlo, la procedura di esproprio fu avviata, ma per ragioni inspiegabili il Comune ne bloccò la gara d’appalto, staccando un assegno solo per il progettista. (vedi la lettera aperta inviata al Sindaco il 21 febbraio 2008 e che qui si allega),
A distanza di 25 anni, tolto ai proprietari (dato che a loro vennero inviate le lettere di esproprio) e lasciato nella più totale incuria, il palazzo non c’é più e il Comune cerca di scaricare le proprie responsabilità sui privati i quali hanno abbandonato le loro case già nel 1986, quando il comune intimò, sbandierandolo, l’imminente esproprio. L’amministrazione comunale attuale (ma anche quelle passate purtroppo) da questi drammatici eventi calamitosi non ricava mai alcuna lezione per evitare altri simili disastri.
Ribadisco: la minaccia del sindaco di far sgomberare centinaia di abitanti del centro storico che abitano vicino alle case pericolanti, sembra più un polemico richiamo conflittuale-politico verso i rappresentati del governo nazionale e regionale con i quali in modo ondivago è parte attiva, piuttosto che la ricerca di soluzioni alternative e adeguate in ordine alla sua competenza.
(III)
Il terzo argomento è volto a diffondere informazione storica (molte notizie sono inedite e fanno parte di una ricerca organica di un preparando libro sulla storia della città), sui molteplici dissesti verificatisi nel vertice settentrionale dell’abitato storico, in particolare quelli della Cattedrale di S. Gerlando e dell’area di sedime dell’ex castello oggi in parte occupato dall’interrato serbatoio idrico comunale.
Se nel dissesto strutturale del palazzo Lo Iacono, intervenendo in modo appropriato si sarebbe potuto evitare l’irreparabile, per la cattedrale le cose stanno in modo un tantino diverso: la navata nord della chiesa, posta nell’estremo lembo settentrionale del colle – più volte interessato da frane – rischia di ruotare rovinosamente sul pendio causando veramente un gigantesco disastro.
La cattedrale è il più grande edificio della città e il suo consolidamento tecnicamente si presenta molto problematico per diversi fattori, oggi si presenta molto impegnativo, più di quanto operato fino ad oggi, dato che gli ultimi interventi eseguiti sulla struttura (tra l’altro alcuni lavori sono stati completati da qualche anno dalla stessa Protezione Civile) si sono rivelati insufficienti, e limitati peraltro ad interventi leggeri, che non hanno inciso profondamene nella struttura della base rocciosa su cui poggia, nella quale sta senz’altro la vera causa delle profonde lesioni. Sostituire catene di ferro con quelle di acciaio o con altre moderne tecnologie edilizie in questo caso è un palliativo; quello che occorre, prima di qualsiasi intervento, è capire, conoscere concretamente le cause che provocano questi dissesti strutturali.
Sulle vistose lesioni che si riscontrano lungo la scalinata principale della cattedrale, per la verità manifestatesi già da diversi anni (vedi foto pag. 272 e 273 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006), qualche voce si è sentita, mi riferisco al geologo dell’equipe del Prof. Imbesi che ha redatto il P. R.G. il quale, sulla base delle indagini geologiche svolte, ha dichiarato che nel colle di Agrigento era in corso un lento ma inevitabile movimento franoso. Non ha fornito molti dettagli a riguardo, e non si è capito se si riferisse ai dissesti iniziali nella scalinata del duomo oppure ad altri siti; sta di fatto che il problema sollevato da Imbesi è molto serio, e si vuole capire se abbia messo nero su bianco quanto dichiarato.
A questo punto credo che sia necessaria una indagine geologica molto approfondita per avere certezza degli interventi da effettuare, nel frattempo alcune notizie storiche sui dissesti verificatesi nella cattedrale (anche del serbatoio idrico comunale, dove un secolo fa sorgeva il castello), possono rivelarsi preziose per capire in quale direzione puntare l’attenzione.
L’indagine della commissione ministeriale presieduta dal prof. Giorgio Grappelli, fatta subito dopo la frana del 19 luglio 1966 può essere un ottimo punto di partenza, anche se a distanza di 45 anni potrebbe essere stata superata da nuovi sistemi di indagine. Del geologo G.B. Floridia, lo stesso che è stato alla guida delle indagini geologiche nella suddetta commissione Grappelli, in un articolo del Giornale di Sicilia pubblicato due giorni dopo la frana del 19 luglio 1966 si scrive: ” Il Prof. Floridia, inviato ad Agrigento per effettuare i primi rilievi, se ne è andato sui gradini del Duomo di S. Gerlando ed ha scoperto che all’interno di alcune spaccature che si aprono sulle scalinate è cresciuta l’erba. Se ne può dedurre – ha detto ieri, nel corso di una specie di conferenza pubblica organizzata in provincia – che perlomeno in questa zona la frana era vecchia di qualche settimana o qualche mese e che si poteva dunque tentare qualcosa per evitare danni maggiori” (vedi articolo Giornale di Sicilia del 21 luglio 1966, pubblicato a pag. 23 del libro 19 luglio 1966 Agrigento frana storie di lotte sociali di dissesti urbanistici e di leggi disattesi” di C. Miccichè, Agrigento 2003 e articolo del giornale La Sicilia del 22 luglio 1966).
Realmente non credo che si potesse fermare quel movimento franoso, ma sicuramente informare sì, perché più si informa, più si conosce, più partecipazione democratica c’è; ed è proprio quello che si vuole tentare di fare con questa relazione. Partendo dall’analisi storica dei dissesti, possiamo contribuire a distinguere i fenomeni che pericolosamente si sono manifestati, dividendoli tra quelli che possono essere risolti con semplici interventi di consolidamento sui singoli edifici, e quelli che hanno bisogno di interventi molto impegnativi e complessi, evitando di generalizzare e creare allarmismo inutile .
La cattedrale per 9 secoli è stata interessata da ampi dissesti strutturali con conseguenti crolli di ampia porzione di muri. Da ricerche bibliografiche sappiamo che nel XIII e XIV secolo la chiesa era stata più volte riparata perché seriamente danneggiata o addirittura distrutta, ma su questi eventi non ci sono particolari elementi conoscitivi che possono condurci verso precise conclusioni, possiamo soltanto dire che nel 1221 durante la prigionia del vescovo Ursone (1191-1239) la chiesa normanna (che tra l’altro era molto più piccola di come la conosciamo oggi) rimase senza tetto per diversi anni (possiamo dire con certezza che quando si verificano rotazioni di muri perimetrali la prima cosa che crolla è il soffitto).
Durante il vescovado del genovese Giuliano Cibo 1506-1537, lo storico della chiesa siciliana Rocco Pirro (“Sicilia Sacra”, Palermo 1723) ci riferisce che la cattedrale per qualche anno rimase senza tetto e di nuovo “diruta”, tanto che era crollata la volta della navata centrale e dissestate le colonne del muro che divideva questa navata da quella settentrionale; i diversi stili architettonici delle colonne provano con evidenza che le ricostruzioni sono di epoche differenti. La descrizione di Pirro ci induce a desumere con notevole chiarezza che i dissesti avvenuti agli inizi del XVI secolo sono identici a quelli verificatesi in precedenza, a quelli verificatisi successivamente, e anche a quelli attuali: per fortuna si è intervenuti in tempo ad evitarne il crollo definitivo.
Il Fazello, venuto ad Agrigento verso la metà del XVI secolo, scriveva che il trecentesco edificio dello “Steri” costruito dalla famiglia Chiaramonte (oggi seminario) prospiciente la facciata occidentale della cattedrale, era quasi distrutto, invece sulla cattedrale , fa generico cenno di riparazioni forse riferendosi agli eventi verificatesi nel periodo del vescovo Cibo, come scrisse con maggiore precisione Rocco Pirro molto più tardi.
Circa i lavori di consolidamento effettuati tra il 1693 e il 1694, sotto il vescovo Francesco Maria Rhini, gli storici della chiesa agrigentina ci dicono che erano riparazioni conseguenti ai danni provocati dal terremoto del 1693.
Interessanti e molto documentate sono le notizie che fornisce il regio visitatore Giovan Angelo de Ciocchis il quale nel 1741 in merito allo stato delle fabbriche scrisse:
“E da notarsi principalmente per indennità del Reggio Erario sempre ha ristorato le fabbriche di questa Regia Cattedrale, qualmente il muro maestro del prospetto all’occidente da molto tempo in qua franato quasi nel mezzo di esso muro, come se ne vede ora linea di frattura incominciando dalla cornice sino al gradino della porta maggiore occidentale. Le due scale dell’atrio della porta di mezzogiorno hanno delle molte fratture come pure il pavimento di detto atrio colla sua volta e muro maestro e assai fracassato. Similmente uno delli cantoni della cappella di S. Gerlando tiene in piedi una frattura. Perfino la torre (Montaperto) del campanile e rimasta imperfetta senza guglia, o vogliamo dire obelisco principale ornamento” (ASP Conservatoria di Registro, Regie Visite, vol. 1397 Anno 1741-1743 pag. 224) .
Lo stesso regio visitatore in merito alle condizioni strutturali sopra trascritte riportò fedelmente le relazioni dei capimastri riguardanti i lavori di consolidamento che qui si trascrivono solo in parte :
“Relatione che fanno mastro Francesco Catania, e mastro Francesco Argento capi mastri di questa magnifica città di Girgenti per li acconci, e ripari delle fabbriche di questa Santa Reggia Cattedrale Chiesa, e per altro essere necessariissimi. In primis di deve riparare la cantonera della cappella di S. Gerlando affaccio livante e mezzogiorno. Si devono fare di pezzi grossi di pietra bianca della pietra delli Mintini, in tutte n. 320; e si deve mettere in piano il fondamento, ed arrivare all’altezza di palmi sedici detto in tutti n. 320 e ragione di onze 1,15 il cento .onze 4, 28 …(omississ) totale onze 23,27.10”(ASP Conservatoria di Registro, Regie Visite, vol. 1397 Anno 1741-1743 pag. 552).
Più significativa è la relazione dei lavori nella facciata principale:
“Havendosi osservato l’affacciata dalla parte dell’occidente di detta chiesa li riferiti relatori sono di parere, per haverla ritrovata nel mezzo della porta grande, tutta sconcentrata, e lineata in diverse parti più del dovere nella detta porta, metterci due catine di ferro segrete, incapestrati una coll’echisciano(?) messe nel mezzo giusto dell’affacciata, e che tutti li quattro pilastroni di detta affacciata siano attaccati cole dette catine, nel mezzo della porta si deve lecare l’architrave, friscio, cornice, frontespizio e l’altra all’altezza dove si troverà desfatta, e lecare due pezzi di dritto per lato, e riformarsi la detta porta, e farsi triangolare, con concertarci(?) tutti li detti intagli di detta per quello necessita spesa … (omissis) totale onze 81”
(ASP Conservatoria di Registro, Regie Visite, vol. 1397 Anno 1741-1743 pag. 553)
Nel 1835 il vescovo Pietro Maria D’Agostino fece demolire, perché pericolante, la grande torre normanna, ubicata nel lato settentrionale, vicino alla facciata principale della cattedrale, molto vicino all’abbandonato museo diocesano costruito negli anni sessanta. A proposito, anche questo moderno edificio, a seguito della frana del 19 luglio 1966, è stato interessato da dissesti. Demolita la torre, con le stesse pietre e sullo stesso lato nord della cattedrale venne costruito un contrafforte a ridosso del Duomo, manufatto tuttora esistente. (vedi il libro “Memorie storiche agrigentine di G. Picone pag. 455, Girgenti 1866).
La torre fu fatta costruire dal vescovo Gualtiero nel 1130, a difesa del clero e della cattedrale, con le pietre del tempio di Giove; possiamo dire con certezza che era imponente, tanto da essere ben visibile col tratto di muro di cinta nell’interessante disegno della città del 1584 (Biblioteca Angelica di Roma, e publicata a pag. 221 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006). E’ molto probabile che tutto il tratto delle spesse mura di cinta che collegavano la suddetta torre con il castello furono in parte demolite e in parte inglobate nella cattedrale, ma in epoche diverse. Sicuramente quelle che si vedono nel disegno del 1584 sono state demolite assieme alla torre normanna nel 1835, mentre quelle che erano o dietro la cattedrale, prima furono ridimensionate in altezza, poi vennero inglobate nelle mura settentrionali dei locali di servizio della cattedrale. La conseguenza di questa nuova costruzione fu la chiusura di una stradina che fino al 1835 conduceva per circa 30 metri sino all’altezza del muro esterno della cappella de Marinis.
E’ facile che una piccola porzione di muro di cinta (6 metri circa) sia stata inglobata in epoca molto precedente, nella costruzione del muro settentrionale della cappella quattrocentesca dei de Marinis, dove si notano evidenti ed antiche lesioni, a prova che le mura di cinta normanne, parallele alle mura settentrionali della cattedrale e separate perimetralmente circa 6 metri uno dall’altro, sono state interessate ambedue da dissesti, e perciò dimostrando che la causa delle lesioni strutturali della cattedrale non è legata alla vetustà o altro, ma al fatto che l’edificio poggia su un base rocciosa calcarenitica posta nell’estremo lembo settentrionale della collina, banco che si è rivelato, alle indagini geologiche, estremamente fragile.
Questi dissesti, comunque, sono molto simili a quelli verificatisi prima della frana del 19 luglio 1966, ancora simili a quelli successivi, ma di minore entità, verificatesi nel 1976, e ancora negli anni successivi nella Valle dei Templi, precisamente nel costone della porta di Gela, coinvolgendo la sede della strada provinciale sotto il tempio di Giunone.
Molto indicativa è la descrizione fatta da De Ciocchis quando dice che la Cattedrale aveva tre porte, la principale ad occidente e due laterali che si fronteggiavano: la porta del lato meridionale con le due rampe di scale sulla via Duomo, che ben conosciamo, ed una a settentrione che si affacciava nella stradina di fronte le mura di cinta. L’esistenza del vano della porta di settentrione è provata anche da planimetrie ottocentesche . Si desume quindi che prima del 1835 esisteva una stradina che percorreva circa 30 metri dietro la cattedrale fino ad arrivare a questa terza porta d’ingresso, probabilmente chiusa nel periodo della demolizione della torre normanna. Se adesso la stradina non c’è, possiamo concludere che lo spazio che intercorre tra i resti delle antiche mura di cinta e il muro settentrionale della cattedrale è stato occupato dalla costruzione di alcuni vani di servizio della cattedrale, ancora oggi esistenti e interessati da dissesti nonostante siano stati più volte effettuati nelle mura perimetrali interventi di consolidamento.
Molti storici e studiosi (in particolare Maria Giuffrè nel libro “Castelli e luoghi forti di Sicilia XII -XVII secolo”, V. Cavallotto Ed. Palermo 1980 e Anna Maria Schmidt, vedi libro “la cattedrale di Agrigento tra storia, arte, architettura” a cura di Giuseppe Ingaglio, Palermo 2010) ci dicono che la cattedrale era una chiesa “munita”, in cui cioè le mura della cattedrale erano parte integrante del sistema difensivo del versante settentrionale della città; quindi se la cattedrale era definita “munita”, la struttura doveva essere abbastanza resistente, ma purtroppo non si tenne conto del fragile basamento della roccia calcarenitica su cui poggia.
Mentre i lavori eseguiti durante il vescovado di Bartolomeo Lagumina (1898-1836) furono più opere di scrostamento e di restauro che di consolidamento strutturale vero e proprio, restauro che restituì in parte quello che era rimasto dell’originale architettura medievale. I lavori proseguirono fino al 1928 dato che nel 1925 una frana limitata si era manifestata nella contrada del Carmine (quartiere del Rabato), danneggiando l’omonimo convento (poi distrutto) e provocando anche limitati dissesti nella cattedrale e nel seminario (vedi pagg 13, 54 e 55 del libro “19 luglio 1966 Agrigento frana storie di lotte sociali di dissesti urbanistici e di leggi disattesi” di C. Miccichè, Agrigento 2003 e foto pag.272 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006).
Ed infine il noto evento franoso del 19 luglio 1966 di cui molto si è parlato, tanto che è dettagliatamente documentato nella relazione della commissione ministeriale d’indagine di cui si è fatto sopra cenno. (vedi cronologia degli eventi franosi nel libro“19 luglio 1966 Agrigento frana storie di lotte sociali di dissesti urbanistici e di leggi disattesi” di C. Miccichè, Agrigento 2003).
(IV)
Il terzo argomento si concentra sul castello di origine araba (anche se dopo la conquista normanna di architettura militare araba rimase pochissimo), demolito nei primi anni del secolo scorso, è stato per 9 secoli interessato da continui e diffusi dissesti strutturali, con conseguenti crolli in parte documentati. Affronteremo gli eventi calamitosi che riguardavano il castello per accostare le vicende dei suoi a quelli della cattedrale.
Dalle ricerche effettuate negli archivi di Stato di Agrigento e Palermo, sono venuti fuori notizie inedite, alcuni documenti provano che in epoche diverse si sono verificati crolli di torri e interi porzioni di mura o parte di essi, e in diversi documenti si rileva anche il conseguente lavoro di ricostruzione o riparazione o di totale demolizione; mentre risultano molti altri documenti che citano soltanto specifici stanziamenti di denaro per effettuare urgenti riparazioni, senza indicare la consistenza dei lavori da effettuare. Si segnalano qui i documenti storici che si ritengono più significativi a partire dal 1398 al XIX secolo.
Quello del 27 dicembre 1398 è in assoluto il più antico documento che si conosce e nel quale si parla esplicitamente di crollo di una porzione del castello, la cui riparazione è direttamente sollecitata dal sovrano aragonese Martino il vecchio.
Il documento, in copia originale, è la trascrizione di una lettera di re Martino del 27 dicembre 1398, registrata dal Protonotaro e trasmessa agli uffici della regia curia per l’esecutività.
Inizia con l’abbreviata e solita invocazione al re, ma qui si riporta la parte più significativa della lettera con la quale si rileva che re Martino ordina al notaio agrigentino Vitali de Filesio la riparazione del castello :Pro rifornimento castelli civitates Agrigenti” Indirizzato a “Dirigitur notaio Vitali de Filexio”.
“…Rividiri come comandondovi ki mastri muraturi ed altri persuni periti dejati rividiri et consultare di riparaxioni bisogna alu castello vostro di Girgenti et maxima e la turri et ali fussati et di tutto quello ki parrà esseri necessario dyiate per nui fari riparari la turri per ki patì rujna et subistituter di li fussati et di onmini di altra riparacioni ki sia necessaria per tanto …” “…Ki cuperiti lu trabucco oy chi dati quillo meglu riparu ki sia plui utili”. Il documento conclude con le ultime disposizioni di Martino che riguardano l’acquisto di un mulo occorrente: “per lu Chintimulu del castellano”, infine dalla vendita del vino donato al re dalla città di Girgenti il ricavato sarà versato allo “scrivano regio per li riparacioni. Agrigenti 27 dicembre 1398 il re Martino” ( vedi ASP, Protonotaro del Regno vol. n. 12 anni 1397-1399 foglio 187 r., e in “Il notaio Vitale de Filesio, vicesecreto …” saggio di Patrizia Sardina, rivista Mediterranea pag. 429, anno II ° 2006 – Palermo).
Veramente interessante questo documento in cui si parla direttamente delle condizioni statiche del castello di Agrigento e della necessità di ripararlo, riferendosi ai lavori di riparazione della torre massima che si affacciava sul fossato e conseguentemente alla sistemazione, sgombero dei materiali inerti dal fossato (oggi occupato dalla chiesa di S. Alfonso) e riparazione della porta principale. Queste riparazioni furono ordinate espressamente da re Martino con la suddetta lettera diretta al notaio agrigentino Vitale de Filesio, il quale rivestiva anche la carica di vicesecreto, nonché il compito di far eseguire i lavori (carica quest’ultima che aveva ottenuto direttamente dal sovrano per il real servizio che il Filesio aveva reso alla città contro la fazione dei Chiaramonte). Nel dettaglio questa lettera ci fa vedere il re aragonese che valuta insieme ai periti e mastri muratori la necessità di riparare la torre “maxima” “per ki patì ruijna”, crollata nel fossato, la sistemazione dello stesso fossato, di fare le riparazioni necessarie sulla porta principale e sui muri del castello, quindi di rifornirlo di vettovaglie e di armi adeguate alla difesa, come balestre, pavesi e altro, costruire una tettoia per “lu trabucco” (la catapulta) ovviamente per tutelarla dalle intemperie, infine di realizzare un “chintimulu” (centimolo, ovvero la macina del grano a trazione animale), acquistare un mulo e vendere il vino donato al re per ricavarne introito e contribuire alle spese per la riparazione del castello.
Nei registri della conservatoria del Regno serie fortilizi datata 23 febbraio 1426 troviamo il finanziamento di 12 onze a firma del viceré Nicola Speciale al fine di effettuare urgentemente la riparazione del castello e del fossato per evitare la possibile “rujina”. ( ASP Real Conservatoria – documento provvisorio 11, vol. 1011 foglio 265 del 23 febbraio, IV ind. 1426).
Un altro documento trovato nel suddetto registro della serie fortilizi datato 6 ottobre 1428, a firma del maestro secreto del regno Gisperto Desfar, dispone la somma di 20 onze per la riparazione straordinaria del castello, previa autorizzazione del viceré, ovviamente a seguito di una relazione del castellano e del provveditore ai castelli. (ASP R. Conser. – doc. prov. n. 15, vol. 1011 foglio 374 del 6 ottobre VI ind. 1428).
Questa considerevole cifra era finalizzata ad effettuare urgentemente i lavori di “grande riparacione”, come troviamo scritto nel documento dove inoltre si ribadisce che questi lavori servono per evitare “ una grande ruina del castello”. Si riscontra, quindi, un’altra segnalazione di gravi condizioni di stabilità strutturale del castello a distanza di due anni: la prima (1426) in cui vengono assegnate 12 onze per un’altra riparazione straordinaria (ASP R. Conserv. – doc. prov. n. 11, vol. 1011,. foglio 265 del 23 febbraio, IV ind. 1426), in cui possiamo leggere ancora la segnalazione di una possibile “rujna” se non si fosse intervenuto urgentemente.
Otto anni più tardi, (1434) troviamo un altro stanziamento di 10 onze per la “riparazione straordinaria” del castello (ASP R. Conserv. – doc. prov. n. 20 vol.1013 fog. senza numero, del 4 settembre e del 9 settembre XII ind. 1434).
Nel 1499 la regia curia emana un decreto di finanziamento per lavori di riparazione straordinaria del castello, e attraverso il documento della Real Cancelleria, titolato “Riparacione castrum Agrigenti”, sappiamo che fu stanziata la consistente cifra di 20 onze (ASP Real Cancelleria vol. 201 – anno 1499 foglio 144 rv (f. 186 rv – n.n.). E’ un decreto di finanziamento firmato dal vicere La Nunza che autorizza il nobile Bennardo Belguardo della citta di Girgenti e il credenziere (cassiere) della secrezia della stessa città Vincenzo Faraone a disporre gli atti per indire un bando per la riparazione urgente del castello e, sulla base della somma stanziata, ad effettuare con urgenza i lavori di riparazione impiegando “la calcina e pietra in maniera adeguata e con mastri e manovali idonei scelti attraverso un bando”. Il castellano (allora in carica Antonello Montaperto) infine doveva controfirmare la conclusione dei lavori con la “poliza”. Girgenti 1 dicembre III Ind. 1499, firma il vicere La Nunza. Anche se il documento non rileva dettagliatamente la consistenza dei lavori, si capisce che si trattava di lavori impegnativi tanto che il viceré si spinge addirittura ad obbligare gli appaltatori di impiegare nei lavori il materiale edilizio più adatto: “calcina e pietra in maniera adeguata” e per giunta “con mastri e manovali idonei scelti attraverso un bando”; chiaramente si desume che erano lavori di consolidamento, tra l’altro ritenuto “urgente”, da cui possiamo desumere che il castello aveva subito dissesti strutturali.
Le 12 onze del 1426, le 20 onze del 1428, le 10 onze del 1434 e l’ulteriore 20 onze del 1499, indicano che queste somme sono state impiegate per effettuare lavori straordinari, perciò dimostrano l’assoluta necessità di far fronte a riparazioni urgenti nel castello. Queste notizie, senza alcun dubbio, provano il fatto che il castello aveva subito nell’arco di pochi decenni del XV secolo notevoli dissesti strutturali, perciò possiamo dedurre che il castello non era in precarie condizioni statiche per difetto di costruzione o per vetustà, ma per la fragilità del bando calcarenitico su cui poggiava.
Sempre nei registri della Conservatoria, serie fortilizi, fino alla metà del secolo XVI troviamo decreti di finanziamento di 3 onze per anno per la manutenzione ordinaria. Dal 1569 in poi si interrompe l’assegnazione di finanziamento per la manutenzione ordinaria del castello perché nel frattempo re Filippo II lo assegna in “feudum” al navarrese Stefano Monreale, obbligandolo però a mantenere la destinazione d’uso a carcere. Quindi, essendo diventato quasi un edificio privato, dal 1570 al XIX secolo non saranno più pubbliche le notizie sulle condizioni statiche, che si sono potute rintracciare solo attraverso una meticolosa ricerca degli atti notarili, e si è scoperto l’esecuzione di diversi lavori, prevalentemente ordinarii e in diversi casi straordinari.
Nel XVIII secolo troviamo molti atti notarili che descrivono l’esecuzione dei lavori di manutenzione del castello, ma quelli che più ci forniscono dati sullo stato di consistenza è una relazione dei capi mastri del 1760, una relazione dello stato di avanzamento dei lavori in un atto del 1768, e ancora quattro relazioni allegate in un atto del 1799,nelle quali si rileva il crollo della torre del versante occidentale e il crollo del muro di mezzogiorno e di levante, nonostante nel 1768 fossero stati eseguiti lavori di consolidamento. Poiché sembrano significative le suddette relazioni tecniche citate, si trascrivono integralmente quelle del 1760 e 1799, mentre quella del 1768 solo nella parte relativa alla descrizione dei lavori di consolidamento dei manufatti dissestati.
In atti del notaio Agostino Contino del 8 giugno 1760 (A.S.A – Inventario 6 – Notaio Agostino Contino anno 1760 – volume 2775 fogg. 1159/1160), troviamo la relazione riguardante la stima di 907 mq di terreno confinante con il castello, fatta dai capimaestri “marammieri” Pietro Paolo Scicolone e Onofrio Chiarelli, sottoscritta davanti al suddetto notaio, trascritta e allegata all’atto di vendita del terreno posto ad occidente del castello, appartenuto alla duchessa Anna Maria Monreale e venduto al vescovo di Agrigento Andrea Lucchesi Palli, per consentire la costruzione della biblioteca privata, e per testamento dello stesso vescovo del 1765 divenne pubblica e prese il nome di ” biblioteca Lucchesiana”. Si trascrive l’allegata relazione dei capi mastri:
foglio 1159 r
“In primis terreno come si vede segnato nel disegno di color rosso in torno di detto castello (in.p…?) di misura tutta nella sua area superficiale: canne 139:6: a tarì 2 la canna: onze 29:10.10
foglio 1159 v
Più terreno che occupano li due muri medianti di detto castello, come si vedono segnate con lettera a: a: a: (in.p…?) di misurazione: canne 10 a tarì 2 la canna: onze 20
Più terreno che si prende il sito di detto castello incluso il terreno che occupa la grossezza dè muri come si vede nel baglio che guarda verso oriente Lungo regolato canne 85, canne 73 a tarì 2 la canna: onze.4: 27 Largo regolato canne 8. 4
Più terreno a fianco il muro che guarda verso oriente del giardino di nostra Signora dell’Itria :
Lungo canne 8, canne 16 a tarì 2 la canna: onze 1: 2 Largo canne 2
Misurazione di fabrica della maggior parte del baglio di detto castello che guarda verso oriente e mezzogiorno:
In primis muro mastro che guarda verso oriente parte fatto di calce ed arena, e parte di pietra e tajo :
Lungo incluso il pieno canne 8:7
Alto regolato .. ………….. canne 5:4
Grosso …………………….. canne 7
canne 170:6:9 a tarì 10 la canna: onze 56:28:8:4
Più muro di detto baglio che guarda verso mezzogiorno
Lungo canne 12
Alto canne 6
Grosso canne 7
canne 252 a tarì 10 la canna : onze ……. 84
Più porzione del muro mediante che
foglio 1160 r
divide detto baglio e cortile delle carceri :
Lungo canne 5
Alto canne 3.4
Grosso canne 2.6.
canne 10: 7.6 a tarì 8 la canna : onze 2:27; 10
Più fabrica di muro mastro misurato per mediante che guarda verso mezzogiorno come si vede di rimpetto la chiesa di nostra Signora dell’Itria
Lungo canne 15
Alto canne 6
Grosso canne 3
canne 15: 2: 4 a tarì 12 la canna : onze 61
Più altro muro mediante di detto castello che guarda verso oriente:
Lungo …………. canne 11:4
Alto regolato canne 5: 2
Grosso regolato canne 4
canne 60:30: a tarì 10 la canna : onze. 20:3.15
Più muro parte di calce e parte di tajo che guarda verso tramontana che chiude il giardino di detto castello :
Lungo ……….. canne 11:3
Alto regolato canne 3
Grosso ………..canne 3
canne : 51:1:6. a tarì 10 la canna : onze 17: 1.17.3
Più altro muro nel mezzo del detto terreno e castello sotto il filo delli fichi di India a fianco la porta di detto castello
foglio 1160 v
Lungo ………….. canne 9: 2
Alto regolato canne 2
Grosso regolato canne – : 5
canne 46:.2 a tarì 5 la canna : onze 12:10
Più fabrica di muro dell’entrata di detto castello sopra il terreno dell’Itria :
Lungo regolato canne 6
Alto regolato canne 1: 4
Grosso regolato canne 1:4
canne 18 a tarì 2 la canna : onze …………. 4: 24
Più fabbrica di tajo che gira in torno al giardino di detto castello incominciando dirimpetto la cantonera della casa di Don Francesco Sgroi Panepinto sino alla cantonera di detto castello:
Lungo ………… canne 20 …………………../
Alto regolato canne 1:6 …………………./
Grosso ………. canne 2:6…………………../
…………………… canne 43:6 a tarì 8 la canna : onze 11. 20
Più si considera per il pezzo di terreno che dona nella strada maestra vicino l’Itria il prezzo di onze 6 = In tutto importa onze 312: 25:1.1
I capi mastri Pietro Paolo Scicolone e Onofrio Chiarelli (A.S.A – Inventario 6 – Notaio Agostino Contino anno 1760 – volume 2775 fogli 1159/1160)
In un atto notarile del 5 febbraio 1° ind. 1768 (A.S.A. – notaio Agostino Contino vol. 2781 anni 1767-1768 da fog 160 rv a fog- 162 rv), troviamo una lunga relazione dei lavori e di riparazioni eseguiti nel 1767 nel castello di Girgenti eseguiti dai capi mastri Raimondo Calderaro e Vincenzo Alletto, ordinati e pagati dal duca di Castrofilippo Francesco Monreale proprietario del castello destinato a carcere. In questa relazione che per motivi di sintesi si trascrive solo la parte dove si rileva il consolidamento dei muri di tramontana, di mezzogiorno e di levante.
foglio 160 v
In primis per sfilare una fabrica vicino la campana alla parte di tramontana ad andare al
levante, salme 4 di gisso a tarì 3.10 la salma – tarì ………………………………………………………. – : 14
Per un giornata e menzo d’un mastro, con due manuali a tarì 7 il giorno – tarì ………… – : 10.10
Per aver boccheggiato, ed immutenato (o imbuttunari, cioè cucire) il muro di menzogiorno dentro il baglio per salme 1 di gisso tarì ……………………………………………………………………………… – : 3.10
foglio 161 r
Delle quali onze 8:1.9 dedotti tarì 18.9 discalati da detto d’Alletto nella bannizatione e liberazione di detto serviggio restano di netto in tutto onze 7:13 a tenore, e giusta la forma di detto contratto obligatorio al quale di bel nuovo si riferiscono ut dicitur renunciate.
Servero per aver riparato diversi muri di detto Regio Castello voltare le case, fare le liste nel medesimo, fare due pezzi di dammuso, fare alcuni pezzi di tetto, per essere disfatti, e necessarj da farsi, ed altri acconci e ripari necessarj fatti nell’istesso Regio Castello a tenore, e giusta la forma di detto contratto obligatorio
foglio 162 r
In primis per aver immutenato (o imbuttunari, cioè cucire) il muro, parte sopra il tocchetto e
parte d’oriente che dona nel baglio per essere disfatto salme tre di gisso a tarì 3 e grana 10
la salma – tarì – : 10.10 ,.29.5 (A.S.A. – Notaio Agostino Contino vol. 2781 anni 1767-1768)
Il 26 maggio 1799, in atto del notaio Michele Formica di Girgenti si rileva che il marchese Giuseppe del Bosco e la marchesina Ippolita del Bosco e Monreale avevano venduto al sacerdote don Pietro Cucchiara del convento dei P.P. Liguorini, un “mondello e due quartiglie” di terra confinante con il castello compresa la porzione di terra di sedime dove insisteva una torre e una porzione di muro di mezzogiorno che erano precedentemente crollati. Nel presente atto si trovano allegati quattro relazioni tecniche allegati al presente atto che si trascrivono (A.S.A. Inv. n. 6, vol. n. 1869, anno 1799, fogli 835/846 bis):
a): Stima del terreno da parte del regio agrimensore don Luigi Sciabica (fog. 838);
b): Relazione tecnica del capo mastro marammiere Libertino Argento (fog. 839);
c): Relazione tecnica congiunta dei Capi Mastri Marammieri Libertino Argento e Francesco
Mossuto (fog. 840);
d): Altra relazione tecnica del Capo Mastro Libertino Argento (fog.841)
f) : Dichiarazione del sacerdote Cucchiara (fog. 844)
Allegato a) (fog. 838):
Stima del terreno da parte del Regio Agrimensore Don Luigi Sciabica
Io iscritto quale maestro regio agrimensore, scelto dall’eccellentissimo Signor Marchese dell’Alimena per stimare (…?…) (…?…) quel pezzetto di terre esistente sotto il regio Castello conciando palme tre d’entro assettentrione dalle due cantoniere del regio castello che guarda all’oriente, e l’altra cantoniera che sta in faccia alla scala della casa di Pasquale Fania che si trova nel principio della strada che conduce al castello a mano destra nel salire; confinano colla strada Maestra, e con il giardino del’Itria; avendo quindi misurato dette terre le (…?…) (…?…) canne sedici all’oriente del giardino dell’Itria che mi indicano appartenere ai Padri missionari, mondello uno e due quartiglie dico 6, 1.2. dalle quali si considera mondello trentadue tutto importano onze otto, dico 8, e dette due quartiglie, (…?..) venti il tutto che importano onze due e tarì quindici 2,15. In tutto dico di lordo 10,15.
E questa e la mia relazione con giuramento .
Scritta e sottoscritta di mio pugno
Oggi in Girgenti 10 ottobre 1798. Io don Luigi Sciabica maestro regio agrimensore.
allegato b (fog. 839)
Stima fatta da me infrascritto capo maestro marammiere del muro e porzione di limito che circonda imparte quel pezzo di terreno nella scoscesa de Castello, allato il giardino della Venerabile chiesa del Itria in esclusione di canne due di loncitudine dedotta nel lato di suddetta Chiesa per essere spettante alli Reverendissimi padri del S.S. Redentore:
prima misura di fabbrica di calce ed avena in lunghezza di canne 25; 6: che proporzionata la sua altezza in diverse misure che calcolate, raccolte ed unite ascendono alla somma di canne regolati canne 27: 5:3 = che per essere costruito di calce del sapunaro si considera a tarì. 26 – canna, che importa onze 14: 22: 15:
E più fabbrica di pietra e lato, rimbottonata di calce, che di sua lunghezza canne 6: 2: con la sua altezza proporzionata, di misura fatta fa canne 20: 4:3: che a tarì 22 canna importa onze4:6:11:1
E più limito di pietra insecco cominciando dal termine del sudetto muro divisorio, in lunghezza di canne 6:5: che a tarì 3: 10: per ogni canna corrente, importa onze 23:3. 4
Di maniora(?) che tutta l’intiera somma del sopra detto, mura e limito,ascende ad onze19:22:9: 5
Io maestro Libertino Argento relatore: confirmo come sopra
allegato c (fog. 840)
Relazione fatta da noi infrascritti Capi Marammieri detto che abbisogna di spesa per il riattamento dei muri del Castello, nei due lati di Mezzogiorno ed Occidente
Primieramente nel muro di Mezzogiorno vi bisogna restaurarsi una porzione di tutto l’intiero muro, per essere molto spiombato, e disfatto, in lunghezza di canne 4 = e di altezza canne 3 =4 = che deve farsi di grossezza palmi 2 che fa di canne regolati canne 14 =
E più nel muro di Occidente bisogna ripararsi un’altra porzione di muro per essere ugualmente molto spiombato, in lunghezza di canne 2 = e di altezza canne 1=2 = con la grossezza di palmi due come sopra, che fa canne 2= 4 = che unite a quelli di sopra, tutte ascendono a canne regolati canne 16=4 = che per gesso, suplimento di pietra, acqua, maestria compresa pure la demolizione dei muri che dovendo restaurarsi, come anche se vi bisognasse puntellare imparte nel esecuzione del lavoro e comprese pure tutti l’ordigni necessari come legnami, corde, capo e tutto altro necessario a un tal lavoro, per tutto si considera a tarì 34 = canna che importa onze 18, 21
Io Maestro Libertino Argento relatore: confirmo come sopra
Io Maestro Francesco Mossuto relatore confirmo come sopra
allegato d (fog. 841)
Relazione fatta da me iscritto capo maestro Marammiere del pronto riparo, che vi abbisogna nel muro del Castello, in quello del prospetto di tramontana per essere imparte demolito, e imparte distrutto il sopradetto muro, attualmente si trova imparte spiombato, e imparte corroso, e in tre piccoli porzioni di esso, si trova due parti demolito, e una porzione che sta per demolirsi, che saranno la causa di potersi rovinare una buona parte del sudetto muro, che perciò, bisogna almeno, per un pronto riparo, ristorarsi in queste due sole porzioni, che vi bisognerebbe canne 4 = di fabbrica di gesso, che per pietra, gesso, acqua , maestria, ed ordigni per li ponti, scala e tutto altro necessario, si considera a tarì 34 = canne che importa 4 = 16
Io Maestro Libertino Argento relatore confirmo come sopra.
Dal 13° rigo fino al rigo 26 della pagina 844
Processe di patto tra detti contraenti con giuramento firmato, che il sudetto rev.di Cucchiara per esso, e suoi e a sue proprie spese possa alzare un muro divisorio, che passa dall’angolo del regio Castello del baglio vecchio, che riguarda l’oriente a scendere sino alla via che conduce alle carceri secondo la relazione fatta dall’agrimensore regio d. Luigi Sciabica, come s’asserisce, e maestro Libertino Argento, alle quali in tutto e per tutto si rimettono.
Più con patto, che il Rev. di Cucchiara si obliga alli detti Illustri venditori di rifare la strada, che conduce alle carceri sudetto nel caso, che sudetto muro venisse ad alterarla con dovere renderla comoda a sue proprie spese, secondo il giudizio, e relazione del sudetto Capo Maestro marammiere Argento, e ciò per una sol volta, e non altre”. (A.S.A. Inv. n. 6, vol. n. 1869, anno 1799, fogli 835/846 bis):
Queste relazioni non hanno bisogno di ulteriori commenti provando chiaramente lo stato di assoluta precarietà statica del castello, i cui continui dissesti sono stati provocati, possiamo dirlo con certezza, non solo da fattori di vetustà strutturale, ma sollecitati dalla fragilità e da movimenti meccanici del banco calcarenitico su cui poggiava. I crolli della torre e della porzione di muri posti a tramontana, mezzogiorno e levante sono confermati nella planimetria redatta nel 1907, che si trova allegata nell’atto di vendita effettuata dalla Provincia, che nel frattempo ne era divenuta proprietaria, e venduta al comune di Agrigento in atti di notaio F.P. Diana del 6 ottobre 1907 (Archivio notarile Agrigento n. rep. 12112 e pubblicata a pag. 347 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006).
L’acquisto del castello da parte del Comune di Agrigento era finalizzato a demolirlo totalmente per costruire il grande serbatoio idrico, i cui lavori furono completati alla fine degli anni venti del secolo scorso.
Questa pianta prova il fatto che dopo il crollo della torre e della porzione di muro di mezzogiorno rilevato nell’atto di vendita del 1799 per la costruzione della casa dei PP Liguorini, gli stessi non furono più ricostruiti, contrariamente a quanto avveniva alle costruzioni appartenenti al demanio dei regnanti spagnoli. Ma esaminando ancora meglio la suddetta pianta planimetrica e confrontandola con quella disegnata da Francesco Negro nel 1640 (Biblioteca nazionale di Madrid e pubblicata a pag. 347 del libro.“Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006), scopriamo che nelle mura di oriente e settentrione del castello dopo il 1799 si erano verificati ulteriori crolli.
Infine si rileva che dopo la demolizione del castello, a circa 10 metri sotto il livello di superficie, è stato costruito il serbatoio idrico, occupando parte degli antichi sotterranei, il serbatoio idrico fino a pochi anni fa aveva delle lesioni alla base (vedi foto pubblicata a pag. 348 del libro “Girgenti le pietre della meraviglia…cadute” di C. Miccichè, Agrigento 2006), (pare che questo inconveniente sia stato risolto recentemente grazie ai lavori di riparazione eseguiti dalla Protezione Civile), questo dimostra che le cause dei dissesti sono molteplici e spesso passano inosservate, ma molto più spesso possono essere causate da perdite della rete idrica o della rete fognante.
Soltanto un rapido intervento dello Stato e della Regione, attraverso gli organi all’uopo demandati all’esecuzione degli interventi finanziari, amministrativi, e tecnici, farà sì che si avvii urgentemente una indagine geologica ed idrogeologica del suolo e del sottosuolo del colle agrigentino, ai massimi livelli scientifici, accompagnata da studi e ricerche storiche degli avvenimenti franosi e dissesti vari, solo con questo metodo si potrà dare una volta per tutte le giuste soluzioni al fine di impedire che il centro storico di Agrigento, nel volgere di pochi anni, si trasformi in un cumulo di macerie, e per evitare che questo accada necessita democraticamente l’impegno di tutti.
La federazione provinciale di Agrigento Sinistra Ecologia e Libertà auspica che con la presente relazione si avvii un dibattito in città, al fine di far crescere nella opinione pubblica una conoscenza storica degli avvenimenti calamitosi, perché l’informazione è anche una forma di tutela per evitare facili allarmismi e fatalistici pregiudizi, spesso alimentati strumentalmente dai pubblici poteri per nascondere le proprie responsabilità. Solo la corretta informazione, seria concreta e democratica pone le basi per trovare soluzioni definitive che possano da un lato salvaguardare la pubblica incolumità e dall’altro consolidare fabbricati di civile abitazione e i monumenti storici e artistici di questa millenaria e famosa città di Agrigento.
Agrigento 11 maggio 2011
Calogero Miccichè
Coordinatore Provinciale
Sinistra Ecologia e Libertà