A segnalarci questo articolo, postato su fb da “informare per resistere”, Cosimo Piovasco di Rondò, pseudonimo di un attento lettore/collaboratore, che segue il sito da parecchio tempo.
Non sempre però fare controinformazione significa dare al lettore un’informazione più qualificata, ed è per questo, che invitiamo i lettori a leggere anche il commento all’articolo.
IL CRIMINE ORGANIZZATO, LA SPINA DORSALE DEL NUOVO ORDINE MONDIALE
di KONSTANTIN GORDEEV
strategic-culture.org
Negli ultimi dodici anni, dall’aggressione della NATO all’ex-Yugoslavia, non è la prima volta che siamo testimoni di un intervento internazionale che ha come obbiettivo uno stato sovrano, sotto l’egida nelle Nazioni Unite e con le parole d’ordine ‘democrazia’ e ‘diritti umani’. Il controllo del caos non è una strategia recente e le leggi internazionali sono oramai defunte da lungo tempo. Nel marzo del 1999, la NATO bombardò Belgrado, Pristina e altre città della ex-Jugoslavia, il paese che per primo ha sperimentato i test del nuovo corso degli eventi durante gli anni ’90.
In effetti, il concetto di caos dei sistemi dinamici è vecchio di circa quarant’ anni.
Deriva dagli studi matematici, ma è poi trapelato persino negli scritti di Z. Brzezinski che videro la luce del giugno negli anni ’70 e definirono la direzione da intraprendere per la costruzione del nuovo ordine mondiale per i decenni a venire.
Le motivazioni pragmatiche costituiscono la struttura delle applicazioni della teoria del caso, all’interno dei sistemi deterministici in almeno il 90% dei casi, anche non considerando il fatto che questa è in realtà una reincarnazione della strategia del divide et impera, che ha lo scopo di minare la sovranità nazionale, di prendere il controllo delle risorse naturali (in primo luogo, quelle energetiche ma anche le competenze tecnologiche) dei paesi indipendenti, e di dare supporto agli architetti del nuovo ordine mondiale per rafforzare le loro posizioni, usando il potenziale delle regioni poste sotto il loro controllo.
Le quattro missioni NATO di ‘peace-keeping’ nel periodo di tempo iniziato nel 1999, quelle in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e Libia, ci forniscono abbastanza materiale per comprendere cosa hanno in comune queste offensive nei termini delle implicazioni politiche internazionali.
Per prima cosa, tutte le campagne simili hanno lo scopo di dare alla NATO il controllo sui territori e sulle risorse naturali, con l’appoggio dello schieramento dei media. Le vittime delle aggressioni sono demonizzate e ritratte come nemici della civilizzazione e dell’umanità mentre, al contrario, le aggressioni sono spacciate all’opinione pubblica – la cui stretta visuale è limitata dagli schermi televisivi e dai monitor dei computer – come atti di giustizia.
In secondo luogo, le provocazioni dei gruppi estremisti o separatisti e quella dei cartelli della droga aiutano a costruire le basi della narrazione per le campagne di propaganda. La connessione tra il crimine organizzato legato al traffico degli stupefacenti e le aggressioni della NATO può sembrare paradossale, ma molti dei paesi che sono stati vittima di attacchi da parte della NATO sono tutti attraversati da importanti rotte di smercio, o sono conosciuti per essere tra le centrali di traffico della droga. Ad esempio, l’Afghanistan e l’ Iraq erano annoverati tra i maggiori produttori al mondo di hashish, marijuana e eroina, e il Kosovo albanese come entità etnica esisteva in larga parte grazie a un enorme clan mafioso, il cui leader H. Thaci, un ‘signore della droga’ convertitosi in primo ministro di uno stato che si è auto-proclamato, era la figura-chiave nel business degli stupefacenti in Europa.
La connessione tra i presunti combattenti per la libertà etnico-religiosa e i membri dei cartelli della droga, anche se spesso si tratta delle stesse persone, è un segreto di Pulcinella. V. Ivanov, il capo dell’agenzia per il contrasto alla droga in Russia, ha sottolineato, durante un incontro con i media avuto a Roma il 2 marzo del 2011, che oltre a minare la salute e l’ordine pubblico, il traffico di droga contribuisce anche alla destabilizzazione politica e comporta quindi una tutta una serie di conseguenze alle rispettive società. Ha anche aggiunto che ci sono informazioni sul fatto che il traffico di droga sia la causa principale di proliferazione del crimine organizzato e di rivolta in Nigeria, Costa d’Avorio, Algeria, Tunisia, Libia e Egitto.
Seguendo V. Ivanov, la recente rivoluzione, in alcuni dei summenzionati paesi, si deve di fatto attribuire al crimine organizzato legato agli stupefacenti. In terzo luogo, la tendenza va nella direzione di costruire giustificazioni ai miti diffusi dai media, e i servizi di intelligence, strumenti della governance globale, pubblicano con prontezza relazioni di supporto per l’attacco ai regimi non allineati. Dopo di che, i paesi intenzionati a sostenere il nuovo ordine mondiale – confidando nella loro assoluta superiorità militare e quindi senza alcun rischio – sono liberi di devastare le infrastrutture militari e civili dei paesi-vittima. Nel processo, la conta delle morti dei civili supera di molto quella dei membri dei gruppi criminali, che fanno mostra di sé quali combattenti per la libertà. In quarto luogo, i paesi costretti a capitolare diventano quasi sempre preda dei ‘cartelli’ del traffico della droga. I rappresentanti dei trafficanti e dei gruppi separatisti, che fin dall’inizio scatenano la tensione, o le persone legate a gruppi di pressione esteri vengono così supportati nei paesi sconfitti per imporre nuovi standard apparentemente democratici, dove poi ricopriranno incarichi nella burocrazia post-bellica in modo che le loro risorse tecnologiche e naturali vengano così cedute alle corporation multinazionali. Le popolazioni degli stati in precedenza sovrani si trovano privati di tutte le fonti di sviluppo socioeconomico e si convertono in materiale umano pronto per essere usato dalle mafie. Con la supervisione della NATO, i paesi prendono le sembianze di stati in mano ai gangster, dove la popolazione è divisa tra scagnozzi dei gruppi criminali e servi, vittime e schiavi della criminalità organizzata.
La situazione nei regimi instaurati dalla NATO, con leader fantoccio, guerre di mafia oltre al totale disprezzo dei diritti umani, è simile a quelle già vista nelle colonie. Diffondendo una versione edulcorata, i media hanno comunque fornito una vasta testimonianza a riguardo: le forze USA hanno, secondo quanto riferito, umiliato gli iracheni e gli afgani, i velivoli NATO hanno deliberatamente bombardato i villaggi locali nelle zone di combattimento, i prigionieri hanno dovuto affrontare molestie sessuali e il centro diretto da Thaci per l’estrazione forzata degli organi da mettere in vendita in Europa e negli USA è stato realizzato nel mezzo dell’Europa stessa. Questi processi aiutano gli architetti del nuovo ordine mondiale nell’accumulare valore e a mettere in atto i programmi di riduzione della popolazione, ma questi scopi sono ancora marginali alle loro strategie. Ovviamente, la reale priorità è quella di allargare le zone soggette al ‘controllo del caos’ per coinvolgere tutto il mondo globalizzato. Nel lungo termine, questo caos dovrebbe condurre a una ridistribuzione del mondo in linea con un modello socioeconomico dalla concezione astratta.
Le rivoluzioni che hanno sconvolto il Nord Africa e il Medio Oriente nel gennaio-marzo del 2011 dovevano avere lo scopo di creare una cintura di caos perenne che si spandesse dall’Afghanistan al Marocco (per il momento, la Libia, che mette resistenza all’aggressione della NATO, e l’Iran, un paese che non svenderà la propria sovranità nazionale, stanno contrastando la realizzazione del piano). In aggiunta a questi manifesti obbiettivi geopolitici, quali la formazione di una testa di ponte strategica dalla quale l’intera Eurasia e il Nord Africa avranno la pistola puntata così come la formazione di un monopolio per la formazione dei prezzi dell’energia, capace di provocare arbitrariamente o di far cessare crisi globali, il proposito di questo disegno geopolitico era quello di disseminare il caos, principalmente nei paesi europei, indirizzando verso di loro un sempre maggiore flusso di migranti e di droga.
E’ improbabile che la miscela risultante raggiungerà una concentrazione esplosiva nel futuro prossimo, ma le tensioni etniche che stanno montando in Germania e in Francia e le sue conseguenze socioeconomiche promettono già un collasso generalizzato. Senza ombra di dubbio, l’ora del regolamento dei conti nella vecchia Europa arriverà un giorno o l’altro, anche se, al momento, gli architetti si stanno preoccupando di paesi più vulnerabili, quali la Siria, l’Iran e il Venezuela. L’Iran è il primo obbiettivo scelto per essere il candidato di rivolte preventive guidate dal caos, essendo anche lo stato che ha osato esprimere la propria opposizione alla politica israeliana, oltre ad costituire un’interruzione nella zona soggetta al crimine che si estende dall’Afghanistan al Marocco e a combattere in modo deciso il traffico di stupefacenti.
In Iran, una guerra con i propositi dell’esportazione della democrazia è imminente.
La ragione in parte risiede nel fatto che le recenti rivoluzioni nel mondo arabo hanno lasciato Teheran a corto di alleati e hanno rafforzato la posizione di Israele, ma va anche considerato che la guerra contro l’Iran nel mondo virtuale è già stata scatenata e, nei piani della NATO, questo paese è il prossimo della lista dopo la Libia (o dopo Libia e Siria).
La domanda finale è: come il banditismo si può evolvere nella colonna portante del presente geopolitico e come può il crimine organizzato, con i suoi gruppi armati, emergere come lo strumento preminente del nuovo ordine mondiale? La risposta è semplice: la misinterpretazione di un modello preso a prestito dai matematici, e applicato con successo come fondamento per una valutazione socioeconomica, è servito a trasformare una parte dell’umanità in un’organizzazione diffusa che è strutturalmente analoga alla mafia tradizionale. Le similitudini nella struttura stessa fanno da contraltare alla comunanza di forme, principi, metodi e algoritmi. Le implicazioni per il mondo intero non sono difficili da comprendere.
Konstantin Gordeev
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2011/03/26/organized-crime-as-the-new-world-orders-backbone.html
26.03.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE
Abbiamo sempre creduto in un’informazione che deve essere libera e quanto più possibile veritiera.
Abbiamo sempre creduto nell’informazione che va controcorrente e che con coraggio denuncia quello che altri preferiscono tacere.
Purtroppo, in questo caso, ci troviamo dinanzi uno dei più classici esempi di disinformazione basata sul complottismo più esasperato.
Una disinformazione fondata sull’opinionismo e sul sensazionalismo, piuttosto che sui fatti.
Andiamo con ordine.
Chi è Konstantin Gordeev?
Di lui, sappiamo che è russo; che già in precedenza i suoi scritti venivano ripubblicati in lingua italiana previa autorizzazione della Russia Strategic Culture Foundation; che i suoi scritti sono prevalentemente contro gli USA e la NATO; che anche a volere cercare su Google, ben poco troveremo di lui.
Un po’ come chiedere ad un oste, se il vino dell’oste accanto è buono…
Saltiamo a piè pari le considerazioni di Gordeev sul Nuovo Ordine Mondiale, che è ben altra cosa di quella da lui descritta, per fissare la nostra attenzione al traffico di droga e alla NATO, vista quale ‘cupola’ dei narcotrafficanti.
Purtroppo, il bravo Konstantin dimentica di dire ai suoi lettori, che anche prima dell’intervento della NATO nei Balcani, uno dei traffici maggiori ai quali erano dediti i governanti, era proprio quello degli stupefacenti.
Tanto per citare un caso, prendiamo per esempio Milosevic
“Droga, armi, oro: l’ impero di «Slobo»” titolava il Corriere della Sera il 31 marzo 2001
(http://archiviostorico.corriere.it/2001/marzo/31/Droga_armi_oro_impero_Slobo_co_0_01033111175.HTML)
Una storia, che vedeva una ragnatela di traffici, al centro dei quali c’era il figlio di Milosevic, Marko e il fratello Borislav, ex ambasciatore a Mosca. E sullo sfondo una lunga scia di delitti Droga, armi, oro: l’ impero di «Slobo» Così Milosevic ha trasformato lo Stato in una cupola affaristico-mafiosa All’ineffabile Marko, appena in età da patente, oltre alle Ferrari papà Slobodan ha intestato piano piano i monopoli statali più redditizi: sigarette, alcol, benzina e, un po’ meno ufficialmente, la droga. Qui l’ eroina si spacciava a prezzi di realizzo. «Per annebbiare i riflessi dei giovani», suggerisce il settimanale Vreme. Ma non ha stupito nessuno che in marzo si siano trovati 6 quintali di brown sugar nel caveau della polizia federale. A rifornire gli spacciatori erano i poliziotti e ad approvvigionare loro ancora Marko Milosevic.
Ma di un traffico di droga antecedente all’intervento NATO, e gestito direttamente dalla famiglia del presidente, al buon Konstantin, non conviene parlarne. Così come non conviene parlare della Mafia Russa, che nata durante l’ Unione Sovietica, ha contatti in tutto il mondo, con un’influenza che non ha pari a livello globale, con un numero di affiliati che vanno dai 100.000 ai 500.000, a livello planetario, le cui attività sono principalmente traffico di droga e di armi, attività terroristiche, pornografia, frodi telematiche e traffico di organi.
Ecco dunque trasformata la NATO nella cupola dei narcotrafficanti.
Eppure, se il bravo Konstantin e coloro che tanto credito gli danno, avessero avuto l’accortezza di documentarsi un po’, si sarebbero accorti che a livello planetario il traffico di droga è dominato da una mafia, che non ha origine nei paesi della NATO, ma che in compenso si spartisce il mercato della droga con la Mafia Russa: la Mafia Cinese, ovvero le Triadi
Un’altra mafia che opera nel campo degli stupefacenti, è la Mafia Israeliana, che per quanto poco conosciuta rispetto alle altre mafie, ha il controllo del traffico di droga e della prostituzione in molti Paesi. E’ nota per la sua spietatezza, non ci pensa due volte ad uccidere chiunque tenti di ostacolarla.
Volete documentarvi per scoprire chi aiuta la mafia israeliana? Con grande sorpresa, anziché mafie provenienti dai paesi della NATO, scoprirete che il miglior alleato della mafia israeliana, è ancora una volta la mafia russa.
L’unica notizia degna di questo nome, è quella – che seppur non ci scandalizza – non viene data con dovizia di particolari (evidentemente l’opinionismo è un conto, l’informazione un altro…), né dai Don Chisciotte, né da chi vuol informare per resistere, né tantomeno dal collega dell’oste, e riguarda gli interessi americani e la cosiddetta prova provata di come dietro l’intervento in Libia ci sia lo zampino della CIA.
Il Consiglio nazionale libico, che parla per le forze ribelli che combattono il regime di Gheddafi, ha nominato un collaboratore di vecchia data della CIA per dirigere le operazioni militari. La selezione di Khalifa Hifter, un ex colonnello dell’esercito libico, è stata pubblicata dal McClatchy Newspapers e il nuovo capo militare è stato intervistato da un corrispondente di ABC News.
L’arrivo di Hifter a Bengasi è stato riportato da Al Jazeera il 14 marzo, seguito da un ritratto lusinghiero dal giornale britannico Daily Mail il 19 marzo, che ha scritto come Hifter era da poco tornato dal suo esilio in America per dare il suo apporto tattico alla rivoluzione, dimenticando però di fare riferimento ai suoi rapporti con la CIA.
L’uomo, un ex comandante del regime di Gheddafi – fino a una disastrosa avventura militare in Ciad alla fine del 1980 – ha trascorso gran parte della ultimi 20 anni negli Stati Uniti, dove ha vissuto fino a due settimane fa, quando è tornato in Libia per prendere il comando a Bengasi.
Per chi sa leggere tra le righe, il profilo di Hifter contiene un’indicazione subdola sul suo ruolo, che si riconduce direttamente alla CIA. Hifter ha effettivamente vissuto a circa cinque miglia dal quartier generale della CIA a Langley, per due decenni e il Washington Post già il 26 Mar 1996 nel descrivere una ribellione armata contro Gheddafi in Libia, utilizza una variante ortografia del suo nome. L’articolo cita testimoni della ribellione che segnalano che “il suo leader è il Col. Khalifa Haftar, comandante di un gruppo anti Gheddafi, con sede negli Stati Uniti chiamato Libica National Army “.
Un libro del 2001, Africaines manipolazioni, pubblicato da Le Monde diplomatique, riconduce il rapporto con la CIA ancora più indietro nel tempo, al 1987, riferendo che Hifter, colonnello dell’esercito di Gheddafi, è stato catturato durante combattimenti in Ciad. Avrebbe organizzato la sua milizia, che operava in Ciad fino a che Habré è stato rovesciato da un rivale supportato dai francesi, Idriss Déby, nel 1990.
Secondo questo libro, “la forza di Haftar, creata e finanziata dalla CIA, in Ciad, sarebbe sparita nel nulla con l’aiuto della CIA poco dopo che il governo è stato rovesciato da Idriss Déby.” Il libro cita anche un rapporto del Congressional Research Service del 19 DICEMBRE 1996 , dal quale risulta che il governo degli Stati Uniti forniva aiuti finanziari e militari al LNSF (Libyan National Salvation Front, il fronte anti Gheddafi) e che un numero di membri LNSF sono stati trasferiti negli Stati Uniti.
Ma di questo, una controinformazione poco attenta, non si è neppure accorta, preferendo rivolgersi alle opinioni di un russo, forse poco disinteressato…