La scorsa settimana la notizia della morte di Isabelle Caro, modella simbolo dell’anoressia, è passata quasi inosservata, probabilmente perché dargli la giusta rilevanza avrebbe provocato un innalzamento di polemiche tutte a carico del mondo della moda che, a mio parere, ritengo parzialmente responsabile di un fenomeno che ha le sue origini già negli anni ’70.
Il mio intento, in questa sede, è dare delle informazioni in maniera diversa su che cos’è questo disturbo e come “divora” le persone tanto da consumarle, risucchiarle, divorarle appunto, tanto lentamente con una lunga ed intensa agonia.
Quando ho appreso la notizia, l’immagine che mi è venuta in mente non è stata la famosa pubblicità di Toscani, ma ho pensato a quando allattavo mia figlia al seno. Che nesso hanno le due cose? Perché mi viene in mente proprio un pezzo della mia vita così intenso e carico di significato?
Ci ho pensato molto e un senso effettivamente c’è!!
Ricordo quando avvicinai mia figlia al seno e lei con voracità si attaccò immediatamente, il suo primo riflesso quello della suzione le permise di soddisfare la pulsione primaria “LA FAME”. Ebbene si! Il bambino subito dopo aver respirato a pieni polmoni, non appena nato, MANGIA. Non possiamo non mangiare, non nutrirci, se non lo facciamo moriamo. Ma il “modo” di nutrire il bambino diventa importante perché influenzerà non solo la relazione con la madre e con il padre ma anche il vissuto che il bambino avrà nei confronti del cibo. Infatti, non a caso vi è l’insinuarsi dell’anoressia in età infantile, sebbene i casi sono sporadici (fortunatamente).
Ma allora cosa spinge un individuo a rifiutare il cibo, elemento essenziale per la nostra sopravvivenza?
Ritornando al mio ricordo, sono ancora vive in me le sensazioni che provavo quando attaccavo al seno mia figlia, provavo una tempesta di emozioni che descriverle a parole diventerebbero banali, ricordo il senso di calore, di protezione, di tranquillità che ne ricavavo da quel momento esclusivamente duale. Il mondo si fermava…eravamo solo io e lei! I corpi si cercavano, si annusavano, si sfioravano, si toccavano, si univano, si davano. Eh si! I corpi!
Il nostro corpo è importante, è vivo, è funzionale e funzionante, ha bisogno delle carezze, del calore, dei baci, della tenerezza, degli abbracci, non solo del nutrimento meccanico. Affinchè il bambino si formi un’immagine del proprio corpo devo viverlo non solo vederlo.
Ecco il nesso!!
Quando vedo l’immagine di Isabelle provo una sensazione di ghiaccio sulla mia pelle, di solitudine, di sofferenza. Il corpo è straziato così come il suo cuore e la mente.
Il suo corpo non è stato nutrito né dal cibo né dalle relazioni affettive.
Nella persona anoressica vi è un’alterazione evidente dello schema corporeo, vi è uno scarto tra il corpo reale e quello mentale, il corpo non è abitato quindi non è vissuto. Cosa significa ciò? Nell’anoressia vi è la tendenza ad enfatizzare, a dare più importanza al corpo “visto” che sottostà alle leggi dell’estetica, e meno al corpo “vissuto” che determina un ripristinare il contatto con il proprio corpo, apprezzarne la sua funzionalità, rispettarlo, cogliere la sua bellezza, la sua armonia quando è in movimento, sentire il proprio respiro che ci guida verso i meandri sconosciuti del nostro corpo, della nostra mente, delle nostre emozioni. Vivere il nostro corpo significa guardare la nostra mano e non dare solo un giudizio “bella o brutta”, ma coglierne l’essenza, “è forte, vigorosa, mi permette di afferrare bene le cose, di sferrare bei pugni, di accarezzare il viso dell’amato”, etc.
La difficoltà più ardua, quindi, per la persona anoressica è proprio riuscire ad integrare il corpo visto e vissuto, essa per sentirsi viva ha bisogno di sfidare il limite che è rappresentato dal digiuno (se riesco a non mangiare sono brava). La sua preoccupazione primaria è quella relativa al prendere peso. Riuscire a sentire il proprio corpo è l’esperienza più importante ma la più ardua!
Esistono due stili anoressici:
1. Restrittivo: queste persone mangiano poco e non mettono in atto meccanismi compensatori per esempio: non fanno uso di lassativi o diuretici, non fanno attività fisica;
2. Eliminatorio: queste persone mettono in atto meccanismi compensatori per dimagrire, ovvero, fanno uso di lassativi, diuretici, fanno molta attività fisica, s’inducono il vomito, e a volte possono fare piccole abbuffate susseguite da digiuni ferrei.
Il disagio, in genere, si manifesta durante l’adolescenza e mentre prima era un disturbo prettamente femminile oggi assistiamo anche a fenomeni maschili.
Quale cura possibile?
La psicoterapia serve a sostenere le intenzionalità di contatto implicite negli schemi corporei delle persone anoressiche attraverso la creazione di una nuova storia relazionale che permette di diventare più consapevoli del proprio corpo.
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
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