Tempo fa vidi alla televisione un film, dal titolo “Parenti Serpenti” di M. Monicelli, la trama è la seguente: durante i festeggiamenti in occasione del Santo Natale, i due anziani coniugi chiedono ai figli (Lina, Milena, Alessandro e Alfredo) di prendersi cura di loro in cambio dell’eredità. I figli non sono d’accordo. Inizialmente cercano di convincere Alfredo, l’unico fratello che non è ancora sposato, a occuparsi degli anziani genitori. Dopo che Alfredo rivela ai fratelli di essere gay e di convivere da diversi anni con un uomo, si scatena una vera e propria guerra fratricida senza esclusione di colpi, per decidere chi dovrà occuparsi degli anziani genitori.
Alla fine, di tacito e comune accordo, decidono che è meglio sbarazzarsi dei genitori uccidendoli con una stufa a gas manomessa per esplodere la notte di capodanno. L’idea era stata suggerita a un bar da una notizia appresa in tivù.
È una commedia tragico-comica, ma chi non ha nutrito emozioni contrastanti di fronte ad una scelta simile? Chi si è mai sentito contento di trovarsi seduto a tavola con un parente verso il quale nutri una profonda antipatia? Chi non si è trovato nella condizioni di fare gli auguri a persone verso le quali provi il disinteresse assoluto? Queste e altre domande , all’infinito, si potrebbero formulare.
Ma, come ogni anno, è arrivato il Natale, periodo in cui si rispolverano i buoni propositi che puntualmente vengono disattesi e si è “costretti” ad essere “felici” e a stare con i propri “cari”, così come tradizione vuole!
È un momento dell’anno in cui ci si sforza di essere sereni, allegri, gioiosi, fare progetti, sperare che i propri desideri diventino realtà. Il Natale rappresenta le montagne russe delle emozioni, ovvero, in quest’arco temporale così esiguo (da Natale all’Epifania) si percepiscono e si sentono tutte le emozioni possibili: rabbia, gioia, tristezza, solitudine, felicità, vergogna, sensi di colpa. Spesso, queste emozioni non vengono espresse, o solamente in parte, lasciando quella sensazione di vuoto, di sospensione che non ci permette di godere appieno dei momenti belli o brutti.
Ma tendenzialmente come le persone riescono a sostenere lo stress proprio di tale periodo?
La mia lettura del fenomeno è riconducibile al fatto che in linea generale gli individui mettono in atto una modalità relazionale definita retroflessione, ovvero, un modo relazionale che induce la persona a riversare dentro di sé l’energia data dalle emozioni, anziché, esprimerla all’altro, in quanto ha paura del rifiuto, dell’aggressività, di affidarsi all’ambiente. Questa mancanza di fiducia non permette il contatto con l’altro e quindi l’energia che serve a raggiungerlo viene rimessa dentro il nostro organismo senza la possibilità di essere espressa. La non espressione di quello che sentiamo determina il “non detto”, e ciò produce un’esplosione di sintomi psicosomatici come per esempio: mal di testa, mal di pancia, difficoltà a dormire, insonnia e altro. Infatti, chi in questi giorni non avrebbe voluto dire a qualcuno: non voglio stare con te perché mi fai antipatia? O ancora, “non voglio pranzare da tua madre perché cucina male”, o il regalo che mi hai fatto non mi piace proprio.
Qual è la soluzione a tutto a questo? Non ci sono suggerimenti giusti o sbagliati, ma solo buon senso. A mio parere ognuno di noi dovrebbe contattare quella parte di noi che sta esprimendo, nel qui e ora della relazione, un fastidio, un disagio, e non avere paura di ascoltarla, dobbiamo sentire la melodia che il nostro corpo produce, farla fluire, scorrere, fin quando non riusciamo ad associare alla sensazione sgradevole un’emozione propria (il mal di testa-rabbia) e provare, poi, ad esprimerla all’altro, ma facendo attenzione al modo con cui la esprimiamo, e cioè, non dobbiamo essere giudicanti delle azioni altrui ma dobbiamo consegnare all’altro la nostra esperienza nel qui e ora della relazione, per esempio: non dire “mi fai venire il mal di testa” ma “quando non mi sento ascoltata mi arrabbio”.
Le liti, le discussioni, esprimono il desiderio di ristabilire un equilibrio nuovo all’interno delle nostre relazioni, danno parola a tutta l’energia che insita nella nostra intenzionalità. È forse vero che ci si accorge che un amore è finito proprio quando non si litiga più? Quando non si comunica più?
Non bisogna avere paura di esprimere le nostre emozioni, sensazioni, in altre parole, la nostra essenza, il nostro vissuto, perché solo così possiamo incontrare e contattare l’altro, anche quando litighiamo, infatti, noi litighiamo proprio quando diventa difficile raggiungere colui che ci sfugge.
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
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