Come già avvenuto in Sicilia, anche in Puglia si scopre che dietro l’affaire ‘energie rinnovabili’ si muovono gli interessi della criminalità organizzata in giacca e cravatta e partita IVA.
Il quadro che emerge da uno studio condotto dall’Europol, appare sempre più torbido a causa delle possibili infiltrazioni da parte delle cosiddette ecomafie, che hanno scoperto nel campo energetico la vacca da mungere, attingendo a finanziamenti europei, lucrando sulla compravendita di terreni e sul business dei ‘certificati verdi’.
A completare il fosco quadro delle speculazioni, l‘attività di riciclaggio delle cosche calabresi, pugliesi, siciliane e campane.
Nel corso della seconda giornata di audizioni della commissione bicamerale antimafia nella prefettura di Bari, i parlamentari, coordinati dal presidente, Giuseppe Pisanu, hanno ascoltato le relazioni del procuratore generale e del procuratore della Repubblica di Lecce, Giuseppe Vignola e Cataldo Motta, arrivando a conclusioni allarmanti, in particolare in merito all’accaparramento di terreni da parte della criminalità organizzata che ha diretto le proprie attenzioni verso il fotovoltaico e l’eolico.
Pisanu, ha dichiarato ai giornalisti che “certi criminali hanno dimostrato abilità di ricorrere agli intrecci finanziari e societari per muovere i propri capitali, e abilità con cui scelgono i settori più redditizi di investimento. Basti pensare a quello che stanno facendo nel settore della green economy, delle energie alternative. C’erano allarmi su presunte infiltrazioni mafiose in queste attività e hanno trovato ulteriori conferme“.
Le attenzioni della Procura barese, si stanno concentrando sulla gestione degli impianti, sui modi in cui vengono individuati i terreni dove realizzare gli stessi, sulle royalties pagate ai comuni.
A seguito delle prime indagini, vengono fuori anche i primi nomi, come quello di Luigi Franzinelli, 67 anni di Molina di Ledro (Trento), già coinvolto nell’inchiesta “Eolo” in Sicilia, o quello di Flavio Carboni, ricollegabile all’inchiesta sulla P3 e il business delle rinnovabili in Sardegna.
L’inchiesta e le conclusioni della commissione antimafia, avvengono proprio mentre in Puglia si è aperto un dibattito sulla realizzazione di impianti fotovoltaici che hanno causato le proteste di alcune associazioni ambientaliste – altre sono schierate in favore e uomini appartenenti ai loro vertici nazionali hanno interessi personali e diretti alla realizzazione degli impianti – in una regione che nel solo 2009 ha registrato una potenza di energia fotovoltaica pari a quella di tutta la Cina.
La Puglia infatti, si caratterizza per la presenza di 72 parchi eolici e 5.300 parchi fotovoltaici.
Un business dal quale oltre la criminalità organizzata – come nel caso di Torre Santa Susanna, dove gli interessi del clan Bruno sono stati accertati – attingono amministratori locali, imprenditori e professionisti, che gli inquirenti non esitano a definire come “zona grigia”, ma anche i colletti bianchi dell’alta politica.
Per non farsi mancare proprio nulla, alle speculazioni sui terreni, al riciclaggio, ai facili finanziamenti, si aggiunge il business dei cosiddetti “certificati verdi”.
Chi produce energie tradizionali, ha l’obbligo di garantire una quota di produzione da rinnovabili.
Un obbligo dal quale può derogare, acquistando in regime di libero mercato i “certificati verdi” da chi gestisce impianti di energie rinnovabili.
Un mercato di non poco conto se si pensa che solo lo scorso anno lo Stato ha dovuto comprare 3 miliardi di certificati in esubero.
Non ci vuole neppure molto, visto l’esubero, a comprendere che l’offerta supera la richiesta…
Un bel business per chi opera nel mondo delle energie rinnovabili, ma sulla cui filigrana si allunga l’ombra sinistra del malaffare e della criminalità organizzata.
Gian J. Morici
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