Eccellenza, non solo bella, ma anche forte e importante la sua omelia per la giornata dell’Immacolata. Essa è così sincera che spinge anche noi ad aprirci con altrettanta sincerità per chiedere a Lei e a chi dirige gli uffici della Curia di dare un esempio nuovo e forte, in cui emerga chiaramente ciò che Lei ci invita a fare: considerare che i doveri verso la città precedono i diritti. Lei ci offre tanti esempi con cui far emergere un’immagine diversa di città. Noi le chiediamo solo un gesto piccolo, ma di rottura con il passato. Un gesto di trasparenza. Sappiamo bene che la Chiesa agrigentina non è tenuta a presentare i propri conti. Non deve presentare bilanci alla Corte dei Conti. Non so se deve presentarli alla Santa Sede. E allora, Eccellenza, con l’inizio del nuovo anno pubblichi i bilanci della Chiesa agrigentina. Ci dica quali e quanti sono i suoi beni, quante le entrate, quante le uscite. Come vengono spesi i soldi dei fedeli ? Quanto ricava la Chiesa agrigentina dagli affitti ? ( so che anche l’edificio scolastico dove lavoro, il plesso distaccato del liceo scientifico Majorana, appartiene alla Chiesa di Agrigento). Quanto va ai poveri ? quanto alle missioni ? So che una squadra di valenti esperti collabora a controllare la situazione economica della Chiesa agrigentina. Vi sono anche dei laici. E mi risulta che l’hanno convinta a rescindere l’accordo con una televisione locale che negli anni è costato alle casse della Chiesa una somma notevole. Un’altra cosa poi le chiediamo. I governi e le amministrazioni serie, quando devono redigere i bilanci preventivi organizzano incontri con i sindacati, le associazioni, gli enti variamente interessati. E’ il bilancio condiviso. Dal prossimo anno non si potrebbero organizzare incontri simili con le parrocchie, le associazioni e i movimenti cattolici, gli ordini religiosi, ecc. Non potrebbe la chiesa agrigentina trovare il modo di incontrare il popolo di Dio e chiedere ai fedeli come vogliono che la chiesa spenda i soldi ? Quali devono essere le priorità ? Che magnifica realizzazione del Concilio Vaticano II sarebbe questa ! Un popolo chiamato a condividere col Vescovo una tale responsabilità. Una Chiesa che decide dal basso. Che grande segno di democrazia ! Che lezione darebbe al mondo della politica !
Mi auguro che risponderà a queste nostre richieste, Eccellenza. E Buon Natale
Elio Di bella
L’omelia dell’arcivescovo Franco Montenegro 8 dicembre 2010.
Vivere la città e darle un’anima, immettervi cioè bellezza, vuol dire puntare sull’attuazione di veri rapporti interpersonali, su una convivenza sociale umana e umanizzante, nella quale ogni uomo veda la sua dignità riconosciuta, rispettata e difesa, superando le diversità etniche, sociali, economiche, culturali, religiose.
Agrigento, oggi, nonostante non sia una grande metropoli, è vissuta da molti come luogo di insicurezza ed è considerata in situazione di debolezza. La cattura di capi mafiosi, l’essere la provincia della nazione con il maggiore tasso di mafiosità, la cultura mafiosa che si insinua subdolamente e insistentemente, sono tra lepiù gravi cause che provocano tali sentimenti. Ma è proprio questo senso di insicurezza a richiedere persone che insieme costruiscano la speranza, che insieme guardino avanti, che insieme pensino al futuro, che insieme si scrollino di dosso quella rassegnazione che paralizza idee ed azioni, che insieme guardino in faccia iproblemi e costruiscano una vita più sicura, più umana, dove la solidarietà diventa il motorino di spinta di ogni attività.
Ho ripetuto di proposito la parola ‘insieme’, perché penso che la responsabilità di una città ‘diversa’ non cade solo sulle spalle di chi, in vario modo, ha il compito di amministrarla. È vero che gli amministratori, in qualunque ambito operino, hanno scelto di essere in prima fila e per questo è legittimo da parte di tutti aspettarsi sempre da loro che abbiano larghe vedute, che progettino ad ampio respiro, che per primi pensino al futuro di questo territorio, al bene comune e agli interessi della comunità, che non solo inizino ma anche concludano i percorsi operativi aperti. So che tante sono le difficoltà nelle quali gli amministratori operano.
Tuttavia l’impressione, posso sbagliarmi, è che le conclusioni di molti percorsi decisionali tardano ad arrivare o non arrivano affatto (penso al centro storico e alla sua Cattedrale, alla comunicazione tra quartieri, alla difficoltà di molti di vivere con dignità questa loro città: disabili, giovani, anziani, bambini …).
Una politica col respiro corto, o litigiosa, o indifferente che spesso elude i problemi, che insomma non diventa concretezza, (come lo spettacolo che si sta offrendo a livello regionale e nazionale) impedisce alla città, a qualunque città, di ritrovare il suo volto.
Questo però non toglie, anzi esige, cittadini attivi che non solo giudicano e delegano ma che si mettono in gioco perché la città abbia un volto bello. Non basta abitare la città né sentirsi depositari di diritti, bisogna che tutti ci sentiamo custodi di essa, sapendo che i doveri verso la comunità precedono gli stessi diritti. La città dovrebbe essere il luogo dove si impara a vivere. Diceva La Pira che dobbiamo essere capaci di “amare la città come parte della propria personalità”. La città è di tutti, purché questo non significhi che è di nessuno. Insieme perciò rianimiamo la nostra città ritrovando e riproponendo lo spirito glorioso delle origini, di cui tanto ci vantiamo: riscopriamola come luogo del bene comune, organizziamola come spazio dove è possibile vivere l’amicizia, la partecipazione, il pluralismo, la pace, la giustizia, l’accoglienza, soprattutto dei più deboli. Ai turisti, che vorremmo numerosi, dobbiamo offrire l’immagine di una bella città: questo significa che tutti dobbiamo osservare le regole; penso alle soste, alla viabilità, al rispetto dell’ ambiente,al disordine, alla mancanza di pulizia delle strade. Non sorridete, se scendo in questi particolari che sembrano insignificanti. So bene che non è un pezzo di carta in più o in meno a terra o un parcheggio secondo le norme a cambiare la realtà. Ma il farlo significa che si sente rispetto per gli altri, rispetto significa attenzione, attenzione vuole dire accoglienza, l’accoglienza diventa amicizia. Un pezzo di carta in meno, una macchina non fermata in terza fila, significano accorgersi degli altri, sentirsi parte viva di una grande squadra, non composta da estranei, ma da gente che, come noi, vuole vivere meglio. È anche così che può venire fuori un’immagine diversa di città, la cui bellezza non è legata solo all’antichità e alle sue pietre, ma anche e soprattutto alle relazioni tra i cittadini e tra loro e chi viene a visitarla. Finiamola di sentirci precari della città o nella città, non è così che si riesce ad amarla. La città cambia se cambia la vita nelle strade, nei cortili, nei rioni,nei luoghi da noi abitati. So di ripetermi, ma per noi credenti, la fede si incarna in un territorio e non solo nel chiuso delle chiese. Penso particolarmente alle varie associazioni, ai gruppi di volontariato, ecclesiali, e soprattutto alle comunità parrocchiali. Ritengo che queste realtà, più di altre, devono sentirsi cariche di maggiore fiducia e speranza per creare una cultura nuova della città. La città non è la somma di tante isole, ma se, istituzioni e cittadini, associazioni e comunità, ponendo come base l’umiltà, si relazionano tra loro, possono giocare d’ attacco sull’immaginazione e sul rinnovamento, in un impegno comune e duraturo. La cultura, il volontariato o la fede non sono ricerca ed occupazione di protetti orticelli dove coltivare piccoli interessi di parte, o luoghi dove impegnare in qualche modo il tempo libero, o dove rifugiarsi per chiudere gli occhi e cercare incontri e contatti che immunizzino dal quotidiano. Le parrocchie, soprattutto, non possono chiudersi negli interessi della loro sopravvivenza, o nel mantenimento di forme cultuali che rischiano di procurare asfissia anziché vitalità. Devono essere luoghi di trasmissione di idee, di vita, di progetti. Gesù si ritirava in preghiera, ma instancabilmente percorreva le strade degli uomini. Gli incontri più interessanti li ha fatti lungo la strada. La chiusura mina lentamente e inesorabilmente il processo di solidarietà, che invece è il supporto necessario per il diffondersi della buona convivenza. Tutti dobbiamo sentire la passione per il bene comune. E, grazie a Dio, in questa città, molti sono i cristiani e gli uomini di buona volontà. Occorre però mettersi insieme.
Concludo. Abbiamo parlato di Maria, di bellezza, di cielo e ancora una volta ci siamo ritrovati a parlare di noi, delle no¬stre cose, della nostra città, che, per dono di Dio, è luogo riconosciuto di bellezza. Non sprechiamola. Lo ripeto, cielo e terra non sono distanti né si oppongono, ma si completano. Maria, a “bedda matri”, ci aiuti a riempire di bellezza la nostra vita e la nostra città.