Accade talvolta, con una frequenza crescente, di leggere qualcosa sui nostri quotidiani che si direbbe sia stato scritto un paio di secoli fa. E poiché è invece incontestabile che riguarda fatti, avvenimenti, provvedimenti del presente, la triste constatazione di vivere una fase di retromarcia del cammino dello spirito umano nella storia della sua evoluzione ci attanaglia e ci sgomenta.
Leggo su “Il Giornale”, che riporta la notizia data da “Repubblica” che l’Ag. Com., ente che dovrebbe garantire la pubblica informazione, ha messo a punto la fattispecie di una sorta di “reato di odio” che tra non molto potrà essere addebitato a chi gestisce informazione e comunicazione pubblica con modalità, particolari, devianze etc. etc. tali da instillare l’odio nei confronti di categorie. Ci si preoccupa, naturalmente, dei migranti.
E, poi, delle donne oggetto di violenza.
E questo, se è possibile, è una stravaganza ancora maggiore. Perché è fin troppo evidente che chi si è dedicato a questo benemerito compito si preoccupi, semmai di un troppo poco diffuso e troppo poco violento odio contro i violentatori.
Dove sono andati a tirar fuori che le donne oggetto di violenza siano “odiate” dal pubblico stimolato da una stampa da mettere sotto sorveglianza speciale?
Che ci si preoccupi di spegnere reazioni e atteggiamenti di odio nelle contrapposizioni politiche, sociali, culturali è un’ottima cosa.
Anche perché c’è chi autorevolmente predica il “dovere di odiare”. Nella mia infanzia c’erano preti, maestri etc. che ci imponevano l’“atto di costrizione”, preghiera in cui il penitente dichiarava “mi pento dei miei peccati e li odio e detesto…”. Forse ci si è accorti che oramai la gente si pente solo dei peccati altrui così che odiarli è un po’ eccessivo.
Ma, a parte ciò, istituire quello che i giornali definiscono un “reato di odio” è cosa che suscita perplessità ed allarme.
Da più di due secoli il cammino del pensiero umano è andato a stabilire limiti e sbarramenti tra valutazioni morali e valutazioni giuridiche, specie penali.
E la Costituzione ed i principi generali del diritto vietano di considerare reato e, di conseguenza, di considerare chi compia ciò delinquente da punire, anzichè fatti specifici, il pensiero, le opinioni, gli atteggiamenti e convincimenti della ragione e dello spirito.
Punire l’odio (si badi bene: l’odio, non i fatti espressione e conseguenza dell’odio) è un’assurdità. Nessuno, è sperabile, vorrà colpire giornalisti, presentatori televisivi, spettatori che concepiscono odio per l’Olocausto degli Ebrei (E nemmeno quelli che ne manifesta, troppo poco) E nell’ampio spazio tra le cose e le persone “odiate” da una parte e dall’altra vi è un’infinità di gradi di atteggiamenti di demonizzazione o di tolleranza tali che questo grottesco reato di odio appare subito un’ipocrita copertura, della discrezionalità con cui si vogliono imporre o impedire al pubblico idee, consensi e dissensi.
Questa Ag. Com. (che comincio a sospettare sia una versione moderna, ipocrita, telematica, della Congregazione del Sant’Uffizio) pare abbia messo a punto, per dare una parvenza di “concretezza” al nuovo “quasi reato”, un decalogo. Anche la Santa Inquisizione aveva i suoi manuali (Maleus Malificarum) con tanto di descrizione degli errori, dei peccati, delle eresie (da “odiare”) e di strumenti (corde, tenaglie infuocate, etc. etc.) per combatterli.
Non credo di essere molto portato all’odio. Ma credo dover, in extremis, rivedere un po’ il mio carattere.
Queste stronzate bisogna proprio odiarle. Piacciano o no all’Ag. Com. E convincere gli altri ad odiarle. Ma senza la minaccia di incriminare chi non odia.
Mauro Mellini
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