INTERVISTA DI LUISA PACE
L’8 novembre scorso il Generale Carmelo Covato, passato al TG2 sulla questione dei militari morti o malati in seguito a contatto con uranio impoverito, aveva dichiarato “negli anni ’90 i nostri militari nell’ex Jugoslavia sapevano dei pericoli legati ai bombardamenti USA all’uranio impoverito”.
Il 16 novembre, la Commissione Parlamentare di Inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio ha ascoltato il Generale Covato come persona a conoscenza dei fatti e a seguito delle dichiarazioni del Generale, nonché delle audizioni e dei dati che vengono a contraddirle, la Commissione d’Inchiesta ha inviato la documentazione alla Procura ed è scattata la denuncia.
Colonnello Calcagni, quando inizia la sua carriera militare?
Terminati gli studi con la maturità classica, nel gennaio 1988 intraprendo la carriera ufficiale nell’Esercito, frequentando il 130° Corso Allievi Ufficiali di Complemento presso la Scuola di Fanteria e Cavalleria di Cesano di Roma.
Ufficiale di 1° nomina alla Scuola di Paracadutismo di Pisa. Nel 1989 partecipo al concorso per pilota osservatore di elicotteri e, vincitore, frequento il 27° Corso Ufficiali piloti militari di elicottero per circa 6 mesi presso la scuola di volo dell’Aeronautica Militare a Frosinone, completando l’iter presso il Centro dell’Aviazione dell’Esercito a Viterbo, dove proseguo gli studi per un altro anno e mezzo conseguendo tutte le abilitazioni e specializzazioni, classificandomi al 1° posto alla fine del lungo e selettivo corso di pilotaggio.
Grazie al primo posto in graduatoria viene accolta la mia “desiderata” e vengo trasferito presso il 20° Gruppo Squadroni AV.ES. “ANDROMEDA” di Pontecagnano (SA).
Subito dopo la strage di Falcone vengo impiegato in Sicilia dove resto per circa due anni presso l’aeroporto “Bocca di Falco” di Palermo, per espletare l’attività di ordine pubblico “Vespri Siciliani”, svolgendo circa trecento ore di volo in missioni di scorta e trasporto magistrati, in ricognizioni e pattugliamenti.
Successivamente faccio parte del personale impiegato nell’operazione “Partenope” in Campania e nell’operazione “Riace” in Aspromonte, distinguendomi sempre per la disponibilità e professionalità, come testimoniano gli elogi che mi sono stati conferiti dai Comandanti che mi hanno avuto alle proprie dipendenze.
Rivestendo questo incarico, inoltre, prendo parte a diverse esercitazioni NATO, attività di pronto intervento h/24, trasporto di organi, interventi in corso di calamità naturali, tra le quali l’alluvione di Sarno.
Dopo aver partecipato a missioni internazionali, in Turchia ed in Albania, nel 1996, all’epoca Tenente, vengo inviato nella missione internazionale di pace in Bosnia-Erzegovina, con base a Sarajevo Nord, nell’ex ospedale di Zedra, ma che di ospedale aveva solo il nome perché completamente distrutto, senza acqua corrente e senza infissi: né porte, né finestre.
Quindi, con il grado di Tenente, viene inviato in Bosnia Erzegovina. Dove ha operato e quali erano i suoi compiti nel corso di quella missione?
Nel 1996 vengo inviato in missione internazionale di pace in Bosnia-Erzegovina, di stanza a Sarajevo, in qualità di pilota osservatore e soccorritore addetto al servizio MEDEVAC (evacuazioni medico-sanitarie), come unico pilota elicotterista del primo contingente italiano, in un Paese che stava uscendo da una devastante guerra civile e dove da poco erano terminati i bombardamenti effettuati dai nostri “alleati” Americani che partivano dalle basi italiane.
LA GARA PER IL PRIMO DELLA CLASSE
“Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L’Italia si trovava veramente in prima linea.” (On. Massimo D’Alema)
In quei luoghi faccio l’incontro con un nemico nuovo, invisibile, senza colore, senza faccia, senza divisa, un nemico subdolo ed efficiente: l’uranio impoverito.
E’ proprio in occasione dell’adempimento di tale servizio, infatti, che giungo a stretto contatto con le polveri sottili di metalli pesanti derivanti dall’esplosione di munizioni con uranio impoverito, facilmente inalabili proprio per le ridottissime dimensioni e per questo denominate “nanoparticelle” (nelle biopsie dei miei organi hanno trovato: piombo, acciaio, alluminio, berillio, antimonio, arsenico, bismuto, nickel, tallio, tungsteno, torio, platino, tellurio, gadolinio, cesio, mercurio), e con altre sostanze tossiche riscontrate “anche” nel mio DNA.
Cosa ha pensato quando ha sentito le parole del Generale Covato con le quali smentiva una verità che ormai è sotto gli occhi di tutti e che lei, purtroppo, ha vissuto e continua a vivere sulla sua pelle?
Quelle parole hanno suscitato in me una profonda rabbia, mista ad un sentimento di amarezza e rammarico, proprio perché provengono da un uomo dello Stato con le “stellette” che rappresenta quelle Istituzioni dalle quali tutti noi dovremmo poterci sentire tutelati.
E invece, per l’ennesima volta, ne siamo stati traditi ed abbandonati.
Nelle sue parole di diniego della verità si nasconde la morte di tanti colleghi che hanno sacrificato la propria vita nell’adempimento del dovere e di quanti come me combattono ogni giorno contro una malattia inesorabilmente mortale.
Sapevate dell’uso di munizionamento a uranio impoverito in quelle aree e dei rischi che avreste corso ad operare in quei territori?
Le autorità italiane erano state informate e sapevano, ma l’Italia adottò solo nel 1999 le prime norme che prevedono l’utilizzo di tute, maschere e occhiali per proteggersi dalle polveri sottili derivanti dall’uranio impoverito che, inoltre, è tra i materiali che emanano basse radiazioni. Nel ’96, anche le forze militari italiane erano impegnate in Bosnia nella missione di pace a guida Nato (su mandato dell’Onu), ma nessuno pensò di fornire a noi soldati l’attrezzatura necessaria per proteggerci da contaminazioni “certamente pericolose”.
Gli Americani, nostri alleati, partendo proprio dalle basi italiane avevano bombardato quelle zone con proiettili all’uranio impoverito, contaminando i luoghi in cui noi andavamo ad operare senza timore, ma senza sapere, facendo soltanto attenzione ai rischi del mestiere previsti.
Non sono stati forniti, MAI, in dotazione i mezzi per proteggerci dalle polveri sottili e dai metalli pesanti generati dall’esplosione delle bombe all’uranio impoverito. Nessuno ci aveva informato, MAI, dell’utilizzo di questi munizionamenti, né dei rischi cui andavamo incontro nell’operare in quelle zone, né tantomeno ci era stata fornita alcuna protezione per evitare la contaminazione, a differenza delle truppe statunitensi, informate e munite di presidi di protezione.
Dal 1977 vi sono documenti ufficiali che avvertono sulla pericolosità dell’uranio impoverito e sulla possibilità, per chi ne viene a contatto, di sviluppare forme tumorali o, in caso di procreazione, di dare alla luce figli deformi.
Per tale motivo la Nato, dal 1984, emana precise norme di protezione per chi opera nelle zone a rischio (ovvero nelle zone dove noi mandiamo i nostri militari in missione di pace).
L’Italia, però, pur a conoscenza delle norme di protezione (proprio perché facciamo parte della NATO), ha inviato i nostri soldati in missione senza alcuna informazione, né protezione.
Ad oggi, oltre 360 decessi e più di 5000 dei nostri soldati, tornati dalle zone di guerra dove sono state usate armi con uranio impoverito, sono ammalati (con buona pace dell’art. 32 della Costituzione che recita: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti).
Secondo quanto affermato dal Generale Covato, i nostri militari erano consapevoli dei rischi ed erano anche equipaggiati in maniera adeguata. Vuol dirci che tipo di protezioni avevate in dotazione e cosa sarebbe stato invece necessario?
I rischi delle esposizioni da uranio impoverito dovevano essere noti alle autorità italiane da tempo: nel 1999 l’US Army divulgò un’informativa rivolta ai vertici militari di tutti i Paesi presenti in missione nella ex Yugoslavia sulla pericolosità delle nanoparticelle di uranio impoverito. Il documento illustrava come difendersi dai rischi dovuti al contatto con l’uranio, ad esempio lavandosi le mani e coprendo la pelle esposta. Gli Americani erano tenuti ad indossare tute completamente impermeabili e maschere; ci sarebbero bastate quelle protezioni per evitare la contaminazione, se solo qualcuno ci avesse informato.
Vediamo cosa dicono gli studi scientifici e fate attenzione alle date:
I. Documento dell’aeronautica americana, ossia il rapporto sulle sperimentazioni nel poligono di Eglin in Florida, fatte tra l’ottobre 1977 e l’ottobre 1978, che mette in guardia sui pericoli dell’uranio impoverito.
II. La Royal Society (una delle più prestigiose istituzioni scientifiche inglesi) si è espressa numerose volte sulla pericolosità dell’uranio e ha stabilito tre diversi livelli di rischio:
esposizione alta per militari presenti all’interno di veicoli colpiti da proiettili al DU;
esposizione mediana: militari che hanno operato all’interno o in prossimità di veicoli già colpiti;
esposizione bassa: militari che hanno operato sottovento rispetto all’impiego di proiettili DU oppure che possono aver soggiornato in siti contaminati a livello di suolo o risospensione in aria;
III. Resoconto dello Science Applications International Corporation (SAIC), inserito come appendice (D) in Kinetic Energy Penetrator Long Term Strategy Study, pubblicato a cura dell’AMMCOM nel luglio 1990: “Gli ossidi insolubili che sono stati inalati possono essere trattenuti a lungo nei polmoni rischiando di generare alterazioni tumorali dovute alle radiazioni. La polvere di uranio impoverito ingerita rappresenta un rischio radioattivo e tossicologico”.
IV. Documento dell’Army Environmental Policy Institute (AEPI), Health and Environmental Consequences of Depleted Uranium Use in the U.S. Army, pubblicato nel 1995: “Gli effetti a breve termine dell’assorbimento di dosi elevate possono condurre al decesso, mentre dosi meno massicce, a lungo termine, possono produrre alterazioni neoplastiche (tumori n.d.a.)”.
Proprio a causa di tali relazioni scientifiche, negli anni, sono state emanate, a livello nazionale ed internazionale, precise norme di protezione per chi operava nelle zone a rischio:
“Le Norme NATO nel 1984”
Le Norme USA per la “Restore Hope” in Somalia nel 1993
Le misure NATO per basse radiazioni nel 1996
Le disposizioni della KFOR del 22 novembre 1999
Le disposizioni dello Stato Maggiore della Difesa del 6 dicembre 1999
Le disposizioni della Folgore dell’8 maggio 2000
Come si può notare l’Italia emana precise disposizioni di sicurezza solo a partire dalla fine del 1999. Nello specifico:
V. Disposizioni di sicurezza per le forze della KFOR operanti nei Balcani in data 22 novembre 1999:
– Evitate ogni mezzo che sospettate essere colpito da munizionamento UI o missili da crociera Tomahawk;
– Non raccogliere o collezionare munizionamento UI trovato sul terreno, informate immediatamente il vostro comando circa le aree che voi ritenete contaminate da munizionamento UI;
– La contaminazione con la polvere UI inquina cibo ed acqua. Non mangiate assolutamente cibo non controllato;
– Particelle che fossero state inalate possono causare danni ai tessuti interni nel lungo termine;
– Se pensate di essere esposti alla polvere UI fate immediatamente un test delle urine nelle successive 24 h per analizzare la presenza U 238, U 235, U 234 e creatina;
– Il personale risultato positivo al test dovrebbe assumere agenti specifici per rimuovere il più possibile le particelle contaminate presenti nel corpo;
– I veicoli ed i materiali dell’Esercito Serbo in Kosovo possono costituire una minaccia alla salute dei militari e dei civili che dovessero venire a contatto con gli stessi;
– I veicoli e gli equipaggiamenti trovati distrutti, danneggiati o abbandonanti devono essere ispezionati e maneggiati solamente da personale qualificato;
– I pericoli per la salute possono derivare dall’Uranio impoverito in conseguenza dei danni dovuti alla campagna di bombardamento NATO relativamente a mezzi colpiti direttamente o indirettamente;
– L’UI emette radiazioni Alfa a bassi livelli di radiazioni Beta e Gamma. Le normali uniformi da combattimento sono sufficienti per prevenire l’assorbimento attraverso la cute. Tuttavia la reale minaccia è rappresentata dalla possibile inalazione di UI;
– L’UI provoca un avvelenamento da metallo pesante ed il personale deve assolutamente evitare i mezzi sospettati di essere stati colpiti da UI;
– La minima distanza di sicurezza non deve essere inferiore ai 50 mt. Se ci si deve avvicinare ulteriormente è necessario indossare maschera e guanti per evitare di assorbire la polvere radioattiva;
– L’UI è un metallo pesante chimicamente tossico e radioattivo con un peso specifico quasi doppio rispetto al piombo….
– L’UI emette radiazioni Alfa, Beta e Gamma con un tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi di anni. La sua pericolosità radioattiva è dovuta alle radiazioni alfa;
– Inalazioni di polvere insolubile UI sono associate nel tempo con effetti negativi sulla salute quali il tumore e disfunzioni nei neonati. Questi potrebbero non verificarsi fino a qualche anno dopo l’esposizione;
VI. Disposizioni emanate l’8 maggio 2000 alla Brigata Folgore Nembo Col. Moschin:
“La pericolosità dell’uranio si esplica sia per via chimica, che rappresenta la forma più alta di rischio nel breve termine, sia per via radiologica che può causare seri problemi nel lungo periodo. La maggiore pericolosità per il tipo di radiazione emessa si sviluppa nei casi di irraggiamento interno (contaminazione interna)”.
VII. Nelle precauzioni per l’impiego delle armi all’uranio impoverito, impartite dal Ministero dell’Ambiente in data 26.05.2000, si legge:
– verificare, attraverso misure e controlli, l’effettivo uso di proiettili al DU;
– stabilire l’estensione dell’area contaminata e se necessario delimitarla;
– raccogliere i pezzi di proiettile e confezionarli per il trasporto secondo le modalità in annesso 1 (imballaggio, trasporto e custodia di proiettili al DU);
– raccogliere campioni di matrici ambientali per i controlli di laboratorio.
VIII. Nella stessa 3ª relazione della Commissione Mandelli si afferma a pag. 21 che “esiste un eccesso, statisticamente significativo, di casi di Linfoma di Hodgkin. L’eccesso di LH nel gruppo di militari impegnati in Bosnia e/o Kosovo emerge anche dal confronto con i Carabinieri mai impegnati in missioni all’estero”.
Quando scoprì di essere stato vittima dell’esposizione a sostanze tossiche?
A distanza di pochi anni dalla missione in Bosnia, nel 2002, iniziano a manifestarsi i primi sintomi, quelli descritti nei verbali redatti a cura delle Commissioni Mediche degli Ospedali Militari da cui vengo valutato e monitorato. Si riscontrano inizialmente problematiche a livello epatico e disfunzione tiroidea, che a seguito di ulteriori accertamenti – biopsia epatica e midollare – vengono attribuiti alla presenza di metalli pesanti nei miei organi oltre che altissimi livelli di metalli pesanti nel sangue. Da allora ha inizio quel calvario di sofferenze che non è mai più cessato: i problemi di salute si aggravano progressivamente e man mano le diagnosi assumono contorni sempre meno favorevoli.
Nel 2005 viene riconosciuta la causa di servizio per l’epatopatia e l’ipotiroidismo, due anni dopo, a causa dell’aggravarsi della condizione di salute, viene accertato dalle Commissioni Mediche Militari il nesso causale tra le mie patologie e l’esposizione all’uranio impoverito.
Nel decreto di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, emesso dal Ministero della Difesa, che mi riconosce un’invalidità permanente del 100%, concedendomi il Distintivo d’Onore di Ferito in Servizio ed il Distintivo d’Onore di Mutilato in Servizio, vengono riportate le diagnosi di Sindrome Mielodisplastica Secondaria, mancato funzionamento di ipotalamo ed ipofisi, insufficienza renale cronica, riscontro di corpi estranei metallici non asportabili ed encefalopatia tossica da metalli pesanti.
Le mie condizioni di salute sono gravi, tanto che sono da anni in attesa di trapianto allogenico di midollo osseo. Le nanoparticelle dei metalli pesanti generati dall’uranio impoverito, che hanno intossicato il mio corpo, hanno intaccato e continuano a devastare i miei organi. Negli anni la compromissione è divenuta multi-organo, coinvolgendo la quasi totalità dei miei tessuti ed apparati.
Quotidianamente necessito di alimentazione priva di glutine, zucchero, proteine di origine animale, latte e suoi derivati; ogni giorno devo assumere oltre 300 compresse e praticare 7 iniezioni di immunoterapia per contrastare le gravi reazioni alle 175 sostanze a cui sono diventato sensibile dopo aver sviluppato la MCS, SENSIBILITA’ CHIMICA MULTLIPA.
Sono costretto ad effettuare ossigenoterapia per grave ipossia tissutale 18 ore al giorno, praticare ossigenoterapia in camera iperbarica, sauna ad infrarossi per almeno 30 minuti al giorno, nonché mantenere l’ossigenazione notturna con il supporto del ventilatore polmonare. Ho, inoltre, la prescrizione di praticare quotidiana terapia infusionale e di sottopormi periodicamente a plasmaferesi, che è come una dialisi, e trasfusioni ematiche se necessario. A ciò si aggiungano la difficile gestione delle frequentissime infezioni batteriche in ragione di una severa condizione di immunodepressione, le setticemie batteriche da infezione di uno dei due cateteri venosi centrali che mi consentono di praticare le quotidiane terapie in fleboclisi e la possibilità non rara di necessità di interventi clinici da eseguire in urgenza.
La sua infermità è mai stata messa in relazione all’esposizione a uranio impoverito?
La mia infermità, invalidità permanente al 100%, è stata ritenuta dipendente da causa e fatti di servizio nell’ottobre 2007. Si tratta di invalidità permanente riportata “per le particolari condizioni ambientali e operative di missioni fuori area”, per cui sono stato riformato ottenendo il riconoscimento anche dello status di Vittima del Dovere.
Inoltre sul verbale della CMO dell’Ospedale Militare di Bari, in data 11 marzo 2005, viene certificato: “Nel ’96 il paziente ha operato in regioni belliche e verosimilmente esposto a uranio impoverito”,
Quindi le è stato riconosciuto un risarcimento a causa di una patologia dipendente da causa di servizio?
Da 15 anni porto avanti la mia battaglia poiché non è ancora stata definita la pratica di risarcimento, sebbene io sia uno dei primi militari cui è stato riconosciuto il nesso causale fra la partecipazione alla missione in Bosnia con la conseguente esposizione ai frammenti dei proiettili e delle bombe costruite con l’uranio impoverito e le infermità permanenti riportate. Per questo motivo ho chiesto nel 2005, subito dopo aver ricevuto il decreto attestante che l’infermità permanente era dipendente da causa e fatti di servizio, un risarcimento in via bonaria, evitando di avventurarmi in un lungo procedimento giudiziario contro il Ministero della Difesa. Ma la mia pratica resta senza risposta per 12 lunghi anni, fino a quando nel giugno 2017, ricevo una lettera dal Ministero della Difesa nella quale, senza motivazioni scritte, mi scrivono che la mia richiesta non può essere accolta!
Non ho neanche ricevuto, mai, dallo Stato Italiano alcun tipo di riconoscimento morale per la partecipazione a quella missione all’estero, proprio quella missione che ha distrutto la mia vita e quella dei miei familiari, sebbene durante la missione nei Balcani, in diverse occasioni, recupero feriti e salme; proprio per questa particolare e rischiosa attività svolta con impegno e coraggio, mi vengono conferiti due ELOGI ed un ENCOMIO, tributati per l’alto grado di professionalità con cui ho espletato il mio dovere di soldato ed il mio incarico.
Tali attestazioni risultano essere determinanti anche al fine del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e dimostrano che sarei in possesso di tutti i requisiti necessari per la concessione di una “qualsiasi” Medaglia, purtroppo mai conferitami, nonostante proprio nel corso di quella missione io abbia dato lustro all’Esercito Italiano in contesto Internazionale e proprio a causa del particolare servizio prestato.
Risulta, infatti, nel mio Stato di Servizio: “CAMPAGNE DI GUERRA – DECORAZIONI – ONORIFICENZE – RICOMPENSE”:
“Pilota soccorritore con raro senso della responsabilità e spiccato spirito di sacrificio, recuperava feriti con eccezionale professionalità ed in assoluta sicurezza anche nelle situazioni di estremo disagio e pericolo non lesinando energie ed impegno. Chiaro esempio di soldato che ha dato lustro all’Esercito Italiano riscuotendo unanime ammirazione anche dalle Forze Armate Internazionali impegnante in Bosnia-Herzegovina (Sarajevo, 02 luglio 1996) “.
Sono certo che sarebbe stato tutto più semplice se fossi morto per l’esplosione di una bomba, piuttosto che subire la quotidiana, lenta e inesorabile agonia a cui sono sottoposto per gli effetti delle tantissime bombe scaricate dalle Forze NATO nella zona dei Balcani.
Lei è stato riammesso in servizio…
Proprio perché riformato con la prima categoria per invalidità permanente dipendente da causa e fatti di servizio sono stato iscritto d’ufficio nel Ruolo d’Onore (lo prevede la legge). Questo mi ha permesso di produrre istanza di reimpiego nel Ruolo d’Onore, per mia espressa volontà di rendermi ancora utile alla Forza Armata e a quanti abbiano bisogno della mia consulenza gratuita riguardo alle pratiche di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio. Così sono stato reimpiegato presso la Scuola di Cavalleria di Lecce dal 1 gennaio 2010 e faccio parte del GSPD, il Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa, è stato costituito il 22 dicembre 2014, grazie ad un protocollo d’intesa tra il Ministero della Difesa ed il Comitato Paralimpico, perché anche grazie allo sport si favorisce il recupero psico-fisico dei militari che, operando in Patria o al di fuori dei confini nazionali, hanno contratto lesioni o malattie invalidanti e permanenti nell’adempimento del proprio dovere. Lo sport costituisce una preziosa opportunità per continuare a condurre uno stile di vita attivo e per favorire l’integrazione e lo spirito di corpo. Questo progetto si prefigge di offrire un contributo determinante verso una nuova prospettiva di vita e una più compiuta riabilitazione sociale.
Vuole descriverci le sue giornate?
E’ per mezzo delle cure e di tutte le terapie cui quotidianamente mi sottopongo che riesco a “sopravvivere”, ma soltanto grazie allo sport riesco a “vivere” veramente, a sentirmi ancora e, nonostante tutto e tutti, VIVO.
L’allenamento per me è come una terapia, una delle più efficaci sia per il mio corpo sia per la mente che è senza dubbio la mia parte più forte. Mi fa sentire meglio, si attenuano i dolori, causati da una forma di sclerosi multipla e Parkinson, che sono forti e costantemente presenti in tutto il corpo; è una malattia neurologica autoimmune, degenerativa, cronica e irreversibile che proprio l’attività sportiva riesce a contrastare e rallentare. Basta pensare che se resto a riposo per più di due giorni, tutta la muscolatura si irrigidisce e non riesco neanche a camminare, per questo mi alleno ogni giorno, anche se sto male, anche se ho febbre alta, cosa molto ricorrente a causa delle frequenti setticemie causate dall’infezione del catetere venoso centrale permanente che mi è stato impiantato per poter effettuare le terapie quotidiane in vena.
E’ dura, soprattutto iniziare. Spesso mi sento talmente stanco e sto talmente male che l’unica cosa che mi verrebbe “facile” fare sarebbe quella di buttarmi sul divano o andare a letto, ed è proprio in quel momento che subentra la forza mentale e l’esperienza che mi permettono di affrontare e sopportare qualsiasi sofferenza, cosciente e sicuro che quella è la salvezza!
Se avesse modo di parlare de visu a superiori come il Generale Covato o ad altri che come lui continuano a smentire i fatti, cosa gli direbbe?
Gli direi che le vittime dell’uranio sono rientrate con le proprie gambe dalle aree di conflitto per poi soffrire assieme ai loro familiari, spesso dimenticati, in un silenzio assordante.
A noi nessuno aveva mai detto che durante le missioni si potevamo contrarre malattie mortali per un nemico a noi sconosciuto ed invisibile.
Lo Stato però era a conoscenza del pericolo reale derivante da uranio impoverito da diversi anni prima, quando gli Americani ne testarono il pericolo letale e di questo informarono i vertici militari e politici italiani. I responsabili probabilmente non verranno mai puniti, i soldati invece continuano a morire, per aver adempito al proprio dovere.
Ai nostri soldati, che ancora oggi partecipano a missioni all’estero, cosa direbbe? Colonnello, dopo tutto quello che ha vissuto, pensa ancora che valga la pena di combattere per difendere il nostro Paese?
In questi anni ho avuto una certa visibilità, ho promesso che avrei continuato a lottare anche
per tutti quei miei commilitoni che sono morti nel silenzio e nella solitudine.
Per quelli che stanno soffrendo e combattono in una casa da soli, quasi sempre senza alcun aiuto.
Mi hanno chiamato “eroe”: ma lo hanno fatto le persone comuni, coloro che non mi “devono” nulla!
Mi hanno conferito il “premio internazionale Don Pino Puglisi” con la motivazione: “Per il donarsi agli altri senza mai nulla chiedere”.
No, non cambierei nulla del mio passato, il mio compito è questo ora: continuare a raccontare quanto sia importante amare il proprio Paese ed onorarlo in ogni situazione, portare un messaggio di speranza a tutte le persone in difficoltà, sostenere tutti quei colleghi che hanno rinunciato a lottare.
Nonostante tutto, sento che è mio dovere servire la Patria essendo d’esempio, continuando ad indossare con dignità la divisa e regalando, oggi attraverso lo sport, una nuova possibilità a tutti coloro che si sentono diversi e soli.
Nonostante io faccia una vita con l’ossigeno per almeno 18 ore al giorno, una valanga di medicinali, ventilazione polmonare tutte le notti e ore e ore di terapie. Tutti i giorni. Per tutta la vita, mi alzo ogni mattina, spesso dopo notti insonni per i grandi dolori, con un unico scopo: essere di esempio e trovare le energie per salire sulla mia bici, una bici speciale, non perché è un triciclo, ma perché è la mia macchina di salvezza.
Mi sottopongo a tutto con un sorriso perché questa è la mia VITA e accetto tutto purché si consolidi quel filo, purché gli “intrugli” che mi offrono, che siano in pillole, flebo o dolorosi interventi, mi consentano “ancora” di salire sul mio destriero: il mio triciclo!
Concentro cuore, testa e gambe e comincio a pedalare. Il dolore si attenua e io vado più forte… la vita mi prende… la vita rientra in me… le gambe che si induriscono e il cuore che batte più forte.
Ogni volta è sempre più difficile ma io NON MOLLO perché è proprio quando il gioco si fa duro… che i duri iniziano a giocare!
Sono un soldato… sono un uomo e sono un sognatore… VOGLIO INSEGNARE A CHI NON CREDE… A CREDERCI!
NOI CE LA POSSIAMO FARE… ANCHE CON UN TENUE FILO…
PERCHE’ TUTTO E’ POSSIBILE… SE NON TI ARRENDI.
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INTERPELLANZA PARLAMENTARE
Di Rifondazione Comunista
I sottoscritti chiedono d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri della Difesa e degli Esteri
Premesso che:
• Di fronte al moltiplicarsi dei casi di leucemia e di malattie sospette su giovani di buona e robusta costituzione il muro di omertà con la quale la NATO cercava di occultare la pericolosità dei proiettili all’uranio impoverito si sta finalmente sgretolando; • gli Stati Uniti e la Gran Bretagna erano a conoscenza della pericolosità di questi ordigni per la popolazione civile e per gli stessi militari. Ciò nonostante si è deliberatamente scelto di usarli prima in Bosnia poi in Kosovo/Jugoslavia, contaminando interi territori, sperimentando sul “campo” – con civili e militari usati come cavie – le conseguenze delle radiazioni sull’ambiente e sul corpo umano;
• a conoscere gli effetti letali dell’uranio impoverito – dopo la guerra in Irak e l’emergere della cosiddetta “sindrome del Golfo” – erano anche i vertici politici e militari degli altri paesi della Nato, compresi quelli italiani i cui Ministri sono stati più volte, in diversi anni, sollecitati a rispondere ad interrogazioni sul tema eludendo il problema con irresponsabili rassicurazioni propinate dai consiglieri del Pentagono;
• l’uso di armi ad alta tossicità destinate a rimanere a lungo nella catena alimentare umana, in grado di provocare malattie genetiche gravissime, si configura a tutti gli effetti come un crimine contro l’umanità, tanto più grave perché utilizzato da una alleanza militare che diceva di agire per fini umanitari;
• questa vicenda, come d’altronde quella del Cermis e dei recenti giochi acrobatici dell’aviazione Usa nei confronti di aerei civili italiani sui cieli del basso Tirreno, dimostra come sia tutt’altro che ideologico porre il problema dello scioglimento della Nato. Non solo la “guerra umanitaria” ha dimostrato di non costruire la pace, ma la Nato ha palesato di non aver alcun rispetto per le popolazioni che diceva di voler “liberare” e per i suoi stessi militari mandati allo sbaraglio senza le necessarie protezioni dalle radiazioni dell’uranio impoverito;
• le resistenze degli Stati Uniti a non accettare neanche una moratoria di queste armi palesano ancora di più l’intreccio perverso tra la lobby industriale bellica ed i centri di ricerca militare che hanno necessità per esistere della guerra, che non a caso viene pianificata e scatenata a seconda dell’esigenze strategiche di questo Paese.
Per sapere: se non ritenga di dover assumere una iniziativa internazionale per arrivare:
– al bando delle armi all’uranio impoverito in quanto armi di distruzione di massa, iniziando a vietarne l’uso e lo stoccaggio sul territorio e le acque nazionali italiane;
– a riconoscere ai militari ed ai volontari civili che hanno contratto la malattia in Bosnia e Kosovo, lo status di malattia di servizio con conseguente messa a carico dello Stato delle spese mediche e per le cure, oltre che riconoscere un adeguato indennizzo per le famiglie colpite da una così grave sciagura;
– ad operare per un impegno straordinario per la bonifica delle aree contaminate e per misure di protezione sanitaria delle popolazioni;
– a porre fine alle missioni Nato nei Balcani ed eventualmente a sostituire le truppe atlantiche con un contingente delle Nazioni Unite;
– a chiedere al Tribunale Internazionale per i crimini di guerra nella exJugoslavia, l’avvio di una inchiesta penale sui responsabili dell’uso delle armi all’uranio impoverito;
– a richiedere le dimissioni da responsabile della PESC della “Unione Europea” di Javier Solana, per le sue responsabilità – quando ricopriva la carica di Segretario Generale della Nato – durante la guerra di Bosnia e del Kosovo nell’uso dei proiettili all’uranio impoverito e per aver autorizzato l’invio di contingenti militari senza impartire le necessarie precauzioni sui rischi per la salute che essi avrebbero corso durante la loro missione.
BERTINOTTI, GIORDANO, MANTOVANI, NARDINI, MALENTACCIII, DE CESARIS, VALPIANA, ROSSI EDO, VENDOLA, CANGEMI, LENTI, BOGHETTA, BONATO
NE PARLAVANO GIA’:
25 febbraio 1991: un documento “riservato” del Ministero della Difesa britannico raccomanda di indossare maschere e divise protettive in prossimità dei proiettili all’uranio impoverito.
1 marzo 1991: un documento dei laboratori di Los Alamos, trasmesso dal luogotenente colonnello M. V. Ziehman, esprime preoccupazioni diffuse per l’impatto dell’uranio impoverito sull’ambiente.
1991: il prof. Doug Rokke, ex direttore del “Depleted Uranium Project”, già docente alla Jacksonville University e colonnello dell’esercito USA, avverte dei rischi letali derivanti dall’uso dei proiettili all’uranio impoverito.
Aprile 1995: Le Monde diplomatique denuncia la morte di numerosi iracheni a causa dell’uranio impoverito.
1995: Alberto D’Onofrio gira per Raitre un documentario sulla sindrome del Golfo, che la rete per anni non trasmette.
Febbraio 1997: l’agenzia ANSA avverte dell’uso dei proiettili radioattivi in un poligono a Okinawa.
Aprile 1999: The Guardian lancia l’allarme uranio.
Aprile 1999: su Raitre Andrea Purgatori conduce uno speciale sulle conseguenze dell’uso del micidiale armamento.
Ottobre 1999: viene pubblicato un dossier dell’Unep (Programma ambientale dell’ONU) su Serbia e Kosovo, che segnala i rischi derivanti dall’uranio impoverito e accusa la NATO di non aver fornito alcun tipo di collaborazione.
25 novembre 1999: il manifesto dedica la prima pagina alla denuncia delle conseguenze dei bombardamenti all’uranio nei Balcani.
Dicembre 1999: Limes pubblica un’inchiesta; The Indipendent pubblica una serie di articoli sull’argomento di Robert Fisk.
Nel 2000 il Governo italiano “si accorge” del problema e a dicembre nomina una commissione medica, che dovrà accertare le cause delle morti per leucemia tra i militari italiani, che hanno partecipato a missioni in Bosnia e Kosovo.
Sull’uranio l’Italia sapeva dal ’96
Un documento della Nato metteva sull’allerta dai pericoli delle basse radiazioni. Erano i tempi della Bosnia, ma il nostro paese non prese precauzioni fino al 2000. Quando i malati erano già decine
27 aprile 2007 – Cinzia Gubbini
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
Sapevano, o almeno avrebbero dovuto sapere, fin dal 1996. Le autorità italiane erano state informate sui rischi dell’esposizione alle basse radiazioni per i soldati impegnati in operazioni militari e di peacekeeping ben prima che l’Italia adottasse una linea precauzionale, nel ’99.
Il 2 agosto del 1996 la Nato inviò al Comando militare dell’alleanza atlantica in Europa (Ace) – dunque anche all’Italia – una direttiva molto dettagliata sulle misure da prendere in casi di rischi da contaminazione per radiazioni. Il documento spiega che le basse radiazioni, causate da raggi alpha, beta e gamma, possono «produrre un rischio a lungo termine per la salute dei soldati» e che «la prima conseguenza delle esposizioni potrebbe essere l’insorgere del cancro anche tempo dopo l’esposizione».
L’Italia adottò solo nel 1999 le norme emanate dalla Forza multilaterale che prevedono l’utilizzo di tute, maschere e occhiali per proteggersi dalle polveri sottili dell’uranio impoverito che – appunto – è tra i materiali che emanano basse radiazioni. Nel ’96, anche le forze militari italiane erano impegnate in Bosnia nella missione di pace a guida Nato (su mandato dell’Onu), ma nessuno pensò di fornire ai nostri soldati l’attrezzatura necessaria per proteggersi da contaminazioni pericolose. Il decreto che finanzia la missione italiana è del 19 agosto. Neanche venti giorni dopo la comunicazione della Nato sui rischi per la salute dei militari.
La direttiva è nota da tempo agli addetti ai lavori. Falco Accame, il presidente dell’«Associazione nazionale italiana assistenza vittime arruolate nelle forze armate» lo ha spedito non ricorda più quante volte a tutti gli organi che si sono occupati della vicenda. Nessuno ha mai sembrato farci caso. Ieri il documento è stato pubblicato sul sito GrNews.it, che sta conducendo un’inchiesta sull’uso dell’uranio impoverito e sulla mancanza di precauzioni per proteggere i soldati. L’ultima persona, in ordine di tempo, che ha visionato il documento è il gip di Bari Chiara Civitano che nei giorni scorsi ha respinto la richiesta di archiviare un’inchiesta sull’uranio impoverito. Il giudice ha dato 90 giorni di tempo al pubblico ministero Ciro Angelillis per effettuare ulteriori indagini e capire se la Difesa avesse ottenuto informazioni anche prima del ’99. Ma non basta quel documento per capire che, sì, la Difesa e lo Stato maggiore non potevano non sapere? «Non è così semplice, purtroppo», spiega l’avvocato Sandro Putrignano che rappresenta il sindacato Uil. E’ stata infatti proprio la Uil nel 2003 a presentare un esposto alla Procura di Bari sull’uso dell’uranio impoverito, a partire dalle segnalazioni degli ambientalisti: gli aerei che partivano dalla base Nato di Gioia del Colle per bombardare la ex Jugoslavia al ritorno si liberavano degli ordigni avanzati sganciandoli nelle acque pugliesi. «In un passaggio dell’ordinanza del gip – spiega Putrignano – si afferma che essendo scritto in inglese, non è certo che il documento sia stato inviato alle autorità italiane».
Se non bastasse il documento del ’96 – dove non si cita mai l’uranio impoverito – ne esiste comunque un altro, che risale addirittura all’ottobre del ’93. Lo inviò il Pentagono al comando interforze di stanza a Mogadiscio, dove era presente anche l’Italia con la missione «Restore Hope». Anche questo è un prontuario sulle precauzioni da prendere. In questo caso l’oggetto è uno solo: l’uranio impoverito. Altro documento noto da tempo, ma senza scatenare grosse reazioni.
Di cautele simili a quelle adottate dal gip di Bari sono piene le inchieste aperte in Italia sulle contaminazioni da uranio impoverito. I gip sostengono sia molto complicato arrivare a un rinvio a giudizio: sembra difficile individuare un profilo di colpevolezza (cioè: chi è il colpevole?), e su tutto pesa l’incertezza scientifica nel provare cause dirette tra l’esposizione all’uranio e l’insorgenza di forme tumorali. Provare la causa diretta è difficile, ma esistono ormai diverse dichiarazioni di medici che riconoscono anche il contrario, e cioè che non vi è certezza che non vi sia un legame. La questione d’altronde è delicata. Se ci fosse un rinvio a giudizio i militari malati potrebbero chiedere i risarcimenti. Che sarebbero molto più alti di quei (pochi) finora riconosciuti come causa di servizio: 17 mila euro.
Per questo dobbiamo ringraziare anche il nostro attuale presidente della repubblica, all’epoca ministro della difesa… il quale diceva che era tutto a posto.
Anche mio marito è stato in Bosnia in quel periodo e si è portato a casa una bella neuropatia dovuta all’uranio impoverito. E’ costretto a recarsi a Rozzano, ospedale Humanitas ogni 5 settimane, per infusione di immunoglobulina. E’ stato obbligato ad andarsene in pensione, ma non gli hanno ancora riconosciuto (e penso mai lo faranno) la causa di servizio… Dopo il trattamento è uno straccio, ma allo stato non gliene può fregar di meno… e chissà fino a quando il suo fegato terrà…
Ho fatto leggere il suo articolo e vorrei farlo mettere in contatto con il colonnello. E’ possibile.
Grazie
Teresa
In giornata le invieremo una mail in risposta, all’indirizzo di posta che ha utilizzato per il commento.
dovrebbero essere processati tutti i verti militari dell’epoca compreso il ministro della difesa, possibile che nessun Giudice si prende questa responsabilità??
Pregherò per te caro: Dio benedica la tua vita.
Sono la mamma di Fulvio Pazzi VITTIMA DEL DOVERE morto a Venti anni Di LEucemia,Dopo una missione in Bosnia.Pregherei di chiedere al sig. Calcagni carlo come si ammala guidando un elicottero,e cosa centra – omissis -di cui lui viene riconosciuto con l uranio?Come si riesce a guidare un elicottero e raccogliere morti e feriti?Questo tutto da solo?Forse e un super eroe?Una mamma in pena.
Signora Teresa…
mi rammarica sentire l’intensità della rabbia e del dolore delle sue parole… che non voglio interpretare come offese o illazioni nei miei confronti… io che come suo figlio sto pagando il prezzo dell’aver fatto solo il proprio dovere.
Non credo sia questa la sede più opportuna per rispondere né controbattere a ciò che mi si attribuisce… nulla peraltro avrei da giustificare perché è tutto già contenuto in pubblici atti amministrativi… ma comprendo il suo dolore di madre… privata di un ragazzo così giovane… che aveva davanti a sé quanto di più bello un genitore possa sperare per un figlio… e che mai si sarebbe aspettato di ricevere… dal proprio Servizio e dallo Stato che ha onorato… un premio tanto amaro.
Gent.ma Sig.ra Teresa Ruocco,
abbiamo pubblicato il Suo commento per rispetto al Suo dolore.
Pur rendendomi conto del Suo stato d’animo, mi è doveroso risponderle chiedendole lo stesso rispetto per tutte le altre vittime, che siano esse in vita o meno, di quei tristi fenomeni conosciuti come esposizione a uranio impoverito, sovraddosaggio di vaccini ecc…
Entrando nel merito delle Sue richieste di spiegazioni, che a ben leggere appaiono più illazioni allusive che non altro, sento il dovere di ricordarle che un elicottero non è perennemente in volo e che laddove dubbi ci fossero, le stesse domande dovrebbe rivolgerle a quanti hanno riconosciuto al Colonnello Calcagni (che peraltro ha anche risposto al Suo commento con il garbo e la sensibilità che lo contraddistingue) le patologie indicate legandole a quella causa-effetto che è ormai ben nota a tutti.
Mi chiedo inoltre quale possa essere la ragione che a volte porta persone che dovrebbero trovarsi insieme a condurre una stessa battaglia, a dividersi soddisfacendo così quel divide et impera di romana memoria, che ha sempre permesso a chi comanda di poterlo continuare a fare in danno di quanti più deboli.
Comprendo la Sua pena di mamma, ma non è certo sminuendo le altrui pene, o le altrui ragioni, che potrà lenire il dolore per la perdita di Suo Figlio che, vittima di un “sistema”, in ben altra maniera andrebbe ricordato.
Una strofa dell’inno della Folgore, recita:
“…sganciato ogni corpo dai vincoli
racchiusi in un quadrato fermissimo
il piombo nemico si sgretola
nessuno di noi cederà!”
Purtroppo, nel caso in questione, così come in tanti altri, quello che dovrebbe essere “un quadrato fermissimo” non sgretola il piombo nemico ma si sgretola di fuoco amico…
E di questo, me ne dolgo…
Gian J. Morici
Buon giorno, ammiro il coraggio e la determinazione del colonello. Mi riesce inimaginabile il solo pensiero che possa essere in grado, in quelle condizioni, di riuscire ad allenarsi andando in bicicletta il che , ovviamente , lo stimola e lo aiuta moltissimo. Mi chiedo come faccia ad allenarsi se deve fare per ben 18 ore al giorno una terapia all’ssigeno. Sarebbe il caso che . se crede, lo spiegasse in modo da essere da aiuto a quanti magari volessero fare uno sport ma non riescono proprio perchè costretti a fare una simile terapia. Grazie e auguri di cuore.