In questi giorni in cui, un po’ per passatempo, un po’ per abitudine, un po’ per insuperabili confini delle capacità di intendere anche ciò che è più facilmente intellegibile, tutta l’Italia sta a far finta d’avere il fiato sospeso in attesa del risultato di un risultato elettorale che bene o male essa ha espresso, si ripete ancora il fenomeno del rovesciamento dei ruoli e delle fasi che sembra essere divenuto la costante della “politica all’Italiana”.
Una politica, almeno a partire dal golpe di “Mani Pulite”, in cui un po’ tutti giuocano attribuendosi una parte, una etichetta qualsiasi, un po’ come avviene (o avveniva ai miei tempi) nei giuochi “di massa” dei bambini, che (cosa che varrebbe la pena di essere studiata per trarne chi sa quale spiegazione) nel loro linguaggio proiettavano in un passato immaginario la scelta della parte da attribuirsi. Dicevano: “io, noi “eravamo” gli indiani…voi eravate i cow boys”.
Indiani e cow boys con poco diversa disinvoltura e spiccata propensione per accaparrarsi la parte di quelli “che hanno da vincere”. Oggi si danno le targhe delle più strane e poche fantasiose parti del giuoco fin quasi alla vigilia delle votazioni. Dovrebbero dire: noi eravamo la Sinistra. Noi eravamo la Destra. Noi eravamo tutti uniti per il caffè…etc. etc.
Se fino al 1994 non era molto facile capire chi fossero i partiti in lizza basandosi su denominazioni vecchie di quasi un secolo, passate in eredità o per vendite all’asta a gente non sempre riconoscibile in quelli che quei nomi avevano inventato, da allora in poi i nomi dei partiti (si fa per dire) sono di pura fantasia, un po’ come quelli in codice delle operazioni militari di guerra.
Ma non basta. Se il periodo pre-elettorale è caratterizzato da una corsa a “nomi nuovi”, non solo di candidati, ma di formazioni da etichettare con fantasia e senza offrire troppo il fianco alla “cojonella”, a ben vedere il vero sforzo per dare un’identità ai partiti, che la legge elettorale non sempre è capace di imporre come vincente o perdente, lo si compie adesso, a voto espresso.
Dopo che la gente ha votato, in base a conoscenze approssimative ricavate dai media e dai più o meno assurdi capricci, incomincia una serrata e disinvolta operazione per spiegare a quelli che hanno votato che no, il loro voto non significava questo, ma quest’altro, che il partito tale non era poi così forcaiolo, ma aperto ad esperienze progressiste, che quelli che strillavano che avevano loro rotto i coglioni si riferivano ai coglioni altrui, che la vera “affinità” non c’è tra quelli che dicevano di essere alleati, ma tra quegli altri che se ne dicevano di tutti i colori.
Che questo sia il sistema in cui la “volontà popolare” si manifesta e si impone, con il crisma della sovranità che la Costituzione ci assicura spettare al popolo, è almeno risibile.
Si dirà che, dunque, è il caso di gettare alle ortiche tutto l’armamentario delle libere istituzioni e che le uniche persone serie sono i furbastri, i forcaioli che di quelle libere istituzioni hanno fatto strame per le loro orrende dittature, per il ritorno al governo “autoritario”, alle forche, ai regimi totalitari.
Nossignori. E’ esattamente il contrario. Sono i regimi autoritari che hanno bisogno degli inganni, delle falsificazioni di volontà popolari che ne sarebbero la legittimazione.
Le istituzioni libere hanno bisogno come dell’aria da respirare di chiarezza, di verità, di sprezzo delle macchinazioni retoriche.
Il nostro Paese, dopo essere stato oppresso dalla dittatura più retorica e bolsa, distruttrice della razionalità e del pensiero oltre che delle istituzioni liberali, nel ventennio fascista, ha, nella divisione del mondo della guerra fredda, costituito un grottesco condominio, in cui il confine tra EST ed OVEST non era quello geografico e spaziale, ma quello strano e non meno ferreo della contrapposizione nel nostro territorio di un potere politico e di un sistema economico occidentale, “Atlantico”, democratico e di contro, di una egemonia culturale lasciata al Partito Comunista ed alla dipendenza dall’EST. Una egemonia appena temperata dalla commistione e dall’inciucio con la cultura antiliberale cattolica.
E’ finita anche questa forma di “cortina di ferro”, questa egemonia culturale che però ha lasciato detriti inquinati ed inquinanti, che sopravvivono alla condizione politica che li ha generati. La distruzione del pensiero liberale, dello spirito della democrazia è stata da noi indiscutibile ed ha costituito la piattaforma comune di un cattocomunismo di cui oggi si coglie il frutto velenoso.
Ci sarà da ripartire da capo per conquistarsi una nostra vera libertà.
Speriamo che ci riescono.
Mauro Mellini