L’inconcepibile, comica nel dettaglio, ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Palermo che ha gratificato il noto Giuseppe Arnone di un affidamento in prova in luogo di un anno e quattro mesi da passare dietro le sbarre e ciò mentre il condannato dava quotidiana spontanea prova di una incontenibile tendenza a delinquere. Ma, forse, proprio a causa dell’unanime indignazione che questa ulteriore donativo ha provocato ad Agrigento ed in Sicilia, parlar chiaro sulla atmosfera e sulle ragioni che possono aver determinato un trattamento insolitamente tollerante, di privilegio, tale da richiamare alla mente quello una volta concesso ai famigliari della Santa Inquisizione, ha provocato qualche segnale di essere stato inteso e di aver creato preoccupazioni nell’ambiente in cui antiche connivenze con il singolare personaggio si erano indiscutibilmente verificate e ruoli inconcepibili erano stati da lui non solo millantati, ma ottenuti e lasciati consolidarsi e divenuti oggetto di timori non infondati di molta gente dabbene.
Qualcuno, che pure ha avuto in un passato in cui la contiguità con questo del tutto singolare “eroe” di un’Antimafia e di un manipulitismo di facciata e da strapazzo tanto somiglianti a quello di un’Antimafia mafiosa, per lo più significativa complicità, ha ritenuto di reagire alle attuali sceneggiate, ridicole ma non per questo tollerabili, dell’avvocato “esercente a condizione che non commetta nuovi reati” e, soprattutto ha voluto prendere le distanze.
Non solo. Ma proprio ieri una condanna per diffamazione in danno di uno dei suoi “nemici” (“reo”, tra l’altro, di averlo battuto in una elezione a Sindaco di Agrigento, della quale Arnone si era già proclamato vincitore del balcone del Municipio!!!) gli è costata una aggiunta di dieci mesi di reclusione, quando invece la prorompente tendenza diffamatoria del Nostro era stata per anni, si può dire, assecondata con una “tariffa” di cinque o seicento euro di multa per lo stesso reato.
Oramai l’atto formale della “assunzione in prova” dovrebbe essere scattato, e, per quella strana ordinanza palermitana, “d’ora in poi”, l’esaminando non dovrà più commettere delitti (come se prima fosse stato “autorizzato” a compierli), il che ha in sé, oltre il ridicolo, qualcosa di vero.
Non sta a me pronosticare l’esito di questa grottesca e tardiva prova. Né facile sarebbe il pronostico, che non sia quello di qualche furbesco ed arrogante marchingegno, di ulteriori sparate pubblicitarie.
Del resto c’è una scienza che dovrebbe analizzare comportamenti come quello del “berlingueriano” (è questa l’ultima qualifica che egli si è dato) Arnone.
Quello che più interessa è la prova del limite cui può arrivare la giustizia “di lotta” nel concedere ai “combattenti e reduci” di sciagurate battaglie, trattamenti che sembrano confermare il disagio, anche da parte di magistrati che nulla hanno avuto personalmente a che fare con certe incaute utilizzazioni di “suggeritori di giustizia” a veder concludersi, con la vicenda personale in sé miserevole di un personaggio da manuale di scienze criminologiche, una pagina di storia, locale, ma non troppo, di un sistema giustizia che finora non sembra si sia trovato il modo di dimenticare senza ulteriore disdoro.
Mauro Mellini