Il settore della giustizia minorile, proprio perché dovrebbe essere quello in cui tutto dovrebbe svolgersi nel segno della prudenza, del buon senso, del rispetto del corso naturale delle cose, è, invece uno di quelli, assieme al penale, in cui più arrogante ed invasiva appare la prevaricazione, il pregiudizio, la pretesa di “rifare il mondo”.
Quando ero Deputato dovetti occuparmi, con interrogazioni parlamentari (che lasciarono il tempo che avevano trovato) di molti casi abnormi di provvedimenti con i quali i figlioletti erano stati strappati ai genitori per i più assurdi dei motivi.
Coniai allora un termine, che avrebbe meritato di essere adottato e di rimanere nel lessico, almeno in quello giornalistico, se non in quello giuridico: “kidnapping giudiziario”.
Offese manifeste del buon senso, mania, si direbbe, di dar prova di saperne fare a meno, pretesa di onnipotenza dei convincimenti soggettivi al di sopra della ragione e della legge. E, d’altro canto, in apparente contrasto con tutto ciò, il passivo rimettersi dei giudici alle storture ed all’ignoranza dei cosiddetti Servizi Sociali.
A tutto ciò ripenso in questi giorni in cui le cronache ci mettono sotto gli occhi uno di questi casi, quello del paese del Monferrato, dei coniugi Deambrosis.
Caso, dunque, non nuovo.
Ma nel caso di Deambrosis c’è qualcosa di più. C’è il vizio di fondo della giustizia italiana (e forse non solo italiana): quella di negare i propri errori, di attribuirsi una sorta di infallibilità autoreferenziale, per la quale l’errore giudiziario non esiste. O è come se non esistesse. L’”errore giudiziario non esiste”, diceva il Presidente del Tribunale Supremo di Todo Modo di Sciascia. Tecnicamente, del resto, l’”errore giudiziario” è solo quello nelle sentenze passate in giudicato.
Mandati di cattura, sentenze nei primi gradi non sono “errori giudiziari”, anche quando sono un orrore. Orrore sulla pelle dei cittadini.
E, poi, la “revisione” per provvedere alla “riparazione” di ciò che magari è irreparabile, essa è ammissibile solo se “sopravvengano nuove prove”. Come dire: andava bene così per come la cosa si presentava, ma se poi vien fuori dell’altro…mica è colpa nostra…cavoli vostri.
A ben vedere, nel caso Deambrosis si è andati oltre. Perché da un errore giudiziario, anche se non definibile “tecnicamente” come tale, si è passati all’errore, anzi, orrore, dello strappare definitivamente la bimba ai genitori. Dall’addebito ai coniugi di un reato manifestamente inesistente, “l’abbandono di minore”, ché tale non è il fatto che era stato ascritto ad essi per aver lasciato un momento la bambina nella macchina, come aveva riferito qualche volenteroso vicino di casa, si è pervenuti ad un ulteriore orrore giudiziario sottraendo ai genitori in via cautelare la piccola ed affidandola a terze persone.
Altro orrore giudiziario.
Quando, poi l’imputazione è stata definitivamente dichiarata insussistente, invece di cercare un sia pur tardivo e sicuramente insufficiente rimedio ai precedenti orrori dell’aver strappato la piccola ai genitori, il Tribunale dei Minori e Corte d’Appello hanno pensato bene di perpetuare l’orrore di quel forzoso ed incauto affidamento. Perché turbare la vita della bambina con un “inopportuno” ritorno dai suoi genitori?
Si sono preoccupati di “evitare traumi”. Solo allora. La giustizia ingiusta, come dice il proverbio, avendo fatto trenta, ha voluto fare trentuno.
L’errore-orrore più grosso copre quello più piccolo, quello più recente copre il precedente. E, così giudicato in diritto, non è più un errore, solo un orrore.
Non facciamo confusione.
Mauro Mellini