Un triste ruolo, pare voglia riservare a sé stesso Silvio Berlusconi per questa fase della sua vita naturale e politica, coincidente con quella tristissima che per più versi attraversa il nostro Paese.
Troppe volte ho ripetuto che Berlusconi non ha saputo né voluto far pesare, di fronte allo sfasciamento della nostra Repubblica, la persecuzione di cui è stato indiscutibilmente oggetto, facendone il seme di una nuova concezione di libertà per tutti i cittadini di un nuovo liberalismo di cui pure, al momento della sua “scesa in campo” aveva fatto balenare l’immagine.
Così ha rinunziato a dare al referendum del 4 dicembre una sigla ed un punto di riferimento accettandone quasi di malavoglia l’andamento e l’esito.
Ma il peggio sta accadendo in questi giorni.
E’ comprensibile che Berlusconi non gradisca l’idea di votare al più presto, anche se non sembra avere idee molto chiare sul modo di utilizzare il tempo guadagnato.
Avrebbe potuto sopperire all’esigenza di “guadagnare tempo” facendo valere un’altra esigenza che non è “di parte”: quella di fare una legge elettorale, buona in sé e non per questo a quel partito, per le contingenze e le previsioni circa lo stato delle forze politiche dea soddisfare. Non lo ha fatto e non lo fa.
Ci sono a favore della “proporzionale” probabilmente assai più argomenti di quelli che Berlusconi conosca, tutti da discutere e riconsiderare, come da discutere e da riconsiderare dovrebbe essere gli argomenti con i quali la “proporzionale” è stata scartata nella pretesa di “superarla”, in nome di una “governabilità” affidata ad un giuoco in cui le regole vengono stabilite dopo che sono state distribuite le carte.
Se Berlusconi ha cambiato in questi giorni opinioni con frequenza e disinvoltura maggiori che nel passato, è rimasto fermo, invece, sui punti più allarmanti del suo pensiero (si fa per dire) politico.
Ha definito le preferenze degli elettori per la scelta tra i candidati in lista con parole ancor più pesanti ed infelici che nel passato.
Certo, non è il solo a pensarla così, anche se da parte sua ciò è più grave per la sua propensione per la proporzionale.
La solita solfa delle possibilità di “controlli del voto”, di “voto di scambio” con la possibilità di accordi “incrociati” tra gruppi e candidati è null’altro che una solenne sciocchezza.
Con questo criterio bisognerebbe abolire le banche per evitare le rapine di cui sono oggetto e, in conclusione bisognerebbe pure abolire le elezioni perché “voto di scambio” o con malavitosi e “persone perbene” si fanno per le liste oltre che per i singoli candidati.
Per non dire che l’elettore corrotto è, per lo più, quello che si convince che comunque gli si nega ogni scelta effettiva che valga qualcosa.
Né mancano altri non meno validi argomenti per dimostrare la pretestuosità di questa “demonizzazione” della volontà popolare.
Senza voto di preferenza ogni votazione di liste è uno schiaffo al principio della rappresentanza del Popolo.
La facoltà data a chi redige le liste di stabilire l’ordine in cui debbono essere nominati i candidati è di per sé un sistema che sopprime e snatura il rapporto elettore-eletto.
Ed è particolarmente grave questo vulnus proprio per Forza Italia, un partito caratterizzato dalla sua inesistenza, che non fa congressi, non elegge organi direttivi. E’ proprietà personale di Berlusconi (salvo ipoteche, pignoramenti e interdizioni).
E il Cavaliere, nel dir la sua sulla legge elettorale non ha mancato di sottolineare anche per altro verso questa “personalità” delle liste: ci deve essere il suo nome nel simbolo!!!
Insomma il regime parlamentare così come lo concepisce Berlusconi dovrebbe funzionare in questo modo: il Presidente del Consiglio designato da sé medesimo provvede a designare i deputati e senatori. I quali se le liste con il marchio di fabbrica del “patron” ottengono (a lui) la maggioranza, votano la fiducia in chi li ha scelti e fatti nominare deputati e senatori.
Coronamento di tutto ciò: se un deputato o senatore “cambia partito”, quale che ne sia la ragione (per esempio: perché il Berlusconi decida di allearsi con Crocetta e farlo nominare Presidente della Repubblica) viene espulso dal Parlamento. Berlusconi non si pone, evidentemente, il problema del caso in cui a cambiare casacca possa essere lui (senza, magari, arrivare a voler mandar Crocetta al Quirinale). Chi decide? Probabilmente il giudice del lavoro.
Dite pure che sono diventato cattivo. Meglio che diventare scemo.
Quanno ce vo ce vo!
Mauro Mellini