Gli eventi della campagna elettorale per il referendum costituzionale hanno fatto passare in secondo piano, anche nella abbondante produzione dei nostri scritti, la questione del Partito del Magistrati e della sua anomala influenza della politica e nell’assetto istituzionale del nostro Paese.
Cominciamo dalla fine: quando era ancora incerta la persona del successore di Renzi a Palazzo Chigi si era fatto il nome di Grasso, attuale Presidente del Senato.
E’ durato meno dello spazio di un mattino, ma è bastato a suggerire qualche riflessione sia sull’individuo che sul ruolo del suo partito di appartenenza: il P.d.M. (Grasso è un alto magistrato). Anomala la sua posizione di magistrato “distaccato” in Parlamento, anomala la presidenza del Senato, che dovrebbe essere attribuita a parlamentari di lunga esperienza, anche nel suo caso (vi erano però dei precedenti) attribuita ad un senatore di prima legislatura. Ma anomalo soprattutto il suo ruolo di Presidente della prima Camera, che, invece, o per “riconoscenza” ad un partito che lo aveva “chiamato” in politica, o per fedeltà ad un qualche patto, si era prestato a facilitare il corso della “riforma” Boschi-Renzi, così da far pensare, invece, alla funzione di Commissario Liquidatore del Senato. Se fosse andato a Palazzo Chigi, la dovuta attenzione su questa imbarazzante (non per lui) situazione non sarebbe, magari potuto continuare a mancare.
Renzi ha affrontato il problema del suo rapporto con il Partito dei Magistrati (cui, in sostanza, doveva il fatto di essere balzato al vertice della politica e dell’istituzione del nostro Paese), porgendo una mano ai vertici della magistratura. La scandalosa proroga “ad personam” del Primo Presidente della Cassazione, Canzio, divenuta, poi, forzatamente “ad personas” è cosa se non chiara, certo significativa.
Ma Renzi era stato propenso ad ingraziarsi anche l’ala furente del Partito dei Magistrati, nominando Ministro della Giustizia uno dei più accesi e fantasiosi esponenti dell’oltranzismo “devozionale” antimafia (ma in realtà anti tutto) Gratteri. A ciò impedito nientemeno che da Napolitano. Non credo per moderazione. Poi Gratteri è andato eugualmente a Via Arenula a presiedere una Commissione molto “calabrese” e di magistrati, per preparare una riforma, tenuta nel cassetto perché riconosciuta dalla stessa Boschi pericolosa per le sorti del SI nel referendum, “riforma”, che contiene alcuni articoli capaci di mettere l’intera classe politica nelle mani che prudono a molti magistrati anche di periferia.
L’alleanza con le toghe rosse ed ermellini ha fornito a Renzi qualche non irrilevante (ma inutile) vantaggio per il referendum. Qualcosa ne abbiamo detto e scritto, molto altro ne potremmo scrivere.
Certo è che il Partito dei Magistrati è apparso diviso e tale è sicuramente. La mano tesa ai “vertici” ha fatto imbestialire le correnti di Sinistra dell’A.N.M., sempre sospettose nei confronti della Cassazione. Il bigottismo del culto della intangibilità della Costituzione ha avuto visibilità oltre il dovuto durante la battaglia per il referendum ed è valso, comunque, a far dimenticare che questi bigotti sono stati e sono i più disinvolti nella quotidiana violazione dei fondamentali principi costituzionali di garanzia dei cittadini nel processo penale.
Ma le divisioni ed i contrasti non hanno impedito alla magistratura di continuare indisturbata sulla strada della giurisdizionalizzazione della vita istituzionale dello Stato, di cui alcuni eventi paragiudiziari sono stati esempi assai poco compresi anche e soprattutto da qualcuno che, nella sua beata ignoranza, vi aveva dato mano ed occasione.
Potremmo continuare a lungo. Una cosa però non possiamo e non dobbiamo dimenticare: nel travagliato cammino che la nostra Repubblica ha avanti a sé, l’incombere invadente del Partito dei Magistrati è un elemento con cui, chiunque non abbia gli occhi chiusi o dall’ignoranza supponente o da interessi meschini, dovrà fare i conti.
Altro che marce “per l’amnistia e lo stato di diritto” di certi inutili idioti!
Mauro Mellini