Più passano le ore e più resta un mistero da chiarire la tragedia dell’Airbus 320 dell’EgyptAir precipitato il 19 maggio durante un volo da Parigi al Cairo.
Mentre le indagini proseguono, il mondo jihadista rimane stranamente silenzioso, lasciando sempre più spazi al dar credito ad un guasto meccanico che abbia potuto causare la catastrofe.
Anche ieri, chi si aspettava che l’audio con il discorso di Adnani, portavoce dello Stato Islamico, potesse chiarire quantomeno l’eventuale coinvolgimento dell’organizzazione terroristica nella vicenda, non ha tratto nulla di utile dalle tante ore di attesa.
Adnani non ha proferito una sola parola sulla tragedia, ponendo al centro del suo discorso i bombardamenti russi e da parte della coalizione capitanata dagli USA e la risposta da dare agli stessi seminando il terrore in Occidente nel corso del Ramadan.
Quello che ad oggi si può dire con certezza, è che l’aereo ha effettuato una rotazione di 90 gradi a sinistra e una di 360 gradi a destra, passando da 37.000 a 15.000 piedi, prima di sparire dai radar.
Nessun S.O.S. lanciato, nessuna comunicazione con le torri di controllo. Dati che hanno accreditato immediatamente l’ipotesi di un attacco terroristico, probabilmente con l’utilizzo di una bomba ad orologeria.
A mettere in discussione tale ipotesi la stringa di messaggi inviati dal cockpit e dai sistemi computerizzati di bordo che, durante i tre minuti di vuoto, prima che l’aereo si schiantasse, hanno segnalato sette avarie a bordo, registrando la presenza di fumo.
Tre lunghissimi minuti che indicano come non ci sia stata nessuna esplosione a bordo ma che durante i quali, inspiegabilmente, dall’aereo non è stato lanciato il “May Day”.
Se da un lato le due virate, una a 90° e l’altra di 360°, indicano che l’aereo è stato destabilizzato, queste informazioni non aggiungono nulla al cosa ha destabilizzato il velivolo. Esclusa l’esplosione a bordo, rimangono intatte tutte e tre ipotesi possibili: un’avaria tecnica, l’errore umano e l’azione terroristica condotta prendendo il controllo della cabina di pilotaggio.
Il punto cruciale per le prime due, rimane la caduta in picchiata di 8 mila metri in due minuti, il mancato “May Day” che nei tre minuti di silenzio il pilota avrebbe potuto, e dovuto, lanciare.
A voler avvalorare la tesi che non si sia trattato di un atto terroristico, il fatto che i jihadisti dello Stato islamico e di Al Qaeda, le due organizzazioni che oggi potrebbero essere sospettate di un attacco di questo tipo, a differenza di quanto accaduto per il compimento di altri attentati, mantengono uno strano silenzio.
L’atto terroristico non è escluso
Ma è sufficiente il silenzio del mondo jihadista a scartare l’ipotesi di un atto terroristico? Sicuramente no.
Se è pur vero che in altre circostanze, come nel caso del disastro aereo del Sinai nel 2015, o degli attacchi in Occidente o in Africa, tanto lo Stato Islamico quanto al Qaeda hanno rivendicato la paternità degli attentati nell’arco di poche ore, dando ampio risalto alle azioni condotte, altrettanto vero è il fatto che nel caso della strage di San Bernardino in California, avvenuta nel dicembre 2015, quando due terroristi, marito e moglie, provocarono la morte di 14 persone e il ferimento di altre 24, la rivendicazione ufficiale attraverso Amaq, agenzia di propaganda dello Stato islamico, arrivò dopo tre giorni e a seguito di accordi ai vertici dell’organizzazione terroristica.
Il motivo è da ricercare nel fatto che la coppia che agì rendendosi protagonista della strage, aveva operato in maniera autonoma e senza seguire le indicazioni quotidianamente fornite dai terroristi, che chiedono ai “lupi solitari” di fare in modo che le loro gesta siano riconducibili all’organizzazione.
Lo Stato Islamico, ancor più di al Qaeda, conta molto sulla propaganda, sul poter ispirare la base jihadista per compiere gli attentati o per partecipare al jihad, è dunque logico che una rivendicazione azzardata e poi smentita, metterebbe in discussione la credibilità dell’organizzazione. Un errore che l’IS non può permettersi e che dunque induce ad una maggiore cautela nel caso di attacchi che non possano essere provati.
Nel caso in cui la tragedia del volo EgyptAir MS804, fosse opera di una piccola cellula francese, eritrea o tunisina, che abbia agito in maniera autonoma e senza lasciar traccia di una rivendicazione a priori delle loro gesta, l’IS si troverebbe ad interrogarsi per capire cosa è accaduto e come provare la paternità dell’azione.
Questa potrebbe essere una delle spiegazioni da dare al silenzio dei terroristi. La seconda – ancor più preoccupante – è quella di una nuova tipologia di attacchi con metodi e ordigni diversi da quelli ad oggi conosciuti, da poter utilizzare anche per nuovi attentati. Qualche precedente di questo genere, lo si è già avuto negli scorsi decenni ad opera di al Qaeda.
In entrambi i casi, ci troveremmo dinanzi uno scenario preoccupante che metterebbe comunque in evidenza le falle dei nostri sistemi di sicurezza. Scenari che più di tutti temono i francesi, visto che la falla peggiore riguarderebbe proprio il loro più grande aeroporto.
Esclusa la presenza di un ordigno esplosivo a bordo del volo, resta da comprendere l’origine del fumo che ha dato luogo ai sette diversi allarmi lanciati dai sistemi di bordo e il perché del mancato S.O.S.
Le indagini saranno lunghe e difficoltose e nonostante i nomi degli appartenenti all’equipaggio e quelli dei passeggeri siano stati passati al vaglio del web per verificare l’eventuale collegamento a estremisti islamici, ad oggi pare che non ci sia nessun dato che possa confermare o escludere questa possibilità.
Il fatto che il volo MS804, sia precipitato in mare, la profondità delle acque in quel punto e le correnti che potrebbero rendere difficoltosa l’individuazione e recupero delle scatole nere, il coinvolgimento di più paesi che per ragioni di campanilismo avrebbero interesse a tacere eventuali responsabilità, rischiano di complicare e ritardare il corso delle indagini.
Resta da sperare che si sia trattato di un incidente dovuto a fattori tecnici, o ad una falla dei sistemi di sicurezza che abbiano consentito a qualcuno a bordo di prendere il comando del velivolo facendolo precipitare, e non che si tratti della premessa ad altri attacchi con nuovi metodi e ordigni a noi ancora sconosciuti.
A far chiarezza su tutto questo, può essere solo il contenuto delle due “scatole nere”, il “flight data recorder” e il “Voice cockpit recorder”.
Quanto tempo occorrerà prima di avere le risposte? Le esperienze del passato ci insegnano che tanto nel caso di attacchi terroristici, quanto nel caso di disastri causati da problemi tecnici, a volte per avere prova di quanto avvenuto, è stato necessario aspettare anche per anni. E questo potrebbe favorire il peggiore degli scenari…
Gian J. Morici