“Grrr… che rabbia… che rabbia… che furore…”
Questo è quello che devono aver pensato magistrati, studiosi, giornalisti, avvocati e politici, nell’aver letto oggi su Repubblica l’analisi di Roberto Saviano riguardo l’intervista di Salvo Riina, figlio del più noto Totò Riina, a Porta a Porta, il programma Rai di Bruno Vespa.
E hanno ragione ad essere infuriati, come hanno fatto a non pensarci prima loro? Le conclusioni di Saviano non fanno una piega, anche perché pubblicate sul quotidiano online, mica sulla carta…
L’autore di Gomorra, ormai tuttologo, dalla politica alle mafie, dalle scie chimiche ai marziani, ha emesso oggi la sua sentenza: Riina junior, ha lanciato due messaggi! Due segnali forti e chiari!
Forti e chiari quantomeno per Saviano che li ha decodificati, non per noi, che poveri umani, non riusciamo a leggere i fondi del caffè, i tarocchi e le interiora dei gattini. E neppure altre fonti di elevata qualità accademica e scientifica, come i bisognini dei passeri solitari, in su la vetta della torre antica, simpatica rivisitazione del Manzoni.
Colpa nostra! E’ inutile lambiccarci il cervello e far fumare le narici, avremmo dovuto pensarci prima.
Il primo messaggio, secondo Saviano, è rivolto alla “magistratura, alla quale Salvo Riina ha voluto suggerire che la vecchia Cosa Nostra non è la nuova: noi non ci pentiamo, ha voluto dire, ma non vogliamo più il 41 bis. E cosa diamo in cambio: ognuno si prende le sue responsabilità, senza però accusare nessun altro, in cambio però ci togliete il carcere duro e non aggredite più la nostra famiglia”.
Una rivisitazione savianesca di quello che fu uno dei punti della cosiddetta “trattativa”.
Il top, Saviano lo raggiunge con la seconda entità alla quale è destinato il messaggio, niente meno che l’imprendibile Matteo Messina Denaro.
“Me misero, me tapino, me derelitto”, deve aver pensato nella sua cella, con espressività disneyana, il “capo dei capi”, il “boss dei boss”, quel Riina sul cui capo ha più ergastoli che capelli, quando seppe che avendo fatto domanda per la pensione, era anche stato denunciato dai magistrati per tentata truffa all’Inps.
Sì, avete letto bene, la pensione! Perché forse molti di voi non sanno che anche ai condannati per mafia spetta l’assegno mensile sociale. E Riina, così come tanti altri che la pensione l’avevano ricevuta, presentò la domanda, con gli esiti che vi abbiamo appena detto.
Da lì, forse, la decisione di dover continuare a “lavorare”, se è vero che anche in questi ultimi anni, i magistrati hanno continuato ad attribuirgli un ruolo di primo piano nel gotha di Cosa Nostra.
Ma si sa, pensione o non pensione, a una certa età, arriva il momento di ritirarsi dagli affari.
E qui, entra in gioco il caffè. Che c’entra il caffè? Salvo Riina, come Salvatore senior, è siciliano! Bella scoperta direte voi. Non è certo una scoperta, ma anche questo si sa, ai siciliani il caffè piace.
Questo deve aver pensato il buon Saviano che approfittando di questa debolezza meridionale, avrà chiesto di poter avere la tazzina di caffè di Riina junior, grazie alla quale poter leggere il messaggio racchiuso nei fondi della tazzina, in merito al futuro, sbrogliando la matassa dell’intervista.
Al novello caffeomante, si rivela così la volontà reale dell’intervistato da Bruno Vespa: Il secondo messaggio, quello a Cosa Nostra: “non c’entriamo più, non fateci pagare le vostre colpe. E’ un messaggio a Matteo Messina Denaro e a tutte le famiglie: non osate intervenire in questo nostro scambio, prima culturale e poi giuridico”, con lo Stato, basato sul modello della ‘dissociazione’ dei terroristi politici”.
Da che mondo è mondo, anche questo si sa, un boss, specie se di primo piano, come Riina senior, a fine carriera rassegna le proprie dimissioni e comunica la decisione al proprio sostituto.
Come non averlo pensato prima? E sì che anche i più bravi investigatori ci avevano avvisati: leggendo i fondi di caffè, si scoprono i segreti più reconditi d’ogni uomo!
Gian J Morici