di Agostino Spataro
Forse non ci crederete, ma per scrivere l’articolo qui allegato sono partito da alcune solide ragioni politiche e sociologiche maturate a metà degli anni ’80 e “suffragate” da un detto della medicina popolare che fu una pratica diffusa nella società contadina: “U muzzicuni du cani si sana cu lu pilu di lu propriu cani”. Traduco per i palati più fini: “Il morso (del cane) si guarisce con il pelo del cane aggressore.” Così succedeva che bisognava inseguire quel cane rancoroso per strappargli un ciuffo del suo pelame che – lo sciamano- avrebbe applicato sulla ferita. Stiamo parlando di pratiche antichissime sopravvissute fino agli ’50 del secolo scorso.
Che dire? Talvolta tale metodo funzionava, altre volte no, provocando conseguenze ben più gravi del morso canino.
Fuor di metafora, l’articolo, pubblicato in prima pagina da “Il Manifesto” del 30 ottobre 1984, credo rivesta una qualche importanza se non altro per il fatto che per la prima volta un deputato nazionale del PCI esponeva in pubblico un pensiero che correva fra le file del partito che però nessuno si decideva a esternare e magari a tramutare (siano a due anni dall’assassinio di Pio La Torre) in proposta di legge. In quei giorni, scosso anche da un episodio di mafia, feroce e terribile, accaduto a Palermo, scrissi il pezzo e lo inviai al Manifesto con il quale collaboravo per i temi di politica estera.
Fu pubblicato in “prima” e pertanto fece un certo scalpore nell’ambiente politico e parlamentare. Alcuni del mio partito dissero che era “una fuga in avanti” (la solita solfa di chi non vuole smuovere nulla), altri ch’era opportuno discuterne prima negli organismi (campa cavallo), altri ancora (più numerosi) vennero a congratularsi, senza farlo sapere in giro. Però. Fra questi un deputato che oggi siede sull’alto scanno della Corte Costituzionale.
Anche molti “avversari”, compresi alcuni membri del governo, vennero a complimentarsi in modo palese o sottobanco. Insomma, l’articolo aveva un pò scosso le acque stantie della politica in quel terribile frangente.
Un contributo sincero da certuni non gradito, forse perché si pensava che noi lì, in Parlamento, fossimo solo dei buoni monaci portatori d’acqua ossia di voti che, intruppati nei loro ordini debbono servire tacendo.
Dopo l’articolo non successe nulla di concreto sul terreno politico e parlamentare. Bisognerà aspettare il 1991 quando, con la collaborazione assai qualificata dei magistrati dr. Giovanni Falcone e Antonio Scopelliti, il governo, presieduto dall’on. Giulio Andreotti, con Claudio Martelli ministro della Giustizia, emanò un decreto legge (n. 82 del 15 marzo 1991) che introduceva una efficace normativa premiale mirata a favorire la collaborazione con gli organi di giustizia dei cd. “pentiti” di tutte le mafie. Di tale normativa ne hanno usufruito in tanti, fra cui Giovanni Brusca.
Ma eccovi l’articolo: