Avevamo già rilevato lo sconfortante cumulo di baggianate, di ignoranza e di malafede emersi durante le polemiche sulla contestazione a Salvini di reati “ministeriali” vari (tra cui il sequestro di persone mediante mancata accoglienza).
Oggi, quando già pare che lorsignori abbiano fatto al riguardo i loro comodi, riuscendo a commettere, stando alle loro stesse dichiarazioni, strafalcioni, abusi, assurdità anche finendo col fare ciò che era in sé logico e giusto, più gravi sono le considerazioni.
E’ il caso di dare atto che questa gente è totalmente incapace di agire, votare, decidere secondo diritto, anche quando la loro stessa ignoranza, li costringe a fare ciò che il diritto impone.
Sono, a dirla breve, capaci di ignorare, violare, stravolgere la Costituzione, le leggi, il diritto anche quando per caso, per ben altri motivi, agiscono come il diritto richiede.
Con tutta la mancanza di simpatia che ho sempre avuto per Salvini, fin dal primo momento ho dichiarato e sostenuto che l’accusa concepita dal giurista Procuratore di Agrigento e, poi, dal “Tribunale dei Ministri” di Catania, non era fondata su di una corretta osservanza della separazione dei poteri (quale che dovesse essere la valutazione etica, politica, opportunistica del suo comportamento). E che, quindi il voto del Senato avrebbe dovuto essere un NO senza tentennamenti.
Un NO corrispondente alla funzione del Parlamento di valutare il carattere speciale della questione politica rappresentata dai fatti contestati.
Le parole con le quali Di Maio, il “capo politico” del Movimento Cinque Stelle (espressione del cavolo, che implica che quella congrega “Casaleggio e Associati” non sia un partito né un’associazione politica, ma un comitato d’affari) ha cercato di manifestare la sua soddisfazione, con una dose mastodontica di ipocrisia, per la soluzione che oramai è costretto ad accettare, parlando di trionfo della “democrazia diretta” (che, poi, sarebbe, invece “telematica”) sono una baggianata inconcepibile, che, peraltro, comporta la confessione di un voto che non è conforme al precetto costituzionale, che ne attribuisce il potere ai Parlamentari e non a poco chiare congreghe al “popolo” di una determinata parte. Un voto che, come ogni atto di giustizia, non è e non può essere “discrezionale”, né ad altri delegato e fatto decidere tanto più se si intende, come fa Di Maio, di un voto di “simpatia” di corpi estranei alle istituzioni della Repubblica, nel caso, una sorta di società per azioni di incerta natura quale la “Casaleggio ed Associati”.
Ed è stata una cavolata quella dei Democratici che hanno contestato ai 5 Stelle l’aver usufruito di un “privilegio”. Il giudizio conferito al Senato e alla Camera non è, infatti, concepito a tutela del singolo Ministro, ma dello stesso Potere Esecutivo, che non può essere sottoposto, attraverso il processo, ad una sopraffazione da parte del potere giudiziario.
Totale mancanza di comprensione del senso del voto ha mostrato anche Salvini, che non ha detto una parola sul vero nodo del problema: l’assoggettabilità del suo comportamento, alla giurisdizione ordinaria. Il suo insistere spavaldo sulla sua “innocenza” è anch’essa una mancanza di coscienza della esistenza di limiti e confini tra i poteri dello Stato.
Quanto poi alle varie dichiarazioni di fiducia sull’opera della Magistratura si tratta delle solite, ipocrite e stupide dichiarazioni, con le quali i politici processati, o che temano di poterlo essere, cercano di leccare i magistrati a spese dei cittadini.
Mauro Mellini