
Il titolo di miglior cortometraggio della diciannovesima edizione del festival internazionale di cortometraggi, scelto da una giuria di esperti, se lo è aggiudicato “Ce qui appartient à César “, la fiction di Violette Gitton che affronta il tema della mascolinità tossica e della ricerca di sé
PALERMO – Una storia di crescita e consapevolezza, che affronta il tema della mascolinità e della vulnerabilità segna il trionfo della diciannovesima edizione di SorsiCorti, il festival internazionale di cortometraggi che quest’anno ha animato il Rouge et Noir e il Cre.Zi. Plus ai Cantieri Culturali alla Zisa. Il film vincitore è “Ce qui appartient à César”. La giuria di esperti, formata da Daniela Macaluso, Dario Muratore, Saverio Lo Iacono e la regista armena Ophelia Harutyunyan, ha scelto come miglior film quello della regista francese Violette Gitton, che si aggiudica il Premio come Miglior Corto.
La giuria di esperti ha scelto il film per la sua forza narrativa e per la delicatezza con cui racconta la formazione di un giovane ragazzo di fronte a una realtà dura e dolorosa. “Il film è realizzato in modo eccellente – spiega la giuria – girato, diretto e montato con grande maestria e le interpretazioni dei giovani attori sono straordinarie. La trasformazione di César si svolge in modo sottile e naturale, la sua lotta per proteggere la sorella, nonostante la sua giovane età e la sua incertezza, è profondamente commovente e universale. In un mondo in cui la mascolinità tossica rimane pervasiva, il film si distingue come un ritratto silenzioso ma potente di un bambino che inizia a mettere in discussione le norme prima che sia troppo tardi”.
Premio come miglior corto sperimentale va invece a “Create; survive” di Alex Anna. Un documentario canadese che intreccia autobiografia e testimonianza, costruendo un intenso dialogo tra esperienza personale e collettiva. “L’autrice riesce, con maestria – dicono gli esperti – a costruire un fil rouge dove narrazione autobiografica e testimonianza di un evento reale si intrecciano e si completano anche attraverso un uso, consapevole e ben misurato, di linguaggi audiovisivi più disparati e, apparentemente, distanti tra loro”.
A vincere nella categoria miglior corto d’animazione, invece, è stata la pellicola italiana di Matteo Burani “Playing God”. “Fragili sculture d’argilla, create da un ambizioso scultore – spiega ancora la giuria – prendono vita all’interno di una scura bottega. Desiderano solo essere accettate e amate. La perfezione però non è facile obbiettivo per un artista e così vengono terribilmente scartate. Il film di animazione dello Studio Croma Animation di Bologna, con intelligenza, inquietudine e ottima tecnica, ci racconta in modo spietato la condizione umana, prendendo spunto dal rapporto dell’artista con la sua opera”.
Migliore regia va al film inglese di Simon Woods “Such a lovely day”. Nelle motivazioni si legge che “fin dalle prime immagini comprendiamo che qualcosa di inquietante si cela dietro le risate, gli abbracci dei familiari e le attenzioni che il padre riversa sulla moglie, il giorno del suo compleanno. Eppure le tracce distribuite con incredibile maestria durante il film, sveleranno solo nel finale l’agghiacciante verità. La regia degli elementi, attraverso la bravura degli interpreti, ci conduce per mano nella mente di un bambino, oltre le apparenze borghesi, nel buco nero di un dramma familiare”.
Menzione speciale per la fotografia resta in Italia con il corto “Padre” di Michele Gallone. “Una fotografia in un bianco e nero, dai toni quasi metafisici, che, senza l’uso di alcun effetto speciale, trasforma gli interni e gli esterni di edifici reali, nello scenario di un prossimo futuro distopico” spiegano i giurati.
Menzione speciale per il progetto personale e artistico va a “Dinosaur Man” di Kazuya Ashizawa, un documentario giapponese che narra una storia di resistenza pacifica e amorevole, in cui la storia personale del suo regista viaggia parallela a quella della storia raccontata nel corto. Infine doppia menzione speciale a “The professional parent” di Erik Jasaň, per la tematica sociale affrontata e per la capacità nell’affrontarla di aprire un ventaglio di riflessioni riguardanti un’intera società e a “Campo libero” di Cristina Principe, documentario italiano scelto per la sua azione politica di promozione del baseball per ciechi come disciplina paralimpica e come mezzo di inclusione e trasformazione sociale.