
Ho appena finito di leggere il libro di Giannantoni, “In morte di un maresciallo”, rispetto al quale non avevo chissà quali aspettative. Devo ammettere che mi ero sbagliato.
“In morte di un maresciallo” di Massimiliano Giannantoni è un saggio che indaga sul mistero della morte del maresciallo dei Carabinieri Antonino Lombardo. Un’indagine profonda e avvincente che riporta alla luce verità nascoste, depistaggi e silenzi di Stato.
È un libro che con coraggio affronta il caso del maresciallo Antonino Lombardo, morto non per suicidio, ma senza se e senza ma, per ciò che si presenta: un caso di omicidio.
Ma non soltanto di questo si tratta, offrendo nuovi spunti investigativi e qualche autentica chicca, come quella che potremmo definire la prima vera mancata cattura di Bernardo Provenzano.
La possibile cattura di Provenzano
Si sarebbe potuti arrivare alla cattura di Provenzano grazie a Salvatore Cancemi, che consegnatosi ai Carabinieri rivelò di poterli condurre al nascondiglio del boss latitante, dove si sarebbe recato il giorno seguente insieme ad Aglieri. Un’occasione straordinaria per catturare il padrino. Un’occasione sprecata, uno dei tanti “misteri palermitani”.
Meriti, medaglie e tanta delusione
Dopo la cattura di Riina, nonostante il contributo di Lombardo, determinate a porre fine alla latitanza del boss, iniziò una gara a prendersi il merito dell’arresto. Dal generale Francesco Delfino che se lo attribuiva, a De Caprio (Ultimo), che valutò, successivamente, come ovvie le indicazioni di Lombardo, e che le stesse le insegnava la stessa storia della mafia.
Parafrasando D’Annunzio potremmo dire che per ogni soldato morto ci sono una mezza dozzina di eroi…
Quello strano incontro nel sottotetto della chiesa
Un investigatore, una Hyundai a sei cilindri come quelle in dotazione agli organi dello Stato, il sottotetto di una chiesa arredato come un ufficio di polizia, con le stesse luci, armadi e faldoni…e un uomo. Poi, la ritrattazione della ritrattazione del falso pentito Scarantino.
Chi era quell’uomo?
Le perizie balistiche
Il parere al professor Gianfranco Guccia, perito balistico:
“Io sono una delle pietre d’inciampo in questa storia dove niente è nel posto dove dovrebbe essere. L’elaborato di consulenza fatto trent’anni fa firmato dal capitano Spadaro Tracuzzi è quantomeno maldestro e lascio ad altri fare considerazioni sulla carriera del capitano che è finito poi nelle patrie galere con una sentenza pesante di colpevolezza per concorso esterno alla mafia”.
Tutte le analisi, verifiche e considerazioni che smontano la tesi del suicidio.
La dottoressa Valentina Pierro, criminologa e grafologa forense:
“Chi ha scritto la lettera di addio ha studiato sugli appunti di Lombardo per provare a rendere la scrittura artefatta a quella del sottufficiale. C’è stato anche un tentativo di tenere una coerenza sui segni grafici, quelli più evidenti.”
Le considerazioni dell’anatomopatologo
“Se restiamo nel quadro indiziario ci sono alcune situazioni che vanno ad evidenziare una certa “circoscrizionalità” delle macchie di sangue dallo sparo e dal fatto che ci sia stato un rimbalzo di materiale emato-encefalico che però non si è dipanato su tutta la superficie della vettura. Quell’arma è stata probabilmente impugnata contro forza, cioè impugnata da terza persona…”
Chi sparò a Lombardo era seduto accanto a lui…
La criminalista Katia Sartori
“Di sicuro oggi sappiamo che non si tratta di suicidio, abbiamo trovato dei gravi indizi che ci portano a pensare che il maresciallo Lombardo sia stato ucciso. Dalla notte del presunto suicidio di Lombardo ci siamo resi conto che le persone che hanno fatto le relazioni di servizio contengono informazioni discordanti tra di loro. Abbiamo dei tabulati telefonici che non sono pertinenti con quello detto dai carabinieri.”
Cosa non torna nella narrazione da parte dei carabinieri?
Una delle testimonianze
“Ricordo che disse di aver visto, mentre era fermo con il cane davanti l’autovettura, leggermente spostato da un lato, il capitano De Caprio aprire la portiera dell’auto, e poi vederlo con in mano un biglietto e dire ‘l’hanno ammazzato’. Il biglietto, per come mi fece chiaramente comprendere, era connesso alla scena del ritrovamento del corpo del maresciallo Antonino Lombardo. Per come raccontò l’episodio mi fece comprendere di non aver condiviso il comportamento di De Caprio…”
Questo e tanto altro ancora nel volume di Massimiliano Giannantoni, “In morte di un maresciallo. Antonino Lombardo, tra Stato e Cosa nostra”, che trascende la mera biografia o la cronaca giudiziaria per imporsi come un documento storico di fondamentale importanza per chiunque voglia comprendere le dinamiche complesse e spesso opache della lotta alla mafia in Italia, specialmente nel contesto siciliano.
La lettura di questo testo non può essere affrontata con superficialità. Richiede la massima attenzione poiché l’autore ricostruisce, con meticolosa precisione e un’ampia documentazione (intercettazioni, atti giudiziari, testimonianze), la vicenda umana e professionale del Maresciallo Antonino Lombardo, Comandante del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Palermo, assassinato da Cosa Nostra nel 1995.
Il libro non si limita a celebrare la figura di un eroe caduto, ma si addentra nelle zone grigie e nelle ambiguità che hanno caratterizzato la sua vita e la sua morte. Giannantoni riesce a evidenziare la sottile e pericolosa linea di confine su cui operava Lombardo, un confine dove lo Stato e le sue istituzioni si mescolavano in modo problematico con le logiche del potere criminale. È proprio questa capacità di penetrare le ambivalenze a conferire al testo il suo più grande valore storico.
Lo stile è quello dell’indagine documentata, asciutto e lontano da facili sensazionalismi. La ricchezza delle fonti rende il libro un vero e proprio strumento di studio, più che una semplice lettura. Ogni affermazione è supportata da riferimenti, trasformando il testo in una sorta di dossier aperto che obbliga il lettore a riflettere sulla complessità delle verità storiche, ben oltre le sentenze definitive.
In conclusione, “In morte di un maresciallo” non è un libro da sfogliare, ma un’opera da studiare. Rappresenta una testimonianza essenziale, amara e necessaria, sulle deviazioni e sui sacrifici nella lotta alla criminalità organizzata. La sua lettura attenta è un dovere civico per chi desidera una comprensione non edulcorata della storia italiana recente.
Gian J. Morici
Questo il post di Fabio Lombardo – figlio del maresciallo ucciso – dopo l’uscita del libro che mette a nudo verità scomode per molti: “Sigfrido Ranucci e Massimo Giletti sono stati gli unici ad aver avuto il coraggio di parlare chiaramente in tv dell’omicidio di mio padre, il maresciallo Lombardo. A tutti i giornalisti che mi chiamano per scrivere suicidio, presunto suicidio, presunto omicidio, morte sospetta solo perché hanno paura di andare contro la Procura di Palermo e il ROS di Mori NON PERDETE TEMPO! Con me si deve parlare solo di OMICIDIO. E lo Stato dovrà darmi una risposta chiara e definitiva.“