
Lui, l’assassino (e finiamola di chiamarlo presunto…) ha il truce aspetto di chi ha ucciso con deliberata ferocia un inerme ragazzo.
Ne va tronfiamente fiero.
Tanti, come lui, lo applaudono inondandolo di cuoricini.
Orbene, questa figura lombrosiana non è truce per la sua esteriorità da fondamentalista “jahadista de noantri”, con le catene d’oro finto al collo ed il sottofondo sonoro criminale neo melodico a metà strada tra Mario Merola e Totò Riina.
No, non è questa immagine – che egli ostenta con orgoglio – a farne un essere truce.
Lui è truce perché è feroce, crudele, sinistro, torvo, minaccioso, cupo, spietato, bieco e truculento.
Lui è il male.
Male assoluto o relativo non ha alcuna importanza, perché il dato importante è ciò che lo qualifica come pericoloso nemico.
Nemico di classe sociale.
Ci sono voluti decenni di lotta al terrorismo e poi all’eversione mafiosa per comprendere ciò che era sotto gli occhi di tutti da molto tempo.
Il nemico di classe sociale esiste (allo stesso modo in cui esiste il male che lo guida) ed è quello che consente il perpetuarsi dell’idea violenta del vivere e ne persegue, nella crudeltà, le opere devastanti.
Il braccio armato del diavolo.
E veniamo al punto che fa il titolo di questo articolo e che solleverà le critiche di tanti (troppi) magistrati dall’animo buonista e attenuatore.
Contro il male le regole di ingaggio non possono essere quelle ordinarie, ovvero, per intenderci, quelle che permettono ad un criminale con dieci pagine di precedenti penali di continuare a commettere i suoi sanguinari delitti, magari con un difensore pagato dallo Stato.
No. Non è possibile continuare così, portando al parossismo l’errore visibile – fino ad oggi – nei tribunali di tutta Italia.
Volete una prova di ciò che dico?
Verificate come siano applicate, dai magistrati, gli articoli delle nostre leggi sulla professionalità nel delitto, quello sulla delinquenza per tendenza e – ultimo, ma non per ultimo – quello sulla recidiva nei suoi aspetti di reiterazione aggravata.
Valutate come siano state concesse le attenuanti generiche anche a stragisti impenitenti, sempre con la finzione sociale che il carcere sia “l’extrema ratio” perché al dolore delle vittime deve essere anteposta la necessità della “rieducazione del condannato”.
Ecco, provate ad approfondire il tema e vi troverete dentro il perché di certe condanne miti anche a fronte di delitti gravissimi.
Situazioni paradossali in cui criminali con cinque ergastoli (vedi Giusva Fioravanti) sono liberi senza neppure avere risarcito le loro vittime.
La Giustizia della dimenticanza e dell’oblio aiutati dal cristiano perdono di ogni malefatta.
È ormai giunto il tempo di cambiare le regole d’ingaggio, combattendo i luciferi del male con proporzionati ed adeguati strumenti di risposta.
È, forse, una diversa idea della lotta di classe, ma questa volta dalla parte dello Stato e di una comunità sociale che non può – non deve – avere più paura di contesti criminali sempre più feroci.
Nessuna tolleranza contro il male.
La lotta di classe cominci adesso, prima che sia troppo tardi…
Lorenzo Matassa