di Gian J. Morici

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di Gian J. Morici
Domenica 19 luglio 1992. Un attentato in via D’Amelio uccide il giudice Palo Borsellino e i cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo.
Salvatore Martorana per anni ha lavorato con Paolo Borsellino.
- Nel 1975 mi arruolai nell’Arma dei Carabinieri quale Ausiliario per il servizio di leva di 14 mesi, e dopo la scuola allievi di Campobasso venni trasferito al Battaglione di Palermo. Dopo due mesi, trasferito alla territoriale, alla stazione Palermo Scalo, limitrofa al Policlinico, e la stessa sera impiegato al piantonamento di un detenuto presso l’ospedale Civico. L’indomani pomeriggio, sentii le urla di una donna che era in stato di gravidanza, mentre da un padiglione vidi scendere correndo un giovane che, salito a bordo di una Vespa truccata, fuggiva via. Disarmato, e con la mia auto personale, lo insegui, fin quando non cadde. Ci fu una violenta colluttazione, a termine della quale lo arrestai. Aveva scippato la borsa alla signora che avevo sentito urlare. Sotto la sella della moto, altra refurtiva e una pistola. Il Giornale di Sicilia diede risalto alla notizia del giovane ausiliario che al suo secondo giorno di servizio faceva il suo primo arresto. Il Generale Siragusano, Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, mi convinse a rimanere. Ricevetti il primo Encomio Solenne , e dopo la ferma mi trasferì al Nucleo Investigativo di Palermo presso il quale andai a svolgere servizio; prima alla sezione Antirapina, poi alla Catturandi, e successivamente alla Sezione omicidi, comandata dal compianto Capitano Emanuele Basile. Nel Maggio 1980, Basile, che aveva già assunto il Comando della Compagnia Carabinieri di Monreale, venne ucciso dai killer mafiosi Bonanno, Madonia e Puccio. Venni richiesto poi alla neo costituzione del primo reparto antimafia creato a Palermo, al comando del capitano Angiolo Pellegrini, poi diventato generale.
- Come ha conosciuto il Giudice Borsellino?
- Dopo l’omicidio del Capitano Basile, il Giudice Chinnici, capo dell’Ufficio Istruzione dl Tribunale di Palermo, assegnò il fascicolo al Giudice Istruttore Paolo Borsellino. Le indagini venivano svolte dal Nucleo investigativo, comandato dal Maggiore Subranni. Basile aveva condotto indagini sull’uccisione di Boris Giuliano, scoprendo l’esistenza di traffici di stupefacenti. Apprestandosi a lasciare Palermo, si era premurato di consegnare tutti i risultati a cui era pervenuto a Paolo Borsellino. Subranni distaccò tre uomini per collaborare nelle indagini e per la sicurezza del Giudice Borsellino. Io alla Tutela, l’appuntato La Colla e il brigadiere Di Stefano come scorta ed indagini. Da quel momento conobbi il giudice Borsellino, con il quale maturò empatia, stima, affetto familiare, e cieca fiducia.
- Per quanti anni ha lavorato con Borsellino?

- Materialmente ho lavorato con il Dr. Borsellino dal 1980, dopo l’omicidio del Capitano Basile, al 18 Luglio 1992. Quando vi fu la disputa Falcone-Meli, Il Consiglio Superiore della Magistratura era al centro del dibattito e contro Borsellino e Falcone. La mattina dell’audizione di Borsellino, andammo in aereo a Roma al CSM, e vidi dietro la tenda di velluto rosso il Giudice Geraci che usciva dalla sala audizione e chiamava dal telefono fisso il condirettore Pepi del Giornale di Sicilia, al quale riferiva quello che stava succedendo. Dopo qualche giorno il CSM offrì a Borsellino la possibilità di dirigere le seguenti procure: Minori di Palermo, Procura di Trapani o Marsala. Borsellino scartò subito i Minori, e mi disse : “Salvo vatti a fare un giro per la procura di Trapani e poi quella di Marsala e vedi che genere di ambiente trovi, compreso le Sezioni di P.G.” Dopo qualche giorno consegnai due relazioni. Dopo averle lette, mi disse che quella di Marsala sembrava una Procura svuotata. Lì avevo incontrato solo un certo brigadiere Canale, che avevo visto mentre alzava la voce con i suoi colleghi. Giorni dopo, avvenne la strage di Pizzolungo. Io e Borsellino andammo all’ospedale di Trapani a far visita al Giudice Carlo Palermo. Dopo essersi salutati, il giudice Palermo gli disse che sapeva che Borsellino sarebbe andato a dirigere quella Procura. Ma Borsellino, che non condivideva i metodi di indagini del collega, valutò più attentamente la possibilità di dirigere la Procura di Marsala. Gli feci presente quanto relazionato, ovvero che su Marsala c’erano molte dicerie e persone molto chiacchierate. Mi rispose che aveva letto le mie relazioni, ma che con lui tutti avrebbero dovuto lavorare e cambiare “atteggiamenti”.
- Cosa accadde dopo la strage di Capaci? Si è sempre detto che qualcuno tradì Borsellino…
- Dopo la strage di Capaci, il giudice Borsellino indagò per cercare di capire quale fosse il movente… Il giudice Falcone aveva condotto molte indagini, anche a livello internazionale, e sia lui che Borsellino erano la spina nel fianco di Cosa Nostra. Motivi per eliminarli ce ne erano diversi, e non tutti ascrivibili solo alla mafia. Traffici illegali, indagini su omicidi, riciclaggio… un mix che rappresentava un coacervo di interessi che riguardavano più soggetti, e non soltanto la mafia. Chi tradì Borsellino? Possiamo scartare soltanto la mafia, visto che i mafiosi non erano suoi amici e lui non lo era per loro. Cosa Nostra si comportò in maniera coerente con i suoi interessi e principi… Falcone e Borsellino erano nemici da abbattere… Così non posso dire di altri. C’erano interessi politici, imprenditoriali… ma se dovessi indicare i “traditori”, li individuerei in coloro i quali avrebbero dovuto trovarsi al suo fianco, a partire dagli ambienti giudiziari – e credo anche qualche “divisa” – che certamente non presero parte alle stragi, ma che non si son certo stracciate le vesti… Borsellino era convinto di questo…
- Quando fu l’ultima volta che vide il giudice Borsellino?

- Lo vidi alle ore 12 del 18 Luglio 1992 in Procura, quando uscendo dalla stanza del Procuratore Giammanco, nervoso e preoccupato, dopo che aveva gridato contro il procuratore. Andando via sussurrò a denti stretti che prima bisognava pensare ad arrestare Totò Riina, e che poi l’avrebbe fatta pagare a “quel disgraziato di Giammanco”. Gli chiesi perché parlasse così piano, visto che nei corridoi non c’era nessuno, a parte i ragazzi della scorta. Mi rispose che lì anche i muri avevano orecchie e che non dovevo fidarmi di nessuno. Raggiunta la sua auto blindata, lui da solo alla guida e la scorta dietro, mi disse” Salvo segui i miei ragazzi”. Quella fu l’ultima volta che lo vidi. Oggi sui social molti personaggi vantano rapporti con i due giudici. Sono solo protagonisti della politica, esperti scenografi di libri… di loro non ricordo mai averli visti vicini a Falcone e Borsellino… compreso alcuni appartenenti alle forze di Polizia…
- Di recente si vorrebbe attribuire la strage di via D’Amelio alla sola mafia, con l’unico movente individuato in mafia-appalti…
- Con Borsellino abbiamo svolto tanti lavori riservati insieme, senza che nessuno sapesse… tante esperienze… ignote anche al Comando dei Carabinieri. Mafia-appalti come unico movente, significa volersi liberare da altri fenomeni… una schermata cinematografica… Borsellino non aveva un fascicolo mafia appalti… Di certo si interessò, ma aveva condotto indagini molto più importanti… Cosa Nostra aveva paura per la sua presenza nuovamente a Palermo, che avrebbe riaperto tanti scenari di indagini…
- Giorno 19 si ricorderà la strage…
- Al di fuori della “scenografia” dell’evento, mi piace ricordare l’uomo. Un grande uomo, umile, saggio, uno di famiglia. Un uomo semplice, un lavoratore… voglio anche ricordare quegli uomini innocenti della Polizia di Stato, caduti sotto il piombo della mafia, che per un turno di servizio e non scorta stabile, sono stati sottratti alle loro famiglie. È la morte di tutti loro, da Capaci a Via D’Amelio alle altre stragi, che deve pesare sulle coscienze, non solo di chi li uccisi, ma anche di chi non ne impedì l’uccisione.
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Con le prossime interviste, le indagini, gli arresti di grandi latitanti e il clima che si respirava in quegli anni in una Palermo dove l’unico pensiero coerente, criminale e sanguinario, era quello di Cosa Nostra