Testo e foto di Diego Romeo

Ci avviamo alla metà del 2025 e ormai sembra chiaro che la proiezione di “Eterno visionario” film su Pirandello (tratto da un libro dell’agrigentino Matteo Collura) e la messinscena di questo “Birraio di Preston” tratto dall’omonimo libro di Andrea Camilleri rappresentino il massimo del potenziale che poteva mettere in campo la dannata “capitale della cultura”. Ritenuto da molti il capolavoro di Camilleri ( che invece puntava molto su su “Il re di Girgenti), “Il birraio di Preston” entra con la velocità della luce nel buco nero del meridione (1874), nei sinedri della chiacchiera, nei pomposi circoli culturali dove imperano arroganze chiozzotte, dispute da “secchia rapita”. Un panorama gotico-mafieggiante che cade a fagiolo nella città che ha eletto addetti alla cultura capitale quasi fossero birilli da abbattere e condizionare con soldi pubblici spesi malissimo o addirittura dirottati laddove il vento soffia a favore.
Straordinario questo “birraio” visto al Palacongressi penultima opera di un cartellone 24-25 (direzione artistica di Gaetano Aronica) che ha registrato sera dopo sera quel migliaio di spettatori che la struttura può contenere. Preston è una cittadina del Lancashire e Camilleri prende a prestito l’opera lirica di Luigi Ricci per innescare una carambola di colpi di scena. Una incalzante sceneggiatura-riduzione teatrale alla quale lo stesso Camilleri volle partecipare fino al punto di far sentire la sua voce tonante inframezzata ai siparietti che la “colossale” regia di Giuseppe Di Pasquale (con grandi interpreti impagabili) ha offerto al pubblico plaudente a scena aperta. Per lo spettatore che non ha letto il libro di Camilleri ci soccorre finalmente una compiuta nota di sala dello stesso regista. Una nota molto esplicativa dove Di Pasquale non manca di focalizzare come un’opera lirica ritenuta scadente (Il birraio di Preston) faccia esplodere rancori paesani tra Vigata e Montelusa dove c’è un prefetto intestardito che provoca una sfilza di dimissioni, di pareri rocamboleschi sull’educazione all’arte. Lo sviluppo è intricato ma non si può fare a meno di riandare allo sconcerto sulla condizione di “AG. Capitale della cultura”. Ognuno ci trovi le sue simbologie e analogie ma certamente Camilleri è stato un grande storico-profeta. Mario Monicelli nel 1979 con il suo “Borghese piccolo piccolo” aveva messo una lapide tombale sulla commedia all’italiana, oggi ci ritroviamo con la resurrezione della commedia all’italiana, con un “birraio” tutto siciliano che ci consegna un ebdomadario di come , ieri come oggi, funzionari locali e uomini delle istituzioni vengano inglobati nel sistema di potere di clan e lobby. Una mentalità dominante che disprezza la legalità e ha perso ogni fiducia nello Stato. Un uso spregiudicato di paesane dittature culturali e sanitarie. Una saga paesana, questo “birraio”, che ci ricorda gattopardismi vari, gogoliane anime morte, memorie del sottosuolo e i tanti Smerdiakov che Camilleri si aggiusta e ci tramanda a futura memoria.