di Gian J. Morici

Fino a poco tempo fa era normale uscire di casa, frequentare gli amici, incontrarsi nei luoghi di ritrovo.
L’uso costante di internet – per quelle che erano le necessità quotidiane – ha modificato il nostro stile di vita sia in ambito lavorativo che nella sfera privata.
Senza rendercene conto ci siamo confinati in un isolamento reale, al quale sopperiamo con una moltitudine digitale.
Tutto ciò che prima ci portava a relazionarci con gli altri, lo abbiamo sostituito con il confronto con una moltitudine digitale della quale spesso non conosciamo i volti, le emozioni, i pensieri.
È cambiato persino il modo con il quale ci relazioniamo con le persone a noi più care, con i nostri familiari, con i nostri amici.
Amici? Una volta avremmo detto pochi ma buoni, ma in questo social-time è sufficiente dare un’occhiata alle nostre centinaia o migliaia di friends per rendersi conto di come nella folla virtuale in realtà siamo soli.
Piuttosto che uscire di casa per incontrare un amico, prendere un caffè insieme e scambiare due chiacchiere, ci ritroviamo con il nostro smartphone a inviare un messaggio di buongiorno o chiedere al nostro interlocutore come sta.
Se da un canto i social media ci hanno aiutato a migliorare la comunicazione e a rimanere in contatto con persone vicine e lontane, dall’altro ci hanno portato a un progressivo isolamento, trasformando non soltanto il modo in cui interagiamo con gli altri ma anche il nostro linguaggio.
Diventiamo vittime della nostra necessità di comunicare evitando i contatti diretti.
Il bombardamento di messaggi ai quali siamo quotidianamente sottoposti, fa sì che non ci sentiamo mai soli, mentre in realtà creiamo così la nostra solitudine.
Venuto meno il desiderio di incontrare fisicamente gli altri, abbiamo cercato uno spazio sicuro all’interno del quale rifugiarci.
Uno spazio nel quale anche la voce finisce con il rappresentare un rapporto troppo diretto con l’esterno, obbligandoci inconsapevolmente ad erigere un muro di messaggi, like, emoticon, abbreviazioni, acronimi e acrostici, che riletti attentamente ci fanno rendere conto di come abbiamo mentalizzato i nostri rapporti per paura di quel mondo reale che non vogliamo incontrare.
Alteriamo il senso e la qualità dei nostri rapporti circondandoci di amici con i quali non abbiamo alcun contatto, con i quali non abbiamo mai interagito e i cui profili appaiono sulla nostra pagina come fossero le figurine degli album Panini di una volta.
E se ci manca quella ‘figurina’ che ha il nostro contatto X, non dobbiamo fare altro che chiedergli amicizia per completare il nostro album.
Ma con quanti di questi nostri contatti virtuali abbiamo mai scambiato un messaggio, commentato un post o anche messo un solo like?
Non tutte le ‘figurine’ che collezioniamo sono però uguali, talvolta finiamo con il creare una connessione – rigorosamente digitale – che ci porta a relazionarci in maniera più normale.
Dialoghiamo, ci confrontiamo, chiediamo o diamo consigli, manifestiamo empatia, ma… anche in questo caso si manifesta quel blocco di emozioni e sentimenti che ci porta a ridurre a un tvb quello che una volta sarebbe stato il ‘ti voglio bene’.
Risparmiamo tempo o non vogliamo esporci emotivamente?
Persino le relazioni sentimentali diventano un ‘ta’, che sa tanto della sigla della provincia di Taranto, mentre un abbraccio è un’emoticon di una faccina con il palmo di due manine.
E se ci arrabbiamo, c’è anche la emoticon di un una faccina rotonda, rossa e accigliata.
Realmente il regno virtuale è uno spazio partecipato nel quale condividere momenti e pensieri, approfondendo la connessione emotiva?
Non v’è dubbio che l’era digitale ha ampliato il bacino di incontri al di fuori delle nostre cerchie immediate, ma in che misura tutto ciò che facciamo non è frutto di pensieri e narrazioni elaborate?
In che misura la comunicazione basata sul testo, l’assenza di segnali visivi e verbali, non ci trae in inganno?
Non è difficile prevedere che l’Intelligenza Artificiale ci verrà in aiuto anche nel comunicare con gli altri.
La creazione di un post o di un messaggio è già possibile, si tratta soltanto di programmare un invio, far leggere un messaggio e fare formulare una risposta.
E se anche l’altra parte facesse ricorso all’AI?
In futuro, forse, lasceremo che a interloquire tra di loro siano le intelligenze artificiali, snaturando le nostre conversazioni di ciò che fa parte del nostro essere realmente.
Nelle more può anche accadere che alcuni nostri rapporti digitali si esauriscano per incomprensioni o per mancanza di interessi comuni.
Poco male, il social-time in questo ci viene in aiuto.
Nella social-moltitudine non è difficile abbandonare vecchi contatti per rivolgersi ad altri nuovi assorbendo parte della loro vita, vera o simulata che sia, e aprendosi a nuove relazioni se ne abbiamo voglia, per tornare ad emozionarsi come fosse la prima volta, il tutto al riparo delle nostre mura domestiche.
Fin quando durerà questa nostra vita digitale?
Nella calca di incontri digitali la scoperta di essere soli è dietro l’angolo, fin quando, avendo azzerato i nostri rapporti reali, non ci rimarrà altro da fare che l’invio collettivo – o copia/incolla – di messaggi di buon giorno, buona colazione, buon pranzo, buona merenda, buon tè, buon pomeriggio, buona cena e buona notte, nella speranza che qualcuno ci risponda e che non si tratti di una intelligenza artificiale programmata per farlo.
Benvenuti nella social-moltitudine, nella quale il più delle volte altro non siamo che le ‘figurine’ dell’album di collezionisti che avendo perso ogni contatto con la realtà e con il genere umano, hanno necessità di una solitudine affollata per dare uno scopo alla propria vita arida di emozioni e rapporti reali.
E se non ci va di usare un acronimo la cui lettura sarebbe fin troppo semplice per congedarsi da un amico o da un’amica ‘figurina’, possiamo rivolgerci a un generatore di acrostici che terrà la persona impegnata per un po’ prima di comprenderne il significato e mandarci a quel paese, dando prima a noi il tempo di bloccarla su tutte le piattaforme.
