Abbiamo sempre saputo – lo disse anche la moglie di Paolo Borsellino – che il 19 luglio 1992 l’allora procuratore Giammanco telefonò alle 7 del mattino a Paolo Borsellino per comunicargli che gli aveva dato la delega per interessarsi lui dei processi di mafia riguardanti Palermo.
Una telefonata (che ha sempre indotto a chiedersi perché dopo la strage Giammanco non fosse mai stato sentito) alquanto strana, visto l’orario e l’atteggiamento che il procuratore aveva sempre avuto nei confronti di Borsellino nel non volergli affidare quella delega.
La sorpresa arriva dalla richiesta presentata dalla giornalista Amurri che nel corso della puntata del programma ‘LO STATO DELLE COSE’, condotto da Massimo Giletti (puntata della quale abbiamo in parte già scritto), ha rivelato un fatto inedito.
Giammanco nel 2017 fu sentito da Gabriele Paci e Lia Sava, all’epoca procuratori aggiunti a Caltanissetta, e smentì di aver telefonato quella mattina al giudice Borsellino.
La Amurri ha chiesto copia del verbale a Caltanissetta, ottenendo in risposta che il verbale è coperto da segreto perché depositato in un procedimento tutt’ora in corso, probabilmente, dunque, il procedimento sui mandanti esterni.
Giletti mostra un altro documento da poco desecretato, la prova che il 18 luglio 1992, il giorno prima della strage di via D’Amelio, Borsellino aveva prelevato dall’archivio del tribunale di Palermo un fascicolo riguardante l’omicidio dell’imprenditore Luigi Ranieri.
Una vicenda attribuita all’interesse di Borsellino per il dossier Mafia/Appalti, l’indagine condotta dal Ros del generale Mario Mori, a cui si attribuisce l’accelerazione delle stragi del ’92.
Anche questo un fatto inedito che verrebbe svelato durante il programma, ma che in verità era probabilmente noto ad alcuni, visto che prima che la trasmissione terminasse la parte riguardante la storia di Borsellino, veniva già pubblicato un lungo articolo con riferimenti a ricerche effettuate su altri giornali che riportavano all’epoca le notizie sull’uccisione dell’imprenditore.
Un articolo che avrebbe richiesto tempo e che invece quasi nell’immediatezza della notizia veniva pubblicato, ripreso su una pagina Facebook e altrettanto immediatamente ‘piacciato’ (‘mi piace’) dalla presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo.
Poi l’attesa intervista al senatore (ex magistrato) Roberto Scarpinato in merito alle indiscrezioni – pubblicate da La Verità – sui colloqui intercettati tra lo stesso e l’ex pm Gioacchino Natoli, indagato per l’ipotesi di aver favorito ‘Cosa nostra’.
Intercettazioni che – seppur inutilizzabili in sede giudiziaria visto l’attuale ruolo di Scarpinato – non v’è dubbio che dovrebbero indurre seriamente a riflettere senza lasciarsi andare a tifoserie da stadio.
Ovviamente chi sta dalla parte della maggioranza di governo, e chi deve – costi quel che costi – perorare la teoria che fu solo la mafia ad agire nel ’92, a causa dell’indagine condotta dai Ros (mafia/appalti), ha immediatamente urlato al “conflitto di interesse”.
Un conflitto d’interesse che se in realtà lo guardassimo sul piano politico dovrebbe portare un po’ tutti ad astenersi dal trattare l’argomento.
Non si può infatti dimenticare che proprio sulle stragi c’è stata – e c’è tutt’ora – l’attenzione della magistratura rispetto il fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri (il cui numero di procedimenti giudiziari a suo carico potrebbe riempire gli scaffali di una biblioteca), condannato in via definitiva a 7 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
Così come a sei anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, e attualmente detenuto, è l’ex senatore Antonio D’Alì.
Sono gli stessi compagni di partito di soggetti condannati per mafia, rispetto i quali non hanno preso le distanze, i più titolati a sedere in commissione Antimafia?
Certamente le intercettazioni di Scarpinato e Natoli (che vista la presenza di un parlamentare andavano immediatamente interrotte; che non potrebbero neppure essere rese pubbliche – ma il quotidiano che le ha pubblicate certamente ne è venuto in possesso) se veritiere sono gravi, ma debbono anche portare a porsi qualche domanda.
Perché la procura ha ritenuto di dover inviare alla commissione Antimafia intercettazioni dalle quali non si evince alcun reato (se così non fosse forse sarebbe ancor più grave)?
Perché trasmettere quelle intercettazioni non ostensibili e in merito alle quali anche la commissione dovrebbe mantenere il segreto?
Perché far pervenire intercettazioni di colloqui dai quali – secondo quanto riportato da La Verità – si evincerebbero apprezzamenti del tutto personali su taluni soggetti (figli di Paolo Borsellino e avvocato Fabio Trizzino) che non possono essere oggetto d’indagine della commissione adita ma neppure della procura?
È chiaro che il problema è di natura politica, e come ben sappiamo la politica è composta da schieramenti le cui valutazioni sono funzionali ai consensi verso questo o quel partito e non sempre al rispetto della realtà dei fatti.
Mi chiedo se sia anche giusto nei riguardi di chi per questo paese ha dato la propria vita, ritrovare la propria memoria centrifugata in quella che è una battaglia politica, così come qualcuno la definì allorquando decise di farla propria aderendo a un progetto rispetto al quale la verità non può che essere avulsa.
E se è politica – così come lo è –, diventa normale la divisione, una divisione che non può che allontanarci dalla verità.
Uno scontro tra guelfi e ghibellini, tra “trattativisti” (i fautori della trattativa Stato/mafia) e “mafioappaltisti” (coloro i quali vedono, o devono vedere, soltanto nel dossier mafia/appalti la motivazione del compimento delle Stragi di Capaci e via D’Amelio).
Per “mafioappatisti” esiste un’unica verità: fu la mafia e le ragioni furono gli appalti.
Esclusa qualsiasi altra ipotesi, come il coinvolgimento di soggetti istituzionali, una possibile matrice anche politica, quello di strutture che dovrebbero essere dedite alla sicurezza dello Stato.
Accantonata la pista politica e quella trattativistica poiché esistono e sentenze e che di conseguenza non devono neppure essere prese in considerazione, rimane solo mafia/appalti (non c’erano sentenze?) e per i “mafioappatisti” solo il pensare che potè essere una concausa e non l’unica causa, sarebbe una bestemmia meritevole di scomunica.
Da queste parti, siamo certi che il buon Dio vorrà perdonarci questo grave peccato.
A differenza di quanto sostenuto da Scarpinato (Cosa c’entra mafia/appalti che nemmeno risulta tra le carte sequestrate?) abbiamo da sempre ritenuto che mafia/appalti fu una delle concause delle stragi, ma certamente non l’unica.
Per fare un esempio, è stata la giornalista Amurri nel corso del programma ad affermare che Falcone voleva indagare sulla Gladio.
Cosa c’entra la Gladio che secondo i “mafioappaltisti” non rientrava tra gli interessi di Falcone?
La Amurri, seppur non spendendo poi neppure un’altra mezza parola, nello stigmatizzare la figura dell’allora procuratore Giammanco non a caso cita l’interesse di Falcone per Gladio.
Il connubio tra parte degli apparati di sicurezza e manovalanza utilizzata per le stragi, lo si vorrebbe far rientrare tra e teorie complottiste da terrapiattisti.
Ma non è così.
Non esistono “servizi deviati”, ma non v’è dubbio che qualsiasi apparato, organizzazione, istituzione o altro, è composta da uomini.
Gladio non rientrò solo tra e attenzioni dell’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, a capo del Cesis, il quale riteneva che dietro alla Falange armata si celassero alcuni uomini appartenenti a Gladio, ma anche tra gli appunti che Falcone diede a Liana Milella, pubblicati da “Il Sole 24 Ore”, il 24 giugno 1992:
- “Si è rifiutato (Giammanco ndr)di telefonare a Giudiceandrea (Roma) per la Gladio, prendendo pretesto dal fatto che il procedimento ancora non era stato assegnato ad alcun sostituto (7 dicembre 1990)”;
- 18.12.1990 – Dopo che, ieri pomeriggio, si è deciso di riunire i processi Reina, Mattarella e La Torre, stamattina gli ho ricordato che vi è l’istanza della parte civile nel processo La Torre (PCI) di svolgere indagini sulla Gladio. Ho suggerito, quindi, di richiedere al G.I. di compiere noi le indagini in questione, incompatibili col vecchio rito, acquisendo copia dell’istanza in questione. Invece, sia egli sia Pignatone insistono per richiedere al GI soltanto la riunione riservandosi di adottare una decisione soltanto in sede di requisitoria finale. Un modo come un altro per prendere tempo;
- – 19.12.1990. Altra riunione con lui, con Sciacchitano e con Pignatone. Insistono nella tesi di rinviare tutto alla requisitoria finale e, nonostante io mi opponga, egli sollecita Pignatone a firmare la richiesta di riunione dei processi nei termini di cui sopra;
- – 19.12.1990. Non ha più telefonato a Giudiceandrea e così viene meno la possibilità di incontrare i colleghi romani che si occupano della Gladio.
Appunti di Falcone sacri come la Bibbia, ma non sempre…
Massimo Brutti, ex presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti:
- Io predisposi alcune interrogazioni parlamentari che nascevano, in gran parte, dalle note di Giovanni Falcone… Giammanco non gli aveva consentito, come risulta dalle sue note, di occuparsi del filone di indagine che riguardava la struttura Gladio, una struttura che si può definire clandestina all’interno del SISMI e che aveva una propaggine in Sicilia costituita dal Centro Scorpione, ubicato presso Trapani, e Falcone era interessato alle indagini che si stavano svolgendo, per iniziativa della magistratura, romana sull’attività di questa struttura…(…) Una struttura del SISMI che, in alcuni momenti nella storia della Repubblica, è stata volutamente celata anche ai Presidenti del Consiglio, non può considerarsi una struttura normale nell’ambito dei servizi d’intelligence. (…) In quell’estate del 1988 si faceva con insistenza il nome di Falcone per il ruolo di Alto Commissario per la lotta alla mafia. Naturalmente Falcone non fu nominato… Fu nominato invece Sica e dal vertice del SISMI arrivò un’istruzione al Centro Scorpione che diceva: «Mettetevi a disposizione dell’Alto Commissario Sica». (…)”
In che misura si può dire che Falcone non si interessava a Gladio?
Tanto quanto a Borsellino non interessava mafia/appalti?
O secondo le circostanze e i desiderata di taluni personaggi la bilancia la si fa pendere da un lato?
Il procuratore Giammanco, colui che ostacolò Falcone e Borsellino per mafia/appalti, non è lo stesso magistrato che impedì a Falcone di condurre le indagini su Gladio?
Chissà perché la Amurri non ha approfondito questo aspetto e Giletti, interessatissimo ai contenuti della trasmissione (mafia/appalti e magistrati), non ha posto alcuna domanda.
Gian J. Morici