La legge finanziaria 2024 chiude un anno di falsi slogan, finte emergenze e promesse roboanti non mantenute da parte del governo Meloni, mentre l’economia ormai a crescita zero si avvia verso la recessione, con i licenziamenti si susseguono, i salari falcidiati e il debito pubblico che ha toccato il record di 3 mila miliardi gravando come un macigno sui lavoratori e le masse popolari.
La sfrenata demagogia sociale è un elemento caratteristico del governo di estrema destra, che prosegue in maniera ancora più brutale e autoritaria l’offensiva politica ed economica delle classi possidenti, portata avanti dai precedenti governi borghesi.
Nella sostanza si tratta di una finanziaria apertamente di classe, borghese. Su 24 miliardi si importo solo 8 sono finanziati da “maggiori entrate”, in parte racimolate dalla riduzione di voci di spesa sociale (p. es. ex reddito cittadinanza e disabilità, pensioni). Patrimoni, redditi e profitti dei capitalisti e delle società non vengono neanche sfiorati, ma tutelati. Così prosegue lo spostamento della ricchezza dal proletariato e dai lavoratori poveri in generale verso i capitalisti, le banche, le assicurazioni, i ricchi. L’abortito tentativo di tassare i superprofitti finanziari, dimostra dove risiede il potere reale, e di come questo governo borghese, al pari degli altri, ne esprima gli interessi.
Pensioni
Dopo una disputa interna al governo, la preannunciata quota 104 di uscita è tornata all’attuale quota 103, con assegno pesantemente decurtato a causa della trasformazione in contributivo di tutta l’anzianità lavorativa (comunque inferiore a 2300 euro). A ciò si aggiunge l’ampliamento a 7 mesi nel privato e a 9 nel pubblico delle finestre di uscita. L’assegno in generale è ridotto per la ridefinizione verso il basso dei coefficienti contributivi per il periodo tra l’età di uscita e i 67 anni della Fornero. Tale riduzione sarà progressivamente estesa a tutto il periodo contributivo.
Vengono anche ridotte al lumicino APE sociale e opzione donna. Per la prima, l’uscita a 63 anni è aumentata di 5 mesi purché l’importo sia inferiore a 1500 euro; la seconda è usufruibile a 61 anni anziché 60.
Come se non bastasse, il governo fa cassa sulle pensioni di settori di pubblici dipendenti (700 mila lavoratori in gestione ex-Inpdap per ora, ma si sa che l’appetito viene mangiando), tagliandole per con la revisione delle aliquote di rendimento previdenziali. Il taglio sarà di oltre 6500 euro annui per retribuzioni da 30 mila euro lorde. In complesso, un furto da 2 miliardi di euro l’anno!
Per i giovani lavoratori si prefigura una prospettiva terrificante: andranno in pensione a 71 anni mentre l’aspettativa di vita si abbassa. I pensionamenti anticipati saranno al momento possibili ancora a 67 anni solo se l’importo dell’assegno sarà pari alla pensione sociale. Con ciò il governo ha dato un preciso segnale di affidabilità all’oligarchia finanziaria che vuole distruggere l’intera esistenza degli sfruttati!
Sanità
Vengono sbandierati dal governo 3 miliardi in aggiunta al bilancio precedente, di cui 2,4 per pagare straordinari al personale e 0,4 per ridurre (o piuttosto non allungare?) le infinite liste d’attesa.
A fronte di una spesa del 2023 per 136 miliardi perfino il Cottarelli (non certo amico dei proletari) sostiene che, di fronte all’inflazione reale, a bocce ferme, i miliardi in più da stanziare dovrebbero essere almeno 9, per cui in realtà siamo di fronte ad un taglio di almeno 6 miliardi. Ciò collima con il peso percentuale previsto in drastico declino sul PIL dal 6,9% del 2022 al (se l’andazzo non cambia) al 6,1% del 2026. Nessun piano straordinario di assunzioni. Per raggiungere una spesa pari alla media europea andrebbero stanziati 27 miliardi in più. Case ed ospedali di comunità vengono de-finanziate del 31 e 24 % in meno rispettivamente. Altro che “spenderemo meglio”: sempre meno sanità pubblica e più sanita privata, sempre più proletari che non potranno curarsi!
Pubblici dipendenti
Anche considerando il risicato stanziamento di 7 miliardi (di cui 2 per il rinnovo del contratto della sanità) con l’inflazione media prevista nel 2023 da lorsignori al 5,7 % di miliardi ne servirebbero almeno 10. E per recuperare l’anno precedente? E per recuperare quella reale? Il risultato sarà una perdita salariale secca e un’indicazione politica ai padroni di tutte le categorie: meno salari, più profitti.
Taglio cuneo fiscale
La decontribuzione viene confermata per il 2024 con la “roboante” cifra di 10 miliardi non stanziata ex-novo, ma solo riconfermata. In busta paga verranno netti una decina di euro, soprattutto a discapito della spesa pensionistica, sanitaria e sociale in genere. L’ingiustizia fiscale proseguirà inalterata, con la massa dei lavoratori che continueranno a pagare la maggior parte delle tasse e delle imposte, mentre si manterranno gli scandalosi privilegi e l’evasione fiscale di una minoranza di sfruttatori e di parassiti.
Inoltre…
Ai 4 milioni di non autosufficienti per cui servirebbe un maggiore stanziamento di 1,4 miliardi di euro ne vengono invece sottratti 350 milioni.
Nulla per l’emergenza abitativa e per il diritto allo studio.
Nulla per 1,7 milioni di giovani che ufficialmente non studiano né lavorano.
Viene invece ampliata a redditi fino ad 85.000 euro la flat-tax al 15% per gli autonomi.
Viene ribadito il taglio da 4 a 3 aliquote per i redditi da lavoro dipendente verso la flat-tax. I primi due scaglioni sono infatti accorpati in un unico al 23 % (ben sopra il 15 % degli autonomi). Queste misure fiscali lasciano capire che il governo cerca di mantenere le sue basi sociali in quella parte delle classi medie confuse e senza via di uscita, che cercano di salvarsi dalla crisi che le attanaglia attraverso il compromesso con il capitale e la burocrazia statale.
La risposta da mettere in campo
È chiaro che di fronte ad una finanziaria di classe di un governo ultrareazionario, che diminuisce i salari, taglia i servizi sociali, le pensioni, i diritti dei lavoratori, dei giovani, delle donne, che farà crescere la povertà e la precarietà, assieme all’aumento delle spese belliche che arriveranno al 2% del Pil, le classi sfruttate e oppresse, in testa il proletariato, non hanno altra scelta se non imboccare la via della mobilitazione e della lotta.
Di fronte a una manovra di classe, la risposta deve essere la lotta di classe!
La mobilitazione fino allo sciopero generale è perciò necessaria. Ma i capi dei sindacati confederali, ridicolmente consultati a decisioni già prese, se da un lato sono obbligati a fare qualcosa per non essere scavalcati dalla protesta operaia, dall’altro operano per ritardare e separare la risposta dei lavoratori, le cui esigenze si accrescono. Lo sciopero spezzettato a livello regionale in 5 scadenze diverse ne è un esempio, specie in un momento in cui il governo vuole approvare l’autonomia regionale differenziata. Costoro non hanno nessuna volontà di creare l’unità di azione dei proletari, che vogliono invece dividere perché temono il loro malcontento e la loro mobilitazione unitaria. Non hanno nessuna intenzione di bloccare il paese e di dare alle masse lavoratrici un’indicazione precisa per far cadere il governo di estrema destra con le fabbriche vuote e le piazze piene.
Eppure questo è necessario, tanto più sapendo che il potere del governo Meloni è instabile poiché non poggia sulla maggioranza della popolazione ed è scosso da contraddizioni interne ed internazionali.
Uno sciopero “tanto per fare” con l’obiettivo inconcludente di pretendere di ”cambiare la manovra” (quando è ormai definita), o di restituire la parola ad uno screditato parlamento dove tutti i partiti sono frazioni della classe dominante, è un modo di gestire la protesta depotenziandola e lasciando ad intendere, ancora una volta, che non si può fare nulla. Si tratta della riproposizione della gabbia riformista che da decenni contiene il proletariato, a tutto vantaggio della reazione.
L’attacco capitalistici si va intensificando su tutti i fronti. La sola via di uscita positiva in questa situazione sta nello sviluppo della lotta e dell’organizzazione proletaria, nella formazione di un forte e unito movimento operaio e popolare sulla base di rivendicazioni comini, che si scontri con il capitale, i suoi comitati di affari come il governo Meloni, e i suoi servi. Per dare forza e unità alla lotta operaia e popolare è sempre più necessaria la formazione di comitati di lotta unitari, di consigli e coordinamenti, come organismi di fronte unico dal basso.
Sarà questa la lotta in cui si chiarirà di nuovo la necessità della rottura rivoluzionaria con un sistema moribondo, per costruire la società socialista.
È perciò fondamentale che i comunisti e gli operai avanzati rimangano a contatto delle masse, in ogni protesta, in ogni sciopero di massa, con l’intento di sviluppare la coscienza di classe e favorire l’esplosione della protesta operaia e popolare, lavorando allo stesso tempo per unirsi e organizzarsi in partito indipendente e rivoluzionario del proletariato.
31 ottobre 2023
Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia