Verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, nel leggere che l’arresto di Matteo Messina Denaro lo si deve in buona parte a “Fragolone”.
Chi è Fragolone?
Fragolone è il nickname dato dall’allora latitante alla sorella, Rosalia Messina Denaro, usato “ogni qualvolta doveva trasmettere veri e propri ordini mafiosi alla donna, di talché impedire che, se rinvenuti, i ‘pizzini’ svelassero il delicatissimo ruolo associativo da ella svolto”.
Un sistema di comunicazione che l’ex primula rossa di Castelvetrano adoperava da decenni per la sua corrispondenza, tant’è che l’odierna ordinanza di custodia cautelare di Rosalia Messina Denaro riporta le indicazioni date nel primo pizzino inviato nel 2004 ad Antonio Vaccarino (entrato in contatto con il latitante nel corso di un’operazione congegnata con il Sisde di Mori, volta alla cattura del latitante), con il quale gli spiegava le modalità della loro futura corrispondenza, dando allo stesso Vaccarino il nome di Svetonio.
A commettere l’errore di conservare un pizzino che porterà gli investigatori sulle tracce di Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato la propria identità al latitante, sarebbe stata proprio la sorella del boss che “ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei pizzini ricevuti dal fratello o comunque, ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e occultati nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara”.
In particolare, quello dal quale si evincevano le visite, le operazioni, i riferimenti alle patologie delle quali soffre il fratello, e che hanno portato al suo arresto a seguito di un’accurata e meticolosa indagine.
Con l’arresto di Rosalia-Fragolone si chiude il capitolo dei complotti che riguardano la cattura del latitante, mandando a puttane le ricostruzioni di alcuni giornalisti, le storie di gelatai, di collaboratori, magistrati ed ex tali, che almeno per questa volta non potranno portare avanti per anni ricostruzioni fantasiose utili solo ad allontanarci dalla verità.
Le visioni terrapiattistiche si sono scontrate con una realtà fatta di uomini in divisa che hanno lavorato alacremente per la cattura del boss, mettendo sotto la lente la sorella Rosalia, il cui ruolo, così come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare, è stato tutt’altro che secondario nel favorire la latitanza del fratello, nel mantenere la “cassa” provvedendo alle necessità dell’allora latitante e nell’amministrare il denaro provvedendo alle esigenze che si manifestavano di volta in volta all’interno della consorteria mafiosa.
Più volte nell’ordinanza viene citato Antonio Vaccarino e la corrispondenza intrattenuta con lo pseudonimo di Svetonio con Alessio.
Un dato di non poco conto, visto come alcuni programmi televisivi avevano ricostruito la storia intervistando fantomatici personaggi che parlavano di qualche carabiniere, nella veste di “scriba”, che scriveva – non si sa perché e per conto di chi – pizzini che arrivavano poi al Sisde di Mori e De Donno.
Programmi nei quali viene taciuto il ruolo che ebbe l’ex sindaco di Castelvetrano nella cattura e nella condanna di uomini di primo piano di “cosa nostra” vicini all’allora latitante, sminuendo così l’attività condotta dal Sisde nel tentativo di catturare il boss.
Eppure sarebbe sufficiente leggere la sentenza n° 940/2011 emanata il 4 Novembre 2011, che vedeva imputati Messina Denaro Matteo, Messina Denaro Salvatore, Arimondi Maurizio, Cangemi Calogero, Catalanotto Lorenzo, Catania Tonino, Craparotta Andrea, Filardo Giovanni, Ippolito Leonardo, Marotta Antonino, Panicola Vincenzo e Risalvato Giovanni, per rendersi conto di come tutt’altro che di secondaria importanza fu il contributo di Vaccarino.
“Con l’evidenza delle cose – scrive il giudice in sentenza -, il contatto tra il Vaccarino ed il Messina Denaro era stato reale ed importante ed il ‘tradimento’ non solo aveva posto in pericolo la latitanza del ‘Numero Uno’ di ‘Cosa Nostra’, ma gli stessi vitali interessi dell’organizzazione tanto da meritare di essere punito con la più severa tra le pene, estesa all’intera famiglia…” – facendo riferimento all’ultima lettera del latitante, che avendo scoperto il ruolo di Vaccarino così concludeva la sua missiva:
“Non ha neanche da sperare in una mia prematura scomparsa o nel mio arresto, perché qualora accadesse una di queste ipotesi, per lei nulla cambierebbe, in quanto la sua illustre persona fa già parte del mio testamento, ed in mia mancanza verrà sempre qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti, comunque vada lei o chi per lei pagherà questa cambiale che ha forsennatamente firmato. Lei è un essere snaturato che non ha voluto bene neanche alla sua famiglia, si vergogni di esistere”.
Un capitolo a parte meriterebbe l’indagine condotta per individuare il “Vac” o “Vc” indicato nei pizzini trovati a Bennardo Provenzano in occasione dell’arresto avvenuto l’11 aprile 2006.
Al fatto che il diminutivo “Vac” o “Vc” era riconducibile a Vaccarino Antonio, si arriverà quasi due mesi dopo.
Un’indagine apparentemente lampo, se non fosse che proprio Vaccarino ha sempre affermato di aver scritto una lettera raccomandata a Piero Grasso, all’epoca procuratore nazionale antimafia, il 7 aprile del 2006 (giorni prima dell’arresto di Provenzano), portandolo a conoscenza dell’operazione del Sisde e del suo ruolo di infiltrato.
Grasso ha sempre sostenuto di non sapere nulla, eppure di quella raccomandata esiste la ricevuta di ritorno.
Serviva dunque così tanto acume investigativo per capire chi fosse il “Vac” o “Vc” dei pizzini trovati a Provenzano?
Passerà ancora un anno, prima che Vaccarino venga interrogato dagli allora pm Pignatone e Scarpinato.
Un interrogatorio condotto nel marzo del 2007, nel corso del quale, tra le tante altre cose, veniva fuori il nome di Alfonso Tumbarello, il medico di Campobello di Mazara che avrebbe curato per anni Matteo Messina Denaro durante la latitanza, arrestato dopo la cattura del boss.
Ma il dato più interessante nasce dal confronto dei pizzini inviati da Matteo Messina Denaro alla sorella, con quelli inviati da Alessio a Svetonio.
Confrontando la grafia di entrambi, sembra trovarsi la conferma che era il latitante – e non il carabiniere-banchiere e scrivano – l’autore di quegli scritti.
Infatti, oltre alla grafia, che appare identica, tanto i pizzini inviati alla sorella, quanto quelli a Svetonio, hanno un segno distintivo che a colpo d’occhio li individua come scritti dalla stessa mano.
In entrambi i pizzini, il “che” è scritto con le prime due lettere in corsivo e con la vocale in stampatello, senza considerare la “c” allungata e collegata alla “h” allo stesso modo:
Con buona pace dei terrapiattisti di ogni sorta, autentiche starlet di programmi televisivi adusi a mostrare intrighi e complotti ad ogni piè sospinto, se i pizzini inviati a Svetonio-Vaccarino dovessero risultare scritti dall’allora latitante (per avere questa certezza sarà però necessario aspettare conferme ufficiali) dovremmo chiederci a cosa si sarebbe potuti arrivare se non ci fosse stata quell’improvvida operazione – data anche alla stampa – che “bruciava” il sindaco 007, che per conto del Sisde era entrato in contatto con Matteo Messina Denaro.
Era necessario “bruciare” così la figura dell’infiltrato Svetonio?
Gian J. Morici