Premessa…
Il principio di identità ebraica è un lungo e complesso discorso teologico e filosofico e l’ebraismo è ancora poco capito ed integrato da chi non lo è e talvolta anche da chi è ebreo ma per ragioni, anche politiche, non integra le basi di questo popolo divenuto cosmopolita suo malgrado. Ebrei praticanti, più o meno praticanti, atei, ebrei che non sanno di esserlo e lo scoprono tra vecchie carte. Molti di questi si mettono alla ricerca delle proprie radici.
Nel mondo esistono ancora famiglie che portano le cicatrici delle famigerate leggi razziali del ‘38 per non parlare dell’Olocausto. Famosa e vera la frase di Golda Meir: “Un ebreo non può permettersi di essere pessimista”. Eppure…
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La Francia esempio di laicità dalla Legge 1904, con la rottura del concordato con il Vaticano, supportata dall’Art. 1 della Costituzione del 4 ottobre 1958 che, pur evidenziando la laicità dello Stato, garantisce la libertà di culto.
L’Italia è divenuta Stato laico nel 1948 con l’Art. 3 della Costituzione e definitivamente nel 1984 con la revisione dei Patti Lateranensi, pur sempre garantendo la libertà di culto.
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Ed eccoci a Catania ed all’Ucei – l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Riprendo l’esempio della Francia per quanto riguarda l’ebraismo con l’esistenza del Crif ossia il Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche francesi, nato clandestinamente a Ginevra nel 1943, poi ufficializzato nel 1944 dalla Resistenza ebraica contro il Governo di Vichy. L’istituzione ha anche vocazione internazionale, ovviamente combatte l’antisemitismo con il dialogo.
Prima del Crif, nel 1808, Napoleone I, creò il Concistoro centrale israelita di Francia al fine di definire i principi del culto israelita al pari della religione cattolica e protestante. Il Concistoro nomina il Gran Rabbino di Francia. I primi due furono italiani.
Torniamo al Crif. L’iscrizione non è obbligatoria. L’ente conta diverse Istituzioni ebraiche che sono libere di aderire così come possono fare i privati. Si evita in tal modo di cadere nel comunitarismo centralizzato.
La presenza ebraica in Francia è importante ed influente nonostante l’aumento, negli ultimi anni, delle aggressioni criminali nei confronti di ebrei.
In Italia regna l’UCEI o “Unione delle Comunità Ebraiche Italiane”, l’ente rappresentativo della minoranza più antica del Paese”. L’estensione dei poteri dell’Ucei sta diventando più nebulosa dalla questione di Catania che, da buona notizia, sta diventando un caso suo malgrado con la riapertura di una Sinagoga il 28 ottobre 2022, dopo 530 anni di vuoto. L’inaugurazione della Sinagoga, luogo di studio, preghiera e dialogo è avvenuta al Castello di Leucatia, alla presenza di Rabbini di fama riconosciuta.
La nuova Sinagoga ha ripreso il nome di quella antica: “Schola degli ebrei di Catania“. E se tutto procede come deve verrà insediato anche un Bet Din, il Tribunale rabbinico.
Prova eclatante del riconoscimento internazionale: l’arrivo del Sefer Torah – i rotoli su cui viene trascritta la Torah – portato nientemeno che da Washington.
Riguardo ai rabbini che hanno appoggiato e lodato la rinascita ebraica catanese, mi limito a citare Rav Haïm Amsalem, senza far torto a nessuno. Amsalem, rabbino e uomo di grande spessore, nato nel 1959 in Algeria, passato dalla Francia; trasferitosi in Israele ha criticato senza timore alcuno il Grande rabbinato per l’annullamento di molte conversioni, annullamenti che non avrebbero avuto alcun fondamento nella Halakhah – la legge ebraica religiosa – ha criticato il proprio partito alla Knesset, lo Shass, ed è per un ebraismo equilibrato in una società equilibrata. Chi può negare principi come questi che non possono che portare alla giusta integrazione tra teologia, filosofia e la vita odierna?
In passato Catania aveva già due Sinagoghe sopravvissute alla cacciata degli ebrei del 1492, intimata dalla Spagna dai monarchi Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona ed estesa ad altri possedimenti, Sicilia compresa, tramite l’editto di Granada che prevedeva anche la conversione degli ebrei al cattolicesimo.
Le due sinagoghe furono poi spazzate via dalla lava dell’Etna e dal terremoto, assieme al quartiere ebraico, reciprocamente nel 1669 e nel 1693.
La storia degli ebrei in Sicilia è estremamente ricca ed antica e diverse città contavano la loro presenza da Palermo ad Agrigento, da Siracusa a Catania, Sciacca, Modica… ed ancora… nel XV secolo si contavano almeno 25.000 presenze ma il primo nucleo ebraico risale al IV secolo.
Catania ha tutti i requisiti storici ed una presenza ebraica che la rendono degna di possedere una Sinagoga.
Si tratta inoltre di un atto di pace e di interreligiosità, dato che la città conta anche due Moschee, oltre alle chiese cattoliche. In un periodo di tensioni sociali ma anche religiose come quello attuale, una triangolazione come questa non può che essere di buon auspicio!
Lo Stato italiano, tramite il Presidente Mattarella ed il neopresidente del Senato La Russa, hanno dato il proprio assenso all’inaugurazione.
Il rabbino capo della Sinagoga è Gilberto Venturas, nato in Brasile da madre polacca e padre egiziano, discendente di Moses Zeev Pintchowsky, uno dei fondatori di una delle sinagoghe ashkenazite più antiche del Brasile.
L’insensato attacco
Tuttavia, l’Ucei continua a contestare la comunità catanese perché “non avrebbe mai presentato alcuna richiesta di costituzione”. Con tutta la Storia, con la “S” maiuscola che gli ebrei insulari dovettero abbandonare al momento della cacciata spagnola, come si può negare loro di riappropriarsi delle proprie radici?
L’Ucei rappresenta attualmente 21 comunità sino a Napoli e non oltre. Cosa dovrebbero fare gli ebrei siciliani osservanti ma anche non? Dei pellegrinaggi fino a Napoli?
Eppure, Catania, dal 2009, è l’unica città che pur non avendo una sinagoga, ha ricevuto da questo stesso ente il permesso di accensione del candelabro durante la Hanukkah. Contestare ora la Sinagoga è quindi una contraddizione.
Altra contraddizione: la comunità di Catania, pur non esprimendo mai alcun disappunto verso l’Ucei, non ha presentato e non ritiene opportuno richiedere adesione a quest’ultima né ha mai millantato tale appartenenza. Si ritiene indipendente, tiene ad avere la propria comunità e non recarsi a Napoli. Nonostante il passato ebraico della Sicilia, c’è chi ritiene l’apertura della Sinagoga “un falso storico”.
L’ARI – Assemblea Rabbini d’Italia – e l’Ucei, si scagliano contro la Comunità di Catania, non riconoscendola ma anche accusandola di “trarre in inganno le istituzioni locali ed illudendo credenti e simpatizzanti di aderire a riti tradizionali religiosi” nonché “senza alcuna autorizzazione da parte del Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Napoli competente per circoscrizione”. Addirittura, esprimono illazioni citando “conversioni ingannevoli, discutibili, affrettate e illusorie”. Alla lettura di queste dichiarazioni sembra di trovarsi davanti ad anatemi inquisitori praticamente medioevali che nulla hanno a che vedere con l’ebraismo.
Peccato per queste due istituzioni che il Presidente della Comunità di Catania sia nientemeno che l’Avvocato Baruch Triolo, figura di spicco che ha fornito anche le spiegazioni legali in merito alla costituzione della Comunità e la riapertura della Sinagoga.
Estratto dal parere giuridico:
“Riferisce la sentenza della Corte regolatrice, che il dettato del Regio Decreto-legge 30 ottobre 1930 n. 1731, dà luogo ad attribuzione di personalità giuridica di diritto pubblico alle Comunità Israelitiche ed alla loro Unione, IN PIENO CONTRASTO, sia con il principio costituzionale dell’autonomia delle confessioni religiose, che rende illegittima ogni interferenza dello Stato nell’autonomia degli enti costituiti per fini di religione; sia con il principio di laicità dello Stato. (artt. 2-3-7-8-19 e 20 – conf. sentenze Corte Cost. n. 43/88 e n. 239/84). La sentenza prosegue osservando che “presupporre che dette entità siano organismi pubblici, contrasta con il principio di eguaglianza rispetto ad altre religioni, costituendo una palese discriminazione e viola, altresì, il principio di libertà religiosa e dell’autonomia delle confessioni. Tali norme sono anche in contrasto con il principio di laicità dello Stato. (Sentenza Corte Costituzionale n. 203/89). Il rispetto di tale principio implica la garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale”.
Dura Lex sed Lex. Il parere giuridico descrive anche ciò che è applicato nella maggior parte dei paesi, se non tutti, che contino Sinagoghe.
Peraltro, la diffamazione o Lashon hara’ è un grave peccato secondo la religione ebraica.
Aggiungiamo anche che secondo Maguène Avraham, rabbino talmudista ed autorità religiosa durante il XVII secolo: “Se l’apertura di una nuova Sinagoga permette a nuove persone di recarvisi e se le intenzioni dei responsabili sono pure, bisogna aprirne senza esitare anche se questo ridurrà il numero di fedeli nelle sinagoghe non lontane”.
Non si capisce quindi il perché di tutti gli ostacoli posti in Italia dall’Ucei e dall’ARI, ostacoli che possono anche portare all’allontanamento di fedeli che si trovino troppo stretti in una realtà eccessivamente impositiva.
Hanno forse dimenticato la frase del Talmud: “Grande è l’uomo che per brillare non ha bisogno di spegnere le luci degli altri.”?
Perché? Resta questa domanda irrisolta in uno Stato laico con libertà di Culto…
Luisa Pace
Directrice de la publication & Rédactrice en chef
Lumières Internationales
ALM Editions