Per chi ha seguito l’evolversi dell’Isil di al-Qaeda in Isis e poi nello Stato Islamico, non è difficile trovare delle similitudini nella guerra che l’esercito russo sta conducendo in Ucraina.
Le strategie di Putin hanno infatti diversi punti in comune con quelle di al-Baghdadi.
Dall’iniziale infiltrazione nei territori, al reclutamento, al richiamo alla fede religiosa, alle tattiche miste di combattimento.
Così come i terroristi inizialmente si infiltrarono in altri paesi, facendo proseliti per destabilizzare dall’interno i territori nei quali avrebbero poi condotto le loro azioni militari (v. Libia e Siria), anche i russi hanno adottato le stesse tecniche – come nel caso del Donbass – per creare le condizioni per una successiva invasione.
Tanto i russi, quanto le milizie di al-Baghdadi, hanno inizialmente negato la loro presenza nei paesi stranieri, attribuendo le azioni di guerriglia o gli attentati a ribelli locali e non ai propri “agenti” o militari.
Diversi i parallelismi tra le tattiche russe e quelle dei terroristi islamici.
Dalla propaganda al modo di condurre una guerra ibrida con l’utilizzo di dispositivi esplosivi improvvisati (IED) lasciati dai soldati russi nelle aree urbane, alle forme di estrema crudeltà come l’esecuzione di prigionieri e gli stupri come metodo di guerra, all’uso della religione per giustificare le aggressioni e le stragi.
La Russia, però, a differenza dello Stato Islamico, ha potuto contare sulle operazioni militari condotte dall’aviazione e sull’utilizzo di missili in grado di colpire su lunga distanza gli obiettivi.
Nonostante ciò, nelle operazioni di terra ha subito pesanti perdite dovute alla scarsa disponibilità di mezzi di combattimento moderni (carrarmati, blindati ecc), al mancato coordinamento della catena di comando, al basso livello di addestramento delle unità impiegate e all’assoluta indisciplina di militari demotivati, spesso più dediti a ruberie, omicidi, stupri e saccheggi, che non a condurre azioni militari.
Un esercito di predoni che non avrebbe alcuna speranza di vittoria se non potesse contare sulle minacce al mondo occidentale (gas e nucleare) e sull’apporto di milizie – spesso criminali – come i ceceni di Ramzan Kadyrov.
Come riportato da “Il Messaggero”, grazie al sito russo investigativo Mediaziona, si sono potute tracciare le spedizioni della Cdek, la società utilizzata dai soldati russi per inviare i pacchi della refurtiva alle loro famiglie, residenti prevalentemente nei paesi più poveri e sperduti della Russia.
58 tonnellate di beni sottratti alla popolazione ucraina.
È la qualità della refurtiva che dà l’esatta misura di quanto povera sia la popolazione russa.
È stato sufficiente infatti visionare i video delle telecamere di sicurezza degli uffici postali diffusi in rete, per scoprire che la banda di predoni non ha rubato – o comunque non soltanto – beni di valore, bensì biancheria intima, elettrodomestici, cosmetici, scarpe, strumenti musicali, pc, abbigliamento e generi alimentari.
Dulcis in fundo, finanche un drone di fabbricazione russa, certamente rubato al proprio stesso esercito.
Roba da fare rimanere allibiti persino i predoni del deserto del Sinai.
Come le milizie del vessillo nero di al-Baghdadi, anche i predoni di al-Putin, nonostante le vittorie tattiche, difficilmente potranno difendere i risultati conseguiti mantenendo il controllo del territorio occupato.
Le limitate risorse umane, la resistenza locale dovuta al comportamento criminale delle unità russe, l’alto tasso di logoramento dei soldati e il sostegno senza precedenti da parte della NATO e dei partner internazionali all’Ucraina, nel tempo costringeranno il Cremlino a dovere fare i conti con gli stessi problemi strutturali, militari, morali – e in questo caso legali – che nonostante le vittorie operative vinte dallo Stato Islamico in Iraq, Siria e Libia, portarono a una sua sconfitta strategica.
In ogni caso, la storia dell’esercito della seconda potenza militare più forte del mondo, verrà ricordata come l’armata degli straccioni di al-Putin e dei criminali del ceceno Ramzan Kadyrov.
Una fine ingloriosa per quello che fu un grande esercito.
Gian J. Morici