di Giulio Furitano
A distanza di un mese dall’elezione del Presidente della Repubblica, analizzandone i tempi e i modi, possiamo parlare della più grande disfatta della politica italiana.
Analizzando gli antefatti, sappiamo che il presidente uscente Sergio Mattarella, aveva ribadito, ai partiti e all’opinione pubblica, la sua decisa volontà di non sostenere un secondo mandato. È prassi infatti che, seppur non vi sia alcuna norma costituzionale che vieti il secondo mandato alla prima carica dello Stato, costui, uscente, si estrometta o venga estromesso automaticamente dalla corsa al Colle, al fine di rinnovare politicamente l’autorità garante della Costituzione.
Prima dell’effettiva rielezione del Presidente Sergio Mattarella, si sono susseguite sette votazioni, durante le quali i nostri parlamentari e delegati regionali si sono dilettati tra il votare nomi di celebrità famose, probabilmente al fine di generare l’ilarità dell’aula di Montecitorio, e il “bruciare” i nomi dei “papabili” per temporeggiare sulla fatidica scelta. Tutto ciò ha anche comportato l’impossibilità di eleggere donne, che, a mio parere, potevano segnare una svolta positiva nella storia politica del nostro paese, prima fra tutte Elisabetta Belloni, funzionario diplomatico.
Non riuscendo in questa settimana ad arrivare alla “quadra”, la maggior parte dei leader dei partiti politici, consapevoli della brutta figura che stavano facendo davanti a tutto il panorama dell’opinione pubblica, hanno deciso unitamente di mantenere lo status quo per non procrastinare ancora.
Il 29 gennaio è stato, dunque, rieletto il professore Sergio Mattarella con il 75% dei voti: percentuale simbolo di grande stima ampiamente riconosciuta, che lo pone al secondo posto, dopo Pertini, come il presidente più amato dagli italiani. Egli, così, sostenuto da grande rappresentabilità e capacità, considerando gli appuntamenti fondamentali che avrebbe dovuto affrontare per l’Italia nei successivi mesi, tra i quali l’accompagnamento alla compilazione del PNRR e alla fuoriuscita dall’emergenza pandemica, si affaccia al secondo mandato per grande senso di Stato.
Dunque, se la reputazione dell’istituzione presidenziale è certamente salva, quella dei partiti politici e dei suoi esponenti è invece assai compromessa.
Con la rielezione del presidente Mattarella è prevalso, ancora una volta, il modus operandi della nostra classe politica dirigenziale: decidere di non decidere.
Tale scadenza dei partiti, privi di ideologie e intrisi di propaganda, ha condotto la nobile arte della politica alla celebrazione della sua morte. Le conseguenze dei modi di questa rielezione inevitabilmente si traspongono anche nelle amministrazioni locali. Un esempio su tutti l’imminente rinnovo delle cariche amministrative del comune di Palermo, le cui elezioni si terranno nel mese di maggio. A meno dunque di due mesi di distanza, l’elenco dei candidati “effettivi” non è realistico, ma solo uno specchietto per le allodole presupponente un effetto sorpresa. A differenza delle elezioni presidenziali, dove ancora per la normativa costituzionale è consentito proseguire con un secondo mandato, il sindaco di Palermo uscente, avendo già completato i due mandati a disposizione, non potrà più essere eletto. Auguriamoci vivamente che gli esponenti locali dei partiti si adoperino seriamente nella scelta dei loro candidati, in quanto certamente non esiste un altro Mattarella che possa salvarli.