21 settembre 1986, Porto Empedocle, centro marinaro della provincia di Agrigento. Filippo, trent’anni, un lavoro, una ragazza che vuole sposare. È una piacevole serata domenicale di fine estate. Via Roma. Il corso principale del paese. Gente che passeggia, che ride, che si intrattiene al bar con gli amici. Tra i tanti, Filippo in compagnia della sua fidanzata. Fa caldo quella sera. I due entrano in un bar per prendere un gelato. Dentro al bar ci sono già Giuseppe, Gigi, Giovanni, Salvatore e Antonio. Improvvisamente il black-out elettrico. Due cabriolet decappottate arrestano la loro corsa dinanzi al bar. Filippo e Antonio sono arrivati all’appuntamento. L’appuntamento con il destino. Prima che si possano rendere conto di cosa stesse accadendo, i fucili a canne mozze e i kalashnikov regolano un conto ancora aperto. Un conto con il quale loro non c’entrano nulla. “Filì…Filì…” grida la ragazza di Filippo mentre si sente rabbioso il crepitare delle armi. “Filì”, abbreviativo di Filippo. Lo stesso nome di Adorno. Filippo Adorno, uomo vicino ai Grassonelli. Il killer non ha esitazioni. È lui! È Filippo Adorno. Per Filippo Gebbia non c’è scampo. Nel posto sbagliato al momento sbagliato e per di più con un nome di battesimo che in quel momento gli risulta fatale. Il piombo che cerca vendetta lascia a terra i corpi di Giuseppe Grassonelli, del figlio Gigi, di Giovanni Mallia, di Salvatore Tuttolomondo e di due vittime innocenti: Antonio Morreale e Filippo Gebbia. Obiettivo dei sicari di Cosa Nostra, che avevano ricevuto l’ordine di spazzare via il gruppo emergente degli Stiddari, Gigi Grassonelli, ai vertici di un gruppo che aveva inflitto pesanti perdite alla famiglia mafiosa che faceva capo ai Messina. Gigi Grassonelli, figlio di Giuseppe, vecchio boss di Cosa Nostra, si era messo a capo di una famiglia di Stiddari. La raffica lo raggiunge mentre cerca di fuggire.