Che sia la volta buona che i magistrati tornino a fare i magistrati, lasciando le parate ad attori e modelle?
Mentre imperversa ancora la bufera Palamara che anche in recenti interviste ha spiegato come tutto quello che è accaduto a seguito del Palamaragate, avesse come scopo quello di impedire la nomina di Marcello Viola al vertice della Procura di Roma; mentre con l’ennesimo colpo di coda una certa antimafia, con la complicità della stampa amica, denigra e cerca di zittire Fiammetta Borsellino che vuole soltanto sia fatta chiarezza sulla strage di Via D’Amelio, finalmente si sollevano voci di dissenso sui magistrati Superstar.
Claudio Fava, Presidente della Commissione Antimafia dell’Ars, interviene ricordando come dal 1992, l’anno delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, si sia finito con il considerare infallibili le toghe antimafia per “una sorta di atto di fede a prescindere dai risultati”.
I Pm si trasformano in autentiche celebrità dell’antimafia – non tutti per fortuna – partecipando a vere e proprie parate di star trasmesse in diretta, in streaming, pubblicate sulle pagine dei quotidiani e sulle più prestigiose riviste patinate.
Ad aprire le danze, quasi fossero tante Naomi Campbell o Demi Moore, i magistrati impegnati nei processi di mafia più importanti, a partire proprio da quelli impegnati in passato nei processi relativi alle stragi.
Convegni, interviste, partecipazioni a circoli culturali e non, hanno portato anche sulla stampa internazionale i nuovi Vip che non disdegnano di parlare di processi ancora in corso, di scrivere, pubblicare e presentare libri sull’argomento.
E se dopo così tanto baccano le star non ne avessero imbroccata una?
Non ci sono problemi. I processi vanno avanti con pentiti più o meno falsi – come nel caso del depistatore Vincenzo Scarantino, del quale anche le pietre, ma non alcuni magistrati, si sarebbero accorte delle menzogne – in nome di una giustizia e un’antimafia passarellaia che nulla aveva da invidiare alle sfilate di Coco Chanel, Saint Laurent, Christian Dior e altri stilisti del panorama internazionale della moda.
E i giornalisti?
Come i magistrati!
Anche nel mondo del giornalismo ci sono i Vip, quelli che Fava definisce i furbi cronisti che pensano alla carriera dell’antimafioso minacciato, come alla più nobile delle autocelebrazioni, con dietro quel “circo mediatico che ama i titoli ad effetto, che coltiva un’antimafia di cartone col giubbotto anti-proiettile”.
Con magistrati e giornalisti superstar, non potevano mancare i collaboratori di giustizia (si fa per dire), autentiche stelle dello spettacolo di questo Circo Barnum.
Sul podio, tra nani, acrobati clown e ballerine, la vera star è lui.
Il re delle tv, della carta stampata, dei video e degli abbracci pro domo sua, corteggiato da magistrati e rappresentanti di associazioni che – per dirla come Fava – appartengono a quell’antimafia di cartone col giubbotto anti-proiettile.
Vincenzo Calcara, colui che tutto sapeva di tutti, dall’attentato al Papa a quello a Paolo Borsellino; dalle malefatte (vere, presunte, o inventate) di Giulio Andreotti, fino ad arrivare a Paul Casimir Marcinkus.
Sarà anche vero che – come lui stesso disse a un suo compagno di cella – per prendere in giro magistrati e carabinieri basta un po’ di fantasia, ma è mai possibile che nessuno si accorgesse realmente di chi fosse questa nuova stella dello spettacolo?
Può esser mai che neppure dopo che sulla scena comparvero i primi veri collaboratori di giustizia della mafia trapanese (oltre vent’anni fa) che smentivano clamorosamente Calcara, a nessuno venisse in mente che la soubrette in realtà fosse un manichino addobbato a festa?
Non ci se ne accorse nemmeno dopo quel lontano 1999, quando i giudici di Reggio Calabria sancirono in sentenza non soltanto l’inattendibilità del pentito – che tra le altre cose si era inventato di aver visto a S. Luca un monumento che non era più lì da anni – ma avanzarono anche l’ipotesi che lo stesso fosse stato “imbeccato”, da chi, non si sa.
E quando Massimo Russo lo rinviò a giudizio per auto calunnia “per essersi accusato di far parte di cosa nostra”, dicendo che “era un personaggio che ha detto delle cose che andavano oltre la sua cognizione e non sappiamo se siano farina del suo sacco o di qualche altro sacco che non è di farina”; nessuno si pose la domanda di chi fosse il sacco che di farina non era?
Processo dietro processo, sentenza dopo sentenza, diversi tribunali certificarono l’inattendibilità di Calcara, fino ad arrivare al processo di Caltanissetta a Matteo Messina Denaro, che ha permesso di ricostruire come avesse “inquinato i pozzi” dando false indicazioni su chi era il capomafia del trapanese, e di formulare l’ipotesi che fosse stato eterodiretto.
Eh già, perché il falso pentito tra una bugia e l’altra, qualche verità la disse.
Magari qualcuna di quelle conosciute soltanto da investigatori e inquirenti, che servivano solo ad accreditarlo come collaboratore attendibile.
Aveva descritto un monumento che anni prima era lì dove lui lo indicava.
Chi gli aveva fatto vedere, o aveva descritto quel monumento, non essendo a conoscenza del fatto che non si trovava più in quella piazza?
Perché un dato è certo, la dovizia di particolari della descrizione, nasceva dal sapere realmente come fosse fatto.
Chi gli mostrò la foto?
Riconobbe in foto e in aula uomini mai incontrati prima.
Chi glieli aveva descritti così che lui potesse riconoscerli?
Fece i nomi di veri e finti uomini appartenenti alla consorteria mafiosa del trapanese.
Non avendo mai fatto parte di “cosa nostra” (come risulta dalle dichiarazioni di decine di collaboratori e da sentenze), chi gli indicò i nomi di taluni soggetti che comparivano soltanto nei verbali e nelle relazioni redatte dalle forze dell’ordine?
Troppe le similitudini che lo collegano al falso pentito Vincenzo Scarantino, con una differenza.
Scarantino operò il depistaggio a stragi avvenute; Calcara, nel dare false indicazioni su chi fosse a capo della mafia trapanese, e guardandosi bene dal fare il nome di Matteo Messina Denaro, deviando su altri le indagini, permise che a Castelvetrano l’attuale boss latitante, che latitante all’epoca non era, potesse incontrare i vertici regionali di “cosa nostra” per preparare in tutta tranquillità le stragi del ’92.
Una differenza non di poco conto. Così come non di poco conto è il fatto che presunti omicidi da lui commessi, e riportati nelle sentenze, non abbiano dato luogo a processi che lo abbiano visto quantomeno imputato.
Il dubbio nasce spontaneo. Le propalazioni del pentito eterodiretto, furono frutto della farina (che farina non era) del sacco di appartenenti alle forze dell’ordine, e soltanto da questi, o è legittimo ipotizzare che alla “costruzione” del pentito possa aver preso parte qualche toga?
Se anche nessuna toga ha suggerito il copione della recita, come spiegare che dopo anni da quando si scoprì che il pentito tale non era, continuò ad avere ampio credito presso alcuni magistrati?
Scarantino fu sconfessato da collaboratori di giustizia veri, come nel caso di Gaspare Spatuzza, e lo stesso può dirsi di Calcara.
Non è arrivato il momento di chiedersi e capire quale realmente sia stato il ruolo di questo falso pentito, e chi lo costruì?
Forse lo si potrebbe chiedere a lui stesso, magari gli si offrirebbe l’occasione per poter calcare nuovamente la scena, ma questa volta da vero collaboratore di giustizia.
L’antimafia, non quella di cartone, non ha bisogno di Pm Superstar, ha bisogno di Magistrati che facciano i Magistrati, senza aver la pretesa di sfilare agli eventi organizzati dagli stilisti dell’alta moda.
Lasciamo che a farlo siano Naomi Campbell, Kate Moss, Demi Moore e le altre modelle; per carità, anche l’occhio vuole la sua parte…
Gian J. Morici
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