Giulio Terzi Ambasciatore, già Ministro degli affari esteri della Repubblica Italiana

“Molti di Voi mi hanno scritto in chat privata chiedendomi una valutazione su queste ultime convulse e appassionanti giornate le cui cronache sono state riempite dalle notizie sulle elezioni in USA. La prima considerazione, a dispetto del permanere nel mondo di regimi governati da democrazie di facciata o comunque “imperfette”, come Iran, Cina, Russia, etc è che la “vera democrazia” ha nuovamente dato un’eccellente prova di se, grazie a un confronto elettorale vivace ma “reale”, dove i cittadini hanno avuto “voce in capitolo” nell’eleggere chi governerà per i prossimi 4 anni “la più importante superpotenza del pianeta”.
Riguardo a Joe Biden, l’ho conosciuto molto bene quando era Vicepresidente: veniva spesso alla nostra Ambasciata, aveva rapporti d’amicizia con la comunità italiana in USA, storicamente sia repubblicana che democratica. Posso garantire che teneva in grande considerazione gli italoamericani, che anche allora occupavano posizioni istituzionali di rilievo (anche nell’amministrazione USA vi sono personaggi di spicco con radici tricolori, penso alla speaker della Camera, Nancy Pelosi, orgogliosissima delle proprie radici abruzzesi, e al grande giudice della Corte Suprema, l’italoamericano Antonin Scalia).
Dopo la conferma dell’elezione di Biden, rischia di aprirsi un contenzioso legale, Donald Trump pare molto deciso in tal senso, salvo sviluppi diversi nelle prossime ore: i giudici della Corte Suprema sono conservatori 6 su 9, ed esprimono inoltre il filone “originalista”, che rinvia ai caratteri fondativi della Costituzione, che a loro avviso non va “interpretata” ma presa alla lettera: tuttavia, dalla Corte non mi aspetto forzature, ma un atteggiamento “molto rigoroso” sulla legalità del percorso elettorale in mano ai singoli Stati, dal momento che un principio cardine della Costituzione americana è quello che riconosce “il valore della libertà espressa dal popolo”. Numerose elezioni USA nel passato sono state problematiche, non solo quelle del 2000 fra Bush jr e Al Gore: anche George Washington ha dovuto aspettare ben due mesi per risolvere le contestazioni… Tuttavia, il principio secondo il quale “nessuno è al di sopra della legge” sarà ancor più determinante se la contestazione legale annunciata da Donald Trump giungerà, appunto, alla Corte Suprema: avendo risolto alcuni casi intricati in passato, dobbiamo avere fiducia nella massima istanza costituzionale degli USA titolata ad esprimersi su vicende come questa. Da oltre due secoli, le elezioni in America sono oggetto di dibattiti, speculazioni e contestazioni formali: queste ultime sono sempre state risolte attraverso la legge – fondata su uno dei pilastri dello Stato di diritto, ovvero la separazione dei poteri – e da organi indipendenti, a cominciare dalla Corte Suprema stessa. I giudici federali incarnano ed esprimono i valori fondanti della Costituzione: ciò varrà anche per l’attuale Corte, qualora venga chiamata in causa. Tutti i giudici, dagli “originalisti” come Antonin Scalia, ai “progressisti” come Ruth Bader Ginsburg, hanno responsabilmente affermato tali valori e principi in garanzia dell’applicazione “lineare ed equa” della legge elettorale: non saranno né Trump né Biden ad interpretare le leggi statali in materia elettorale, ad interrompere o meno il conteggio, o a dichiarare valido o meno un voto, ma sarà il libro della legge USA, “democratica, federalista e laica”.
Mentre Trump valuta l’eventuale strategia legale, Biden per contro dice di voler avviare una (necessaria, a mio avviso…) ricomposizione delle fratture della società americana, oggi più polarizzata che mai. Obama stesso è stato un tenace assertore di una società riunita sui fondamentali: la sua riforma della sanità ha certamente diviso, ma lo stesso Trump è riuscito a smontarla solo in parte…
Biden negli anni ha svolto un ruolo moderato, non dogmatico e soprattutto “capace di ascoltare”. E’ un politico di lungo corso, che si muove “al centro”. Ad esempio, la riforma fiscale di Trump, favorevole ai ceti abbienti, “ha dato grande impulso alla crescita”, e Biden ha dichiarato che “intende correggerla per renderla più equilibrata”, ma “non smantellarla”: questo è un primo segno di evidente “equilibrio” del Presidente eletto…
Oggi, nel Paese c’è un clima di astio, alimentato anche dal fattore intrusivo dei social media utilizzati “in modo distruttivo”, anche eterodiretta dall’estero (Russia, ad esempio, com’è stato dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio) e non come elemento di libertà. Mettiamoci poi i gruppi più o meno spontanei, radicalizzati e talora violenti, e, non ultima, la questione razziale: in poche parole, c’è un forte deficit di diritti economico-sociali e di diritti civili in parte ancora inattuati, e seppure le strategie di risposta di repubblicani e democratici siano differenti, non è impossibile ambiare a “riattivare la coesione sociale” sulle grandi questioni, come crescita economica e sostenibilità della convivenza sociale. Certo, la sfida per Biden è di quelle da far tremare i polsi.
Poi c’è la dimensione della “politica estera”: nel mondo repubblicano c’è il convincimento sincero che l’America sia scivolata in una posizione quasi di sudditanza rispetto a Cina e Iran, e “non mi sento di dar torto a questa lettura”. Senza nulla togliere ai movimenti terroristici sunniti, anche il regime di Teheran è ritenuto sponsor del terrorismo, e questa è un’affermazione molto ben documentata, per l’Iran il terrorismo è (purtroppo per noi occidentali…) un “normale strumento di politica estera”, utilizzato per finanziare oltre 200 gruppi terroristici nel mondo. L’America vive questa condizione da almeno 30 anni, dalla presa degli ostaggi statunitensi a Teheran, e la Casa Bianca anche recentemente ha accusato l’Iran di essere dietro – con armi e Intelligence – ai talebani in azione contro i soldati statunitensi. L’America, anche dopo la disdetta dell’accordo sul nucleare con l’Iran, ha denunciato mancanza di collaborazione e arricchimento dell’uranio, da parte di Teheran, superiore ai limiti consentiti. Biden, rispetto a Trump, è convinto che alla fine emergerà a Teheran una linea riformista, e “su di essa vuole investire”: pur disponibile a riattivare l’accordo nucleare, lo ha comunque subordinato al rispetto di tutte le clausole, senza di che la sanzioni reinserite da Trump “non saranno rimosse”. Inoltre, Biden terrà anche a riaffermare le garanzie per la sicurezza di Israele. Vedremo “se riuscirà a tenere fermo il punto” su queste questioni importanti “non solo per gli Stati Uniti” ma per il mondo intero…
Infine, restando sulla politica estera, c’è il dossier Cina: a ben guardare, esiste continuità fra la seconda Amministrazione Obama, Trump e quel che Biden ha affermato in campagna elettorale, e cioè la Cina come “antagonista” e, senza dirlo esplicitamente, “nemica delle democrazie liberali”. Il primo allarme è del 2010-2011 durante la presidenza Obama con Xi Jinping prossimo, ma non ancora al potere. Già allora gli indicatori erano precisi: un sistema civile e militare che “dopava” enormemente lo scenario in Cina. La Casa Bianca vedeva il rafforzamento economico e tecnologico cinese come funzionale all’espansionismo militare e geostrategico di Pechino, che si appropriava degli isolotti del Mar della Cina meridionale e acquisiva come “mare interno” tutti gli spazi disponibili del Pacifico. Va da sé che il baricentro della sicurezza per gli Stati Uniti si sposterà “sempre più dal Mediterraneo all’Asia”…
Per quanto riguarda il rapporto con l’Europa e in generale il multilateralismo, Biden tornerà al classico: restare nelle grandi agenzie per “condizionarle dall’interno”, penso all’ Organizzazione mondiale della sanità, criticata anche dai Dem per alcuni passaggi della gestione della pandemia Covid-19, e al commercio internazionale. Quanto agli accordi di Parigi sul clima, siamo a due mondi diversi: i Repubblicani, diciamolo francamente, sono negazionisti sul cambiamento climatico, e alla – legittima – richiesta di ridurre l’impatto antropico, fanno spallucce, mentre Biden “è decisamente su un altro binario”. Da qui alla sottovalutazione dell’emergenza pandemica che stiamo vivendo, il passo è stato breve, come sa il mio amico Anthony Fauci, grande italo-americano, finito – purtroppo – malamente demonizzato da Trump…
I riflessi per l’Italia? L’America di Trump è stata comprensiva con noi, anche sulla Libia, cercando di costruire un dialogo aperto e costruttivo, e non c’è ragione di temere che Biden cambi linea; ma cambierà invece qualcosa con la Russia, in quanto Biden appare più critico di Trump su quel fronte: e il Governo italiano non potrà non tenerne conto…
Concludendo, con l’elezione di Joe Biden alla “Presidenza degli Stati Uniti” – e di Kamala Harris come “prima donna VicePresidente” nella storia USA, personaggio che farà molto parlare di se in futuro… – è terminata una competizione elettorale che – nonostante la pandemia, il rischio di interferenze straniere e molte altre difficoltà ed incognite – ha dimostrato ancora una volta la vitalità e la forza della “grande democrazia liberale” che da 233 anni governa l’America. Un Paese afflitto da crescenti tensioni “con una popolazione divisa” si è rivelato comunque all’altezza del momento, avvalendosi prima di tutto del principale e più straordinario strumento a disposizione dei cittadini: “il diritto di voto” e il suo esercizio. Più che il risultato specifico, è l’affluenza senza precedenti in questa tornata elettorale a dimostrare che la democrazia americana non è piombata in una crisi irreversibile. Quanto all’esito, il cambiamento deciso dalla maggioranza degli elettori e dei 50 Stati che compongono la federazione ci indica inoltre che il principio “non sub homine sed sub lege” continua a dare forma e sostanza in maniera significativa agli StatiUniti.
E se, come ricordava spesso l’amico MarcoPannella, la forma è anche sostanza, essa sarà imprescindibile nelle settimane e mesi della transizione, apertasi con l’elezione del candidato democratico, che si concluderà il 20 gennaio 2021 con l’insediamento ufficiale del nuovo Presidente.
Per allora, BUON LAVORO, PRESIDENTE BIDEN!